SULLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE

massimo franceschini blog

Dobbiamo definitivamente capire le responsabilità politiche connesse al parlare di “crisi della democrazia liberale”.

Pubblicato anche su Sfero

 

All’interno dell’area politico-culturale in dissenso con la deriva antidemocratica in atto, è ormai invalso sentir parlare di “crisi della democrazia liberale”: una realtà certo evidente e indiscutibile della quale però, troppo spesso, non se ne colgono le problematiche connesse anche al solo parlarne.

D’altro canto, e senza ombra di dubbio, la situazione politica italiana mostra chiaramente come il nostro Paese sia avanguardia e personificazione della moderna tendenza alla distruzione dello Stato di diritto, un’opera portata avanti dalle oligarchie politico-finanziarie.

Le istituzioni liberali sono svuotate di significato da decenni, occupate da burocrazie e classi politiche tutt’altro che interessate alle sorti della Repubblica e dei suoi cittadini che, al contrario, uno Stato di diritto dovrebbe tutelare.

Le tappe che hanno portato a questa situazione sono molteplici:
partiamo dal fatto che l’Italia sia sostanzialmente un “protettorato” USA, proseguiamo con la de-sovranizzazione politica e monetaria post-Moro e post 1981 – anno della lettera di Andreatta alla Banca d’Italia con cui si metteva la finanza dello Stato in mano ai mercati, opera portata a termine con l’ingresso nella UE e con l’adozione dell’Euro –, continuiamo con la demonizzazione della politica e dei partiti post “mani pulite”, per arrivare alla sostanziale accettazione della globalizzazione e del conseguente “pensiero unico dominante”, alle privatizzazioni dei beni pubblici messi in mano alle corporazioni globali, alla svendita/delocalizzazione dei marchi di prestigio, alla progressiva privatizzazione e sostituzione dei luoghi del pensiero, dell’informazione, della cultura e della politica, con tutto l’apparato virtuale privato in mano a “big tech” ed agli stati profondi/permanenti.

Questo coacervo di interessi scavalca facilmente le società civili e la politica che ne potrebbe scaturire, tramite l’occupazione della politica stessa e delle sue istituzioni.

Quindi, la situazione appena descritta autorizza certo a parlare di “crisi della democrazia liberale” ma, a ben vedere, questa “diagnosi” appare superficiale, se non vogliamo intendere che un regime sia “auto-applicativo” al solo scriverne nei libri di storia, oltre a prestarsi a varie “controindicazioni” di ordine politico.

Per comprendere e/o condividere queste controindicazioni, credo si debba esser capaci di vedere come nella situazione appena descritta ogni dato e concezione “divisiva” della società civile debba essere rigettata: dalla visione classista della società che lo Stato di diritto dovrebbe tendere a mitigare/armonizzare, ai retaggi ideologici inseriti fuori tempo in una realtà assai diversa, a tutto l’armamentario del “pensiero unico dominante” di matrice materialista, scientista, tecnicista, tecnocratica e transumana.

Se non vediamo che proprio la democrazia liberale contiene gli anticorpi al tradimento dei suoi obiettivi, se non capiamo che è compito di una nuova stagione e di una nuova volontà politica far sì che questi anticorpi tornino a funzionare, rischiamo di sostenere un’azione politica non inclusiva di grandi parti della società civile, un’azione debole e velleitaria che ci espone al rischio divisivo e settario, un gioco che ormai dovremmo aver imparato essere del tutto funzionale al sistema.

Facciamo un esempio: solo uno Stato di diritto rappresentato da uomini intenzionati a far valere la sua Costituzione può mettere in atto tutte le riforme necessarie a far sì che la finanza speculativa sia fortemente limitata, anche inquisita ove necessario, per rimettere la produzione di beni e servizi locali al primo posto di quel “lavoro” che dovrebbe essere valore e diritto di tutti i cittadini.

Oltre a ciò, questa capacità di riforma dovrebbe necessariamente abbinarsi ad una politica estera coerente, in grado di esportare la nuova stagione politico-giuridica di compenetrazione dei diritti universali.

Dobbiamo farci promotori di una visione “ecumenica” fra collettivo-individuo, pubblico-privato, come avanguardia per una nuova stagione in cui cercare alleanze e scambi economici di altro livello, non compromessi dalla mano finanziaria, che diventa politica, che ora incombe su tutto lo scenario geopolitico.

Ciò vuol dire, inoltre, che non dovremmo essere necessariamente inclini a sottostare al nuovo mondo multipolare, che sembra un modo più gentile di riproporre una diversa spartizione del mondo in sfere d’influenza, in cui però nessuno dei poli mostra reali garanzie di libertà e diritti.

A livello di base, la nuova politica dovrebbe essere  intenzionata a sollecitare e rappresentare quanto di buono nella società civile si sta facendo per rispondere alla stretta sociale e democratica in atto, per prendersi la necessaria responsabilità, in modo trasparente, di elaborare politiche tese a far sì che in ogni settore sia possibile iniziare un percorso di riforme comprensibili, capaci di far vedere al cittadino come la politica e lo Stato possano finalmente diventare fattori unificanti, controllabili dal basso, non più nemici della vita, dei cittadini e del proprio Paese.

Se non liberiamo la politica da posizioni massimaliste, critiche, ma non propositive, favoriremo due grossi problemi: da una parte non saremo in grado di elaborare un’azione responsabile capace di coagulare un dissenso allo status quo, che oggi è assai trasversale, in un unico progetto, dall’altra ci esporremo alle “sorprese” dovute ai veti delle frange più estreme, abituate a parlarsi addosso ed ai loro militanti, carenti di una vera progettualità politico-istituzionale e della necessaria consapevolezza del Paese reale.

Non cediamo agli estremismi, e cerchiamo di capire che oggi la “rivoluzione” la sta facendo il sistema, tecnocratica e transumana, e che la vera rivoluzione oggi è “conservativa” delle impalcature istituzionali, ma profondamente riformatrice della loro “alimentazione” e funzionamento.

Se usciamo da queste direttrici ci esponiamo ad un “nuovo” che, da qualsiasi punto lo guardiamo, rischia di apparire quanto di più inquietante possiamo immaginare, senza una reale capacità di giudizio da parte di alcuno.

Non continuiamo a giustificare una politica velleitaria, ma diventiamo capaci di individuare i problemi e le responsabilità connesse.

 

Massimo Franceschini, 22 marzo 2022
Fonte immagine: Wikimedia Commons, Picpedia, Public domain vectors

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