L’importanza della sovranità monetaria

di Diego Piscopo

La sovranità monetaria non è un capriccio egoistico, ma serve innanzi tutto a darci la possibilità di decidere, come comunità, cosa per noi abbia valore, per cosa valga la pena di impegnarci.
Non parlo di redistribuzione delle tasse, ma di nuovi investimenti. La differenza è importante: non si tratta di scegliere dove allocare risorse fiscali, ma di decidere cosa vogliamo costruire e su cosa vogliamo puntare i nostri investimenti, facendo credito a noi stessi.
Oggi, come noto, un flusso enorme di risorse finanziarie messe a disposizione dalle banche centrali finiscono per la quasi totalità all’industria finanziaria, lasciando che i cittadini si accontentino di contendersi il frutto del proprio lavoro attraverso la redistribuzione fiscale, come dei cani che si strappano di bocca l’unico osso che hanno a disposizione.

La corruzione

Coloro che ci hanno gradatamente tolto la sovranità monetaria sin dal 1981, tramite la faccenda del divorzio Tesoro-Bankitalia, seguito dall’adesione allo SME e poi all’euro, è solo l’allineamento al paradigma neoliberista globalista che inizia alla fine degli anni settanta, innescato, come sempre accade, da un evento facilitatore apparentemente esogeno: le crisi petrolifere. Proprio nel momento in cui la la fine del sistema di Bretton Woods stava mettendo in discussione il dogma della scarsità monetaria.
Costoro giustificavano la necessità del vincolo esterno con la scusa della corruzione, che, indubbiamente, avrà avuto un peso, ma già Federico Caffé diceva: “Speriamo che non buttino via il bambino con l’acqua sporca“e qualche anno dopo constatava: “Hanno buttato via il bambino con l’acqua sporca“. E oggi possiamo infine dire che hanno buttato via il bambino tenendosi l’acqua sporca che, anzi, ci è salita fino al collo.

Da allora qualcuno ha deciso che il valore con cui tutti dovevano misurarsi fosse non più il lavoro e la cooperazione reciproca, ma il denaro, per accumulare il quale si deve eternamente competere e sgomitare con il prossimo.

Abbiamo quindi  assistito al graduale passaggio dal mondo dell’economia reale a quello della finanza sregolata, che si occupa di produrre soldi dai soldi. Quetso è stato ottenuto con l’abrogazione da parte di Clinton del Glass Steagall Act nel 1999 (rispettivamente in Italia la riforma del Testo Unico Bancario del 1992) e con la liberalizzazione completa nell’utilizzo di strumenti derivati.

Da allora l’inflazione e’ diventato il pericolo numero uno, mentre la disoccupazione passava in secondo piano, anzi spesso era il male necessario per preservare il valore della moneta, che poi e’ la paura dei miliardari di vedersi erodere la ricchezza monetaria accumulata.

La progressiva concentrazione in poche mani della ricchezza globale ha poi determinato una corruzione immensamente peggiore di quella delle mazzette e tangenti, che si manifesta nel controllo diretto dei comitati d’affari sovranazionali sulla vita politica dei paesi e il controllo totalitario dei mezzi di informazione e di istruzione, con tanto di neolingua obbligatoria nei media e nei testi scolastici.
Non si parla nemmeno più di conflitti di interesse, perché è rimasto solo l’interesse privato di fronte a cui lo stato deve arretrare. E basta solo ricordare che per la costituzione italiana (art. 1) la sovranità appartiene al popolo, per incorrere nel duplice psico-reato di sovranismo e populismo. Una corruzione inedita e capillare che arriva fino ai pensieri e tale da farci scambiare il male con il bene. Questa e’ la corruzione con cui oggi bisogna confrontarsi.

La rivoluzione digitale nel contesto sbagliato

Certamente la crisi del covid-19 ha consentito un’accelerazione della cosiddetta rivoluzione digitale. Di per sé sarebbe una cosa positiva, ma nell’attuale paradigma, che mette al centro la massimizzazione dell’accumulo di denaro, diventa solo un mezzo per abbattere i costi e creare disoccupazione e precarizzazione, a tutto vantaggio delle grandi concentrazioni di capitale.

Per fare un esempio: in un ospedale il progresso tecnologico potrebbe apportare indubbiamente molti benefici, come svolgere i lavori più burocratici e ripetitivi, liberando risorse per aumentare l’assistenza e la cura alle persone. Ma nell’ottica di chi ha trasformato le USL (unità sanitarie locali) in ASL (aziende sanitarie locali) ci si vedrà solo un modo di fare efficientamento, ovvero tagli del personale e della qualità del servizio.
Anche lo smart working è una gran bella cosa, ma nell’attuale paradigma in cui l’investimento è solo quello finanziario e l’efficienza è solo quella del taglio dei costi, è inevitabile che si trasformi in un’arma di delocalizzazione di massa, facilitando le assunzioni remote, dove i salari sono più bassi, a discapito della qualità del servizio.

In questi giorni in molte grandi aziende si diffonde una narrativa di questo tipo: il covid è un game changer, accelera la digitalizzazione, i driver del cambiamento sono le scienze e le tecnologie. Le grandi aziende sono in lotta per acquisire giovani talenti sul mercato e per vincere questa sfida dobbiamo cambiare la cultura all’interno delle famiglie, nei luoghi di istruzione, all’interno della società. Valorizzare le lauree STEM (science, technology, engineering, mathematics) per acquisire le Disruptive Technical Skill quali fattori abilitanti dei mestieri del futuro.

Infine – non poteva mancare – per favorire l’inclusione e la parità di genere, dobbiamo avviare le ragazze fin dalla scuole e in famiglia verso i mestieri ad alto contenuto tecnologico.

L’inclusione che costoro hanno in mente non è altro che omologazione, chiudere tutti dentro un’unica forma mentis, dentro un tubo specialistico nella grande catena di montaggio globale. Capite bene che in questo modo si costruisce l’uomo a immagine del mercato, a cui tutti dovranno culto e sacrifici, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario. Il mercato è solo una costruzione umana, mentre ci fanno credere che l’intervento pubblico di indirizzo sia solo un elemento distorsivo.

Non e’ un caso che oggi i giganti hi-tech vogliano introdurre una loro moneta digitale (LIBRA). In questo modo, man mano che acquisiscono quote di mercato a danno delle piccole attività, tutti i loro clienti, per procurarsi quella moneta, dovranno in qualche modo lavorare per loro e, naturalmente, stare alle loro regole e rispettare i cosiddetti standard della community: i loro valori.

Non possiamo più lasciare a queste persone la facoltà di decidere cosa i nostri figli debbano studiare e per cosa debbano sacrificarsi; sono le persone e le comunità, e non le mega-aziende private, a dover decidere per cosa valga la pena di vivere.
Cambiare paradigma significa decidere di dare valore ad altro.
Questo è il significato profondamente umanistico della sovranità monetaria: poter decidere noi come comunità le cose a cui dare valore.

La civiltà è cominciata quando si era abbastanza organizzati da poter dedicare parte del proprio tempo allo sviluppo spirituale della persona, alla conoscenza, alla filosofia, all’arte, otium contro negotium. Per questo nel mondo antico si lasciava il lavoro allo schiavo, in modo da lasciare tempo ai cittadini di lavorare alla costruzione della civitas e della polis.

Il progresso tecnologico può darci questa possibilità, senza il bisogno di nuovi schiavi o di escludere dal lavoro chi si ritiene inadatto alle “nuove sfide”. La frase che si sente spesso “con la cultura non si campa” non e’ affatto vera, semplicemente oggi non ci si campa perché qualcuno ha deciso per tutti che si debba campare di altro, cioè di denaro, e che solo questo conti.
Con le nuove tecnologie oggi abbiamo la possibilità di dedicare meno tempo a lavori ripetitivi e usuranti e più tempo alla formazione personale ed alla cura della persona, ma questo è possibile solo se decidiamo come comunità che l’istruzione, la cura e  la crescita umana personale siano una ricchezza.

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