Le ideologie antiumane dell’Occidente terminale.

di Roberto Pecchioli
11.05.2023

Peter Singer: “Se riusciamo a mettere da parte gli aspetti emotivamente commoventi ma strettamente irrilevanti dell’uccisione di un bambino, vedremo che i motivi dell’uccisione delle persone non si applicano ai neonati”

I lettori più fedeli e pazienti  si saranno avveduti che da tempo, con i modesti mezzi intellettuali di cui disponiamo, stiamo effettuando ricognizioni sulle ideologie della postmodernità occidentale.  Rubiamo all’amico Alessandro Gnocchi la definizione di ricognizione: l’ atto coraggioso, oggi temerario, di oltrepassare le linee in terra nemica, e perlustrare il campo avverso per osservare che cosa vi accade e informare chi non intende piegarsi all’iniquità del potere. Andare in ricognizione costringe a descrivere un panorama devastato, da cui bisogna partire per resistere e contrattaccare.

La nostra radicata convinzione è che nella terra del tramonto, l’Occidente terminale, estenuato e nichilista, sia in azione un’ideologia apertamente nemica dell’uomo sino a volerne la morte. Un odio di sé- Scruton la definì oicofobia, l’avversione per ciò che è proprio- estesa come un contagio all’intera specie umana. E’ l’esatto contrario dei presupposti di una civiltà con tre millenni di vita che sta vivendo le sue ultime, interminabili convulsioni dopo aver revocato in dubbio prima, decostruito poi, infine ribaltato ogni idea ricevuta. Non per caso, il torrente impetuoso e fangoso delle nuove idee dominanti , provenienti dal centro dell’Impero, gli Usa , chiama se stesso “ cultura della cancellazione”. Un ossimoro, la prova di una volontà di potenza al contrario che si ha la tentazione di attribuire all’azione preternaturale. L’uomo faustiano – animato dall’ansia di conoscenza e di infinito, aperto alla trascendenza- si rovescia nello “spirito che sempre nega” , Mefistofele, la creatura con la quale stipula il patto, vendendo l’anima.

Una lunga premessa, necessaria prima di addentrarci nella ricognizione delle ideologie antiumane dell’Occidente ultimo. Ci riferiamo, in particolare, all’animalismo, all’antispecismo e all’apocalisse climatica, che sono i fili, i fiumi carsici che attraversano e uniscono  i frammenti del declino. Chi ci sta traghettando verso la fine sono le classi dirigenti, impregnate di un’ideologia apertamente antiumana.

Un’istituzione finanziaria internazionale, la banca BBVA, ha conferito il suo premio annuale a Peter Singer, filosofo animalista, antispecista e antiumano.

Singer, australiano, classe 1946, non è nuovo a riconoscimenti per la sua attività culturale. Il suo testo più famoso è Liberazione animale (1975) in cui espone tesi contro lo specismo, un termine coniato dallo psicologo James Ryder sul modello di razzismo e sessismo, per riferirsi alla minore considerazione attribuita dagli esseri umani alle altre specie viventi. Entrambi lavorano all’equiparazione, prima etica, quindi ontologica e legale, degli animali rispetto all’uomo, una condizione oltretutto diseguale, giacché solo quest’ultimo agisce e pensa in termini morali, giuridici, metafisici.

Umanizzazione degli animali ? Piuttosto il contrario, animalizzazione degli uomini. Fatto sta che il premio della banca, intitolato “Frontiere della conoscenza” ha riconosciuto a Singer il “contributo al progresso morale” per aver segnato “una svolta nella comprensione e fondazione dell’etica applicandola al mondo  animale, con notevoli conseguenze per la legislazione internazionale sul benessere degli animali”.

Il progresso morale sarebbe quindi negare  o rovesciare le differenze essenziali tra uomo e animale.  Progresso morale è affermare che l’uomo e il cane devono ricevere lo stesso trattamento; è dire che tra salvare una persona malata e salvare un animale sano, dovrebbe essere scelta la seconda opzione. E’ ancora possibile, senza incorrere nella scomunica ( morale anch’essa) dei pasdaran animalisti, dire che filosofi alla Singer non difendono tanto il fatto che gli animali siano trattati allo stesso modo degli uomini quanto che gli uomini siano trattati allo stesso modo degli animali?  Così la pensava, quasi un secolo fa,, Gilbert K. Chesterton.

A noi sembra una redenzione al contrario, un livellamento verso il basso, un degrado del superiore  più che un’elevazione dell’inferiore. Ovvero, odio per la creatura umana. La tesi fondamentale di Singer è che l’uomo e l’animale sono essenzialmente uguali poiché entrambi sono esseri senzienti. Estremizzando, si possono equiparare l’uomo e il verme.

La dignità non deriva più- come nelle grandi tradizioni culturali- dalla somiglianza con Dio e nemmeno dalla nostra condizione di esseri razionali e dalla conseguente apertura all’infinito, al trascendente. Essa proverrebbe dal fatto di “sentire”, provare sensazioni, fare esperienza del dolore e del piacere.

Ecco perché un feto umano può essere eliminato senza remore, diventare un rifiuto speciale o utilizzato nell’industria cosmetica e farmaceutica: il motivo è che non “sente”. Dovremmo concludere che il progresso morale per cui Singer riceve premi dall’élite consiste nel riconoscere che un criceto adulto vale più di un feto umano! Il sistema di Singer ha una sua complessità: alla distinzione tra l’essere senziente e l’essere non senziente aggiunge quella tra l’essere umano e la persona. Non tutti gli esseri umani sono persone e non tutte le persone sono esseri umani. Nel pensiero illusionistico di Singer ci sono scimpanzé-persone ed esseri umani che, poiché non sono persone, valgono meno degli scimpanzé.

Gli esseri umani che “valgono” meno degli animali superiori sono coloro che non hanno      (avrebbero) più o non hanno ancora la coscienza― e quindi “ sentono” poco o nulla: bambini, disabili, persone in stato di coma, anziani, chi è affetto da certi disturbi mentali. Nei confronti di questi esseri- umani- è legittima, quasi imperativa, la soppressione fisica. Un’agenda che coincide perfettamente con l’interesse delle oligarchie finanziarie, delle assicurazioni e dei fondi malattia. Normale che conferiscano premi a chi sistematizza e fornisce abito “culturale” ai deliri antiumani.

Si ha l’impressione che agisca in Singer un’ossessione patologica per la morte. La sua filosofia può essere interpretata come pensiero mortuario: non si chiede per che cosa dobbiamo vivere, quale sia il bene e il male, come il resto dei filosofi, piuttosto chi dovrebbe morire. Pensieri da mattatoio. Si può mettere fine alla vita degli umani? è il titolo di un capitolo di un suo libro. Potete immaginare la risposta.

La vita personale di Singer, peraltro, narra una storia assai diversa. La madre si ammalò di Alzheimer e il filosofo, lungi dal sopprimerla per risparmiarle sofferenze, assunse tre infermiere per vegliarla giorno e notte. Lode al gesto filiale, non all’incoerenza, tipica di certi teorici allorché la vita li mette di fronte agli scenari più drammatici.  Tuttavia, verificata alla prova dei fatti l’inumanità delle teorie professate, occorre modificarle, ammettere di aver commesso errori.

Nulla: Singer continua a venderci merce avariata; l’eutanasia è per noi e per i nostri genitori, non per i suoi. Proclama la liceità del cosiddetto aborto postnatale, il nome politicamente corretto dell’infanticidio, ma ha messo al mondo tre figlie . Somiglia molto ai nichilisti che proclamano l’assurdità della vita e la conseguente opportunità del suicidio, raggiungendo la vecchiaia senza puntarsi la pistola alla tempia.  L’animalismo è un’etica rovesciata, e fa parte a pieno titolo delle neo ideologie sottilmente totalitarie – spacciate per progresso e liberazione- come il gender, la digitalizzazione dell’umano ( riduzione a cifra) il transumanesino, il climatismo, tese a colpevolizzare  l’uomo e sconfiggere verità e natura.

La frontiera odierna è l’uguaglianza giuridica tra uomo e animale, il cui esito è costringerci a cambiare le nostre abitudini alimentari umane,  tradizioni e usanze, nonché la concezione che l’uomo ha di se stesso come essere radicalmente diverso dagli altri viventi, patrimonio comune , invarianza delle civiltà, per usare il lessico di Claude Lévi-Strauss, un relativista convinto.

Attraverso un macabro capovolgimento di senso, chi difende i diritti umani passa dall’essere considerato “umanista”, difensore dell’umanità, alla denigrazione : specista, guardiano dei confini tra le specie che legittimano il primato sugli animali. Incubato nelle università americane d’élite come corrente di minoranza (come la teoria gender e il montante transumanesimo) l’animalismo è diventato in fretta uno strumento ideologico di dominio della popolazione.

Il pericolo di aprire il vaso di Pandora diventa chiaro quando Singer promuove l’infanticidio, poiché  “se riusciamo a mettere da parte gli aspetti emotivamente commoventi ma strettamente irrilevanti dell’uccisione di un bambino, vedremo che i motivi dell’uccisione delle persone non si applicano ai neonati”. Per il pluripremiato promotore del progresso morale, “se il diritto alla vita deve fondarsi sulla capacità di voler continuare a vivere, o sulla capacità di vedersi come un soggetto dotato di una mente, un neonato non può avere diritto alla vita”.

Anticipando possibili obiezioni, Singer spiega che “se queste conclusioni sembrano troppo oltraggiose per essere prese sul serio, forse vale la pena ricordare che la nostra attuale protezione assoluta della vita dei bambini è un atteggiamento tipicamente cristiano piuttosto che un valore etico universale. E’ ora possibile pensare a questi problemi senza assumere il quadro morale cristiano che ha impedito per così tanto tempo ogni valutazione alternativa.”

Il punto è dirimente : bisogna rimuovere ogni traccia dell’umanesimo in quanto legato alla visione della vita cristiana. Il che è non è tutta la verità, poiché in Europa l’ umanesimo “laico” è parte integrante della cultura comune sin dal tempo del greco Protagora, per il quale l’uomo è misura di tutte le cose.

Il filosofo “morale” nel 2001, in Heavy Petting ( Carezze spinte) arrivò a difendere la zoofilia, sino ad asserire ( chiediamo scusa , ma non è farina del nostro sacco) che la vagina di una mucca può soddisfare sessualmente un uomo, che alcune donne si sentono più attratte dai cavalli che dagli esseri umani o che è normale per un orango avere un’erezione vedendo una donna perché i limiti tra le specie sono in qualche misura artificiali.

Di più: il naturale rigetto della zoofilia  “è nato come parte di un più ampio rifiuto del sesso non riproduttivo” e “la veemenza con cui questo divieto viene mantenuto mentre altre pratiche sessuali non riproduttive sono state accettate suggerisce che alla base vi è un altro potente motivo: il desiderio degli uomini di differenziarsi, eroticamente e in ogni altro modo possibile, dagli animali.”

 L’animalismo sostituisce l’etica dei legami propri dell’umanità con un’etica degli attributi. Questo modello  presuppone un’assoluta mancanza di protezione per gli esseri umani (e per gli animali) in quanto fa dipendere i diritti e la stessa sopravvivenza dal possesso di un certo attributo (un più alto grado di intelligenza, una maggiore volontà di vivere felici, eccetera.) Un’idea – oggi fatta propria dall’animalismo radicale- che è in realtà la massima promotrice della violenza e dell’ingiustizia nella storia umana, giacché ha giustificato ogni sorta di prevaricazione sostenendo che solo certi soggetti hanno determinati attributi ( di razza, intelligenza, sesso, capacità) con le conseguenze che conosciamo.

Le idee di Singer finiscono per  abolire il confine tra umani e animali, utilizzati strumentalmente come arma con cui espropriarci della nostra specifica dignità e della responsabilità nei confronti della natura.

Anziché liberazione – umana e animale- rappresentano la più compiuta regressione , la negazione di ogni anelito spirituale e, infine la vittoria del più forte e del più cinico.  Una concezione dell’uomo bassa, volgare, negativa, alla quale rispondere con un umanesimo nuovo e antico, capace di sconfiggere la disumanizzazione e la regressione mantenendo il rispetto per noi stessi, la distinzione ontologica nei confronti degli altri viventi, premessa della giusta protezione verso animali e creato.

Resta insuperata la lezione del russo Vladimir Solevev: l’uomo non potrà mai essere uguale all’animale: o si eleva e diventa migliore, o sprofonda in basso e diventa molto peggiore.

La logica antiumana dell’antispecismo , con la folle equiparazione di tutti gli esseri “senzienti”, ha in Pierre Singer il suo più influente banditore, colui che si è incaricato di spalancare la finestra di Overton della regressione animale della specie umana. Tuttavia, sono alcuni movimenti estremi – minoritari, ma assai rumorosi-  a fornire la misura della confusione mentale che regna nel campo dell’animalismo radicale. Il partito spagnolo Pacma – Partido Animalista Con el Medio Ambiente –  , in occasione dell’8 marzo, ha diffuso un manifesto in cui parifica le donne alle mucche , schierandosi per un “femminismo senza distinzione di specie” . L’immagine della campagna mostra da un lato una giovane donna, dall’altro una mucca, con lo slogan “ per un femminismo antispecista , di tutte e per tutte, senza distinzioni.”

https://twitter.com/PartidoPACMA/status/1633379525395632128

L’egalitarismo portato alle conseguenze estreme, unito alla commistione con altre suggestioni culturali malamente masticate conduce a questo; niente di diverso, qualitativamente, da alcuni movimenti del passato, specie di ambito cristiano, come Catari, anabattisti, seguaci di Fra Dolcino, che tuttavia non si erano mai spinti a equiparare la creatura umana – anche per loro oggetto di un piano divino- all’animale. Tuttavia, oltrepassato l’umanesimo, l’esito obbligato dell’idea di uguaglianza è appunto l’equivalenza  di ogni vivente in nome di un equivoco biocentrismo.  Con buona pace di Singer, peraltro, è proprio il cristianesimo, da lui criticato per la morale che impedisce di uccidere i deboli (forse una lettura banalizzata della “morale dei signori e degli schiavi di Nietzsche) a porre le basi per la distinzione ferrea tra uomini e animali. Avvenne all’alba dell’avventura coloniale europea, allorché i conquistatori spagnoli tendevano a non considerare pienamente umani i popoli che stavano sottomettendo.

Il grande filosofo e giurista Francisco de Vitoria (1483-1546) , domenicano, fondatore del moderno diritto internazionale, nel saggio De Indis affermò vigorosamente l’umanità delle popolazioni indigene, negando che i conquistatori avessero il diritto di trarli in schiavitù. I cosiddetti “indios”, infatti, avevano coscienza piena di sé ed erano in grado di autogovernarsi, indipendentemente dalle credenze religiose e da ogni altra pratica e usanza. Vitoria affermava che anche se anche fossero stati come bambini piccoli, avessero qualche ritardo mentale o fossero pazzi, dominarli sarebbe stata un’ingiustizia (iniuria)  poiché immagini di Dio come ogni altro uomo. L’argomentazione di Vitoria è specista , ossia umanista, in quanto stabilisce che gli indios hanno i medesimi diritti degli spagnoli in quanto esseri umani. Il “dominio di sé” implica il possesso di diritti come la proprietà, diversamente dagli animali . “Privare un lupo o un leone della sua preda non implica un’ingiustizia”. Se gli animali avessero il dominio di sé, continua, “chiunque recinti un terreno di erba frequentato dai cervi commetterebbe un crimine, poiché ruberebbe il cibo senza il permesso del proprietario”.  L’esempio di Vitoria oggi sarebbe tacciato di antropocentrismo, un altro dei peccati capitali della specie umana secondo i vangeli apocrifi woke . Alcuni settori del femminismo più radicale lambiscono l’antispecismo: è il caso del cosiddetto xenofemminismo di Helen Hester, che contesta i limiti biologici dell’essere umano e si definisce alieno, a partire dal prefisso “xeno”, estraneo, straniero.

L’approdo finale è il transumanesimo, l’ ideologia antiumana delle oligarchie.  Caposcuola di questi filoni femministi è Donna Haraway, autrice del celebre Manifesto Cyborg, studiosa del rapporto tra scienza e “identità di genere”.  Il  messaggio esprime il rifiuto della condizione umana “normale”. La scelta cyberfemminista è la logica conclusione della teoria dei dualismi della Haraway: la cultura occidentale è caratterizzata da una struttura binaria ruotante intorno a coppie di categorie; uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente.

Un dualismo concettuale non simmetrico, basato sul predominio di un elemento sull’altro: sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali.  La figura del  cyborg, da invenzione fantascientifica  diventa  metafora della condizione transumana: contemporaneamente uomo e macchina, individuo non sessuato situato oltre le categorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà; un prodotto cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà quanto alla finzione.  “ Il cyborg  permette di comprendere come la pretesa naturalità dell’uomo sia solo una costruzione culturale.”

Le riflessioni della Haraway diventano profezia oscura  nell’annuncio di un’era detta Chthulucene. Nella nuova epoca l’aumento della popolazione verrà bypassato in favore di un modello culturale teso “alla generazione di parentele in senso ampio, attraverso decisioni intime e personali per creare vite fiorenti e generose senza mettere al mondo bambini. “ Una delle tante declinazioni della cultura di morte da cui è pervaso l’Occidente contemporaneo.

Il termine Chthulucene richiama il mostro Chthulu, personaggio dello scrittore Howard P. Lovecraft , un essere semi-divino che vive in un sonno simile alla morte, nell’attesa di una congiunzione astrale che ne consenta il risveglio. Chtulhu ha la radice di “ctonio”, sotterraneo, legato all’inquietante mondo del sottosuolo. Tutti i salmi finiscono in gloria: disprezzo per l’essere umano reale, rivolta contro natura e biologia, volontà di superare ogni limite, scatenamento di forze sotterranee. Diverso, ma altrettanto antiumano è il biocentrismo, alla base dell’ideologia climatica, convinta che i cambiamenti del clima terrestre non siano dovuti all’azione di lungo periodo delle forze della natura, ma all’agire umano.

L’obiettivo finale è passare dall’antropocene- il termine coniato dal chimico olandese Paul Crutzen per designare il tempo del dominio dell’uomo sulla natura- a una sorta di “biocene”, giacché gli esseri umani sono degenerati in una minaccia per il mondo naturale. La conseguenza è considerare opportuna  la loro drastica diminuzione sino alla scomparsa della specie. La biodiversità non vale per l’homo sapiens. Se vuoi lottare contro il cambiamento climatico, non avere figli, è uno degli slogan.  L’idea sottostante è che c’è natura solamente laddove non c’è l’essere umano.  Strano che non venga rilevato che solo la nostra specie ha coscienza dei suoi stessi errori ed orrori, e che dunque ogni sistema di idee- anche il più antiumano- può sorgere e sussistere solo dentro l’uomo, che davvero è misura di tutte le cose, soprattutto se è respinta ogni ipotesi di trascendenza.

L’ideologia climatica è la forma più sofisticata di antiumanesimo. Lo dimostrano le conclusioni della ricerca The climate mitigation gap, elaborate dalla rivista Environmental research letters. Le misure suggerite per combattere il riscaldamento globale – dogma ripetuto sino allo sfinimento- si dividono in azioni a basso, medio e alto impatto. Le prime due sono sostanzialmente ragionevoli, da discutere entro la prospettiva umanista. Quelle ad alto impatto sono apertamente antiumane. Spicca la volontà di modificare le abitudini alimentari della specie- onnivora- imponendo il vegetarianesimo e il veganesimo, che da scelte individuali dovrebbero diventare obblighi. In questo caso si tratta di capovolgere un dato biologico naturale in omaggio … alla natura.  Ancora più sconvolgente è la proposta di ridurre drasticamente il numero di esseri umani, allo scopo di diminuire le emissioni di gas con effetto serra. Ogni nuovo nato contribuisce all’atmosfera con cinquantacinque tonnellate di CO2 all’anno, scrive lo studioso Travis Rieder. “Procreando, non stiamo solo creando una nuova persona che emetterà gas serra, ma anche un essere che a sua volta potrà procreare.” La soluzione proposta è l’estinzione volontaria della specie. Non va dimenticato che le tendenze esposte sono variazioni sul tema di un altro dogma occidentale, l’evoluzionismo.

La teoria dell’evoluzione delle specie per selezione naturale elaborata nel XIX secolo da Charles Darwin- peraltro sugli studi precedenti di  Alfred Russell Wallace- è stata imposta come verità cosmologica e scientifica senza che sia stata provata oltre ogni dubbio. Pensiamo ai vari “anelli di congiunzione “ tra la scimmia e l’uomo più volte annunciati e mai esibiti, come l’australopiteco scoperto nel 1925 o l’ipotesi dell’uomo di Pechino del bizzarro gesuita Pierre  Theilhard de Chardin. Nessuno può negare le modificazioni – del clima, della natura, dei viventi- ma è sin troppo chiara l’utilità dell’evoluzionismo per giustificare teorie economiche ( il liberismo alla Adam Smith), pratiche eugenetiche, teorie filosofiche come il positivismo di Herbert Spencer, vero e proprio darwinismo sociale.

L’idea di selezione “naturale” è il potentissimo supporto teorico alle peggiori derive antiumane, costruzione ideologica ad uso di oligarchie che stanno plasmando il senso comune delle generazioni occidentali come senso di colpa e disprezzo per la specie umana, equiparata all’animale o considerata un male da estirpare. Selezionare significa scegliere; le classi dominanti lo stanno facendo per tutti, chiamando eccedenza, scarto, pericolo, gran parte dell’umanità. Non si perviene al transumanesimo – volontà prometeica delle élite- senza prima diffondere nella creatura umana, con le più varie giustificazioni ideali e perfino morali, l’odio di sé.

Senza identità, privato di amor proprio, convinto di incarnare il male, l’ex homo sapiens diventa un atomo alla deriva nemico di se stesso, a cui è impossibile ascoltare la lezione di Terenzio: “sono un uomo; nulla di umano mi è estraneo.”

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