LA DONNA ELETTRICA: UNA LEZIONE DI CINEMA E DI VITA

fonte immagine: Vimeo

 

Un’opera piena di ricchezze, integrità, ribellione e senso civile

 

Benedikt Erlingsson, con “La Donna Elettrica”, confeziona un’opera deliziosa, una boccata d’aria fresca, non solo per l‘ambientazione islandese.

L’informazione cinematografica in Italia è, come accade per molti campi, assai americanocentrica, e non ci permette di conoscere a fondo personaggi importanti come questo regista alla sua seconda opera.

Erlingsson è anche attore teatrale e autore, ha lavorato per la tv ed al cinema era fra il cast dell’altrettanto strepitoso “Il grande capo” di Von Trier.

A livello cinematografico non siamo dalle parti del “dogma”, cioè della totale negazione degli “arnesi” ed “artifizi” di montaggio, effetti speciali, musica fuori scena e quant’altro, con cui si eccede nel cinema più commerciale, quanto ad un loro sapiente uso assolutamente finalizzato al messaggio ed allo stile desiderato.

Apprezzo sempre un regista che riesce in modo intelligente a trasmettere una grande “sostanza” con un tocco leggero e adatto anche al grande pubblico, senza cedere di un millimetro sul fronte dei contenuti e, addirittura, con un di più di “poetica” come accade in questo caso.

Forse l’aver calcato e saggiato i vari fronti del mestiere, tutte le sue prospettive, ha aiutato l’autore a sviluppare l’equilibrio raggiunto in quest’opera.

Senza raccontare molto, odio le recensioni che svelano quasi tutto, diciamo che il tema principale del film è la difesa dell’ecologia, che diventa necessariamente lotta alle multinazionali, presa di coscienza e assunzione di responsabilità da parte di persone vicine alla grande protagonista, implicita critica al sistema dell’informazione che in tutta evidenza “circuisce” il sentire del pubblico, esposizione di valori legati alla terra e alle tradizioni in contrapposizione alla modernità e alle costruzioni industriali, visione del futuro di controllo su cui siamo già avviati di gran carriera anche in un’Islanda che forse immaginiamo più a misura d’uomo di quanto in effetti è.

Il tutto impreziosito da musiche per niente banali, anche dalla metrica particolare, suonate live dai musicisti che le hanno composte ed usati dal regista come surreali comparse.

Il film ci fa ben vedere come non siamo più consapevoli dell’arroganza di un sistema che sta pesantemente condizionando il nostro futuro e il nostro sentire, la stessa “arroganza”, a ben vedere, dell’industria cinematografica made in USA che per questo come per altri casi, ritiene di “dover” dare la sua versione dell’opera con la stella Jodie Foster.

Invece di creare una grande scuola di doppiaggio, come quella italiana, ricostruiranno il prodotto ad uso e consumo della loro industria, arma senza bombe di conquista planetaria.

Ennesimo esempio di un mondo indirizzato nei binari delle corporation, ma economicamente al collasso per i più e lanciato verso il naufragio ambientale: il doloroso grido con cui ci lascia questo grande film.

 

Massimo Franceschini, 15 dicembre 2018

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