di Giovanni Lazzaretti

Le radici del conflitto tra Russia e Ucraina sono molto antiche, ma cerchiamo quantomeno di fare un racconto oggettivo degli ultimi decenni

Così immagino Russia e Ucraina unite e tranquille nella gabbia unificata del comunismo, e inizio a scrivere la vicenda dalla fase di deflagrazione dell’URSS.

 

Dissoluzione dell’URSS e “vocazione” dell’Ucraina

Non c’era alcun motivo particolare perché l’URSS si dissolvesse: avrebbe dovuto solo uscire dal comunismo e cambiare nome. Il nome CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) [1] non era scelto male: poteva anche diventare il nome di una Repubblica Federale. 

In fondo quando parliamo degli USA stiamo parlando di una sigla generica (Stati Uniti d’America) che non dice nulla sulla sostanza della Repubblica Federale.

Se in America si riesce a tenere uniti un contadino del Nord Dakota e un liberal della California, la faccenda poteva riuscire anche con la ex URSS.

Di fatto il 26 dicembre 1991 l’URSS si dissolve. Nascono ufficialmente una serie di Stati che fino a un attimo prima erano divisioni amministrative all’interno di un progetto unico (il progetto comunista: deleterio, ma unitario).

Quando delle divisioni amministrative diventano Stati, devono reinventare un po’ tutto: dall’esercito alla moneta. E soprattutto devono darsi una “vocazione”. Come ci collochiamo, ora che siamo indipendenti? 

Per fare l’esempio più semplice: le 3 piccole repubbliche del Baltico (Estonia, Lettonia, Lituania) sapevano bene cosa volevano fare: stare lontane dalla Russia il più possibile.

Erano state sotto lo Zar per 2 secoli (la Lituania un po’ meno, dal 1795), erano diventate indipendenti dopo la prima guerra mondiale, infine erano state riprese dall’URSS dopo la seconda guerra mondiale.

“Stare lontani dalla Russia” poteva essere la linea delle 3 repubbliche baltiche, perché hanno un’identità etnica abbastanza [2] forte, ossia risulta ben chiara l’etnia maggioritaria e quelle minoritarie.

Ma l’Ucraina non poteva dire «sto lontana dalla Russia», per il semplice motivo che la Russia l’aveva in casa propria: più o meno la metà della popolazione era russa/russofona/russofila. 

Quale doveva essere allora la vocazione dell’Ucraina?

 

Russi, russofoni, russofili. E la vocazione erronea dell’Ucraina

L’etnia russa è la più grande d’Europa e una delle più grandi del mondo.

E l’attrattiva culturale russa va ben al di là dell’etnia.

In Ucraina i numeri stanno circa in questo modo. O meglio, “stavano” in questo modo [5].

  • Gli Ucraini erano il 77,5% // i Russi 17,2% // 5,3% gli altri.
  • Il Russo però era la lingua madre del 29,3% della popolazione, ben al di là dell’etnia.
  • E, passando dai censimenti ai sondaggi, il Russo veniva usato dal 43-46% della popolazione, ossia la stessa percentuale di quelli che parlavano ucraino.
  • Se andiamo a livello elettorale, la russofilia era addirittura maggioritaria, come vedremo dopo.

Uso delle cartine di Wikipedia per capirci meglio. (Consultazione di oggi, 12 novembre 2022)

 

Questa è la percentuale di persone di madrelingua russa secondo il censimento del 2001, nei vari oblast’ [6] e Repubblica Autonoma di Crimea.

Questa è invece la percentuale delle persone che preferiscono usare la lingua russa secondo il sondaggio pubblicato nel 2004. La mappa è fatta sulle macro-regioni, non sui singoli oblast’.

E questa infine è la mappa del sostegno alla lingua russa come seconda lingua ufficiale dello Stato ucraino, secondo un’indagine del 2005.

Il dato di realtà era che l’Ucraina doveva assumere la vocazione di “Stato mite”, dovendo tenere conto non di una semplice minoranza, ma di una sostanziale divisione in due dell’attrattiva culturale tra occidentalisti e russofili.

Invece la neonata Ucraina spinse da subito per una “ucrainizzazione” culturale e linguistica a scapito del Russo.

La spinta è arrivata fino alla legge del 2019

  • che richiede a tutti i cittadini di conoscere l’ucraino
  • che rende obbligatorio l’uso della lingua ucraina negli uffici pubblici, nelle scuole e università, nelle attività scientifiche, culturali, sportive
  • che prevede che le pubblicazioni in lingua diversa dall’ucraino siano accompagnate dalla traduzione in ucraino.

Un modellino inquietante, che fa impallidire la “italianizzazione” del Sud Tirolo realizzata in epoca fascista.
(Per immaginarci però il livello di russofilia presente in Ucraina dobbiamo pensare un immaginario Sud Tirolo esteso a tutto il nord Italia, più la Toscana).

E, naturalmente, a ogni azione violenta corrisponde una reazione.

Così succedevano in Ucraina cose di questo tipo.

Nel 2006 il consiglio municipale della città di Kharkiv per primo ha dichiarato il russo lingua ufficiale a livello comunale. Successivamente quasi tutte le regioni meridionali ed orientali dell’Ucraina hanno fatto lo stesso. Nonostante l’appello del presidente Viktor Yushenko [presidente dal 2005 al 2010, NdR], solo poche giurisdizioni hanno revocato queste decisioni. (Wikipedia)

 

La storia elettorale dell’Ucraina

La storia più recente dell’Ucraina è racchiusa in queste tre cartine elettorali.

In questa prima cartina è descritto il ballottaggio delle presidenziali 2004 tra il candidato Yanukovich [5] (filo-russo, colore azzurro-blu) e il candidato Yushenko (filo USA/filo UE/filo NATO, colore giallo-ocra).

In questa seconda cartina c’è invece il ballottaggio delle presidenziali 2010, ancora tra il candidato Yanukovich (filo-russo, colore azzurro-blu) e la candidata Tymoshenko (filo USA/filo UE/filo NATO, colore rosa-rosso).

E infine nella terza cartina abbiamo le elezioni presidenziali del 2014, dove il candidato Poroshenko vince al primo turno col 54,70% dei voti. La seconda classificata Tymoshenko stava al 12,82%. Entrambi i candidati erano filo USA/filo UE/filo NATO.

Com’è possibile che uno Stato sostanzialmente diviso in due orientamenti (filo USA-UE-NATO // filorusso) alla fine produca un’elezione plebiscitaria per Poroshenko?

 

Cronologia degli avvenimenti 2004-2019

Un paese diviso in 50% di filo USA-UE-NATO e 50% di filorussi diventa a un certo punto interamente omologato. 

Il tutto avviene attraverso questi passaggi.

Nel 2004 il ballottaggio per le presidenziali lo vince il filorusso Yanukovich, ma le elezioni vengono contestate, e la piazza della cosiddetta “rivoluzione arancione” costringe alla ripetizione del ballottaggio. 

Furono riportati casi di irregolarità e abusi, come voti multipli e voti extra assegnati a Yanukovich dopo la chiusura delle urne. Gli exit poll misero Yushenko in vantaggio nelle regioni occidentali e centrali della nazione.

La supposta frode elettorale, combinata col fatto che gli exit poll davano un margine di vittoria consistente per Yushenko (in alcuni casi l’11%), numero che si rivelò molto diverso dal risultato definitivo (una vittoria del 3% per Yanukovich), spinsero Yushenko e i suoi sostenitori a non accettare i risultati ufficiali. (Wikipedia)

Considerata l’attendibilità degli exit poll (vedere le elezioni italiane…) è un po’ ridicolo che la Corte Suprema annulli il ballottaggio e lo faccia ripetere. Il tutto avviene quindi sotto la pressione della piazza (i 13 giorni della “rivoluzione arancione”), più che sull’esame dei dati. Nonostante Yushenko affermi che, nella ripetizione, avrebbe vinto col 60% dei voti, finisce per vincere solamente col 52%.

Ma si arriva alle elezioni presidenziali del 2010, e c’è sempre Yanukovich al ballottaggio, stavolta contro Yulia Tymoshenko (“principessa del gas”, secondo la Treccani).

Yanukovich vince, e stavolta “secondo i successivi report dell’OCSE e dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, le consultazioni si sono svolte regolarmente, in un contesto equo e trasparente”. 

Il che mi fa pensare sommessamente che forse Yanukovich aveva vinto anche la volta precedente, e che gli eventuali brogli fossero ininfluenti sul risultato. Il ballottaggio 2004 rifatto dopo 13 giorni di rivolta di piazza ha infatti un significato democratico molto modesto.

Siamo comunque in una situazione di piena evidenza: che si guardi al ballottaggio annullato del 2004, o al ballottaggio rifatto del 2004, o al ballottaggio del 2010, l’Ucraina è un paese diviso in due.

Comunque dal 2010 il presidente è Yanukovich democraticamente e correttamente eletto. E filorusso.

Yanukovich nel 2013 “data la critica situazione delle finanze pubbliche, aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal Presidente Putin, che legava ancora di più il Paese alla Russia”.

In pratica Yanukovich aveva rifiutato il classico prestito “stile Troika” (prestiti in cambio di “riforme & privatizzazioni”, lacrime e sangue per la popolazione) in favore di un prestito russo che si sarebbe limitato a creare una zona d’influenza, non certo una “gabbia del debito” come toccò alla Grecia.

E qui inizia la rivoluzione di Euromaidan, 2013-2014, attraverso la quale una violentissima piazza filo USA-UE-NATO costringe il presidente democraticamente eletto a fuggire.

Il 22 febbraio 2014 il presidente Yanukovich fugge da Kiev e si rifugia in Russia. Il 24 febbraio viene spiccato un mandato d’arresto nei suoi confronti. 

L’11 marzo 2014 la Repubblica Autonoma di Crimea si dichiara indipendente dall’Ucraina. Il 16 marzo 2014 un referendum vota a larga maggioranza l’autodeterminazione della Crimea e la richiesta di adesione alla Federazione Russa (niente di strano, visto che in Crimea Yanukovich aveva preso il 78,24% dei voti nel 2010).

Il tutto viene indicato come “illegittimo” dalla dirigenza ucraina. Ma ovviamente la stessa dirigenza ucraina dovrebbe essere dichiarata “illegittima”, essendo il frutto del colpo di stato di Euromaidan.

La strage di Odessa del 2 maggio 2014 indica ai russi/russofoni/russofili che aria tira.

La strage di Odessa è un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti ucraini ai danni dei manifestanti che si opponevano al nuovo governo instauratosi nel Paese in seguito alle rivolte di piazza di Euromaidan. 

In concomitanza del rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze nei confronti degli aggrediti, trovarono la morte almeno 48 persone tra impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo, simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra.
(Wikipedia)

Questa era la frase di Wikipedia condivisa da tutti fino al febbraio 2022 (per fortuna la scaricai per tempo sul calcolatore). Adesso invece l’hanno modificata e suona così.

Il rogo di Odessa è stato un incendio verificatosi il 2 maggio 2014 presso la Casa dei sindacati di Odessa, in Ucraina, a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino determinatosi nel paese dopo le proteste di Euromaidan. Il rogo ha portato alla morte di 42 persone.
(Wikipedia attuale)

La Crimea era una Repubblica Autonoma e poté organizzare il referendum-salvezza in breve tempo. Donetsk e Luhansk provano anche loro a organizzare il referendum, ma non fanno in tempo, perché arrivano le truppe ucraine (e i battaglioni vari) ad attaccare una parte dei cittadini ucraini.

È la guerra del Donbass, 2014-2022, trasformatasi poi nella guerra attuale.

Le elezioni 2014 ovviamente sono una farsa, perché un candidato filorusso semplicemente non si presenta (c’era da rischiare la pelle, dopo il trattamento riservato a Yanukovich); inoltre la Crimea non c’è più e le aree sotto attacco militare non votano. Vince Poroshenko al primo turno.

Il 5 settembre 2014 viene firmato da Ucraina, Russia, Donetsk e Luhansk il protocollo di Minsk per fermare la guerra del Donbass. Protocollo mai realizzato, tanto che il 12 febbraio 2015 si deve arrivare a Minsk II, tirando in ballo Francia e Germania come garanti.

Risulta comunque inapplicato anche il prootocollo di Minsk II: l’Ucraina evidentemente “risponde” a USA e Polonia, non a Francia e Germania.

Nelle elezioni 2019 avviene l’incredibile: il presidente uscente, Poroshenko “re del cioccolato”, viene battuto dall’attore comico Zelenskyj che, attraverso una campagna elettorale interamente virtuale, passa dal ruolo di “attore comico che recita in TV la parte del presidente ucraino” a presidente ucraino reale.

 

Un 2021 caldissimo

Con gli accordi di Minsk inapplicati la guerra dell’Ucraina contro il proprio popolo va avanti imperterrita.

Il contesto internazionale, con Trump negli USA (il meno guerrafondaio dei presidenti USA) e la Merkel in Germania (che parlava con Putin direttamente in russo), consentiva almeno una “guerra a bassa intensità” (chiedere però agli abitanti del Donbass per sapere come si vive in una “guerra a bassa intensità”) e la garanzia che l’Ucraina non entrasse nella NATO.

Nel 2021 cambia tutto.

  • Negli USA arriva Biden e torna ai vertici Victoria Nuland, una delle maggiori promotrici del colpo di stato di Euromaidan (c’è anche il filmino che la ritrae mentre porta sacchetti di pane, munifico dono degli USA, ai manifestanti).
  • In luglio in Ucraina avvengono le manovre militari congiunte Polonia + Lituania + Ucraina (assieme agli USA, ovviamente), col nome di “Three Swords (Tre Spade).
  • In dicembre finisce l’era Merkel, e il contatto diretto Germania-Russia cessa.
  • Il primo atto che fa la Polonia col nuovo cancelliere Scholz, 9 dicembre 2021, è quello di chiedere il non utilizzo del gasdotto Nord Stream che porta energia dalla Russia alla Germania.

Il 24 febbraio 2022, ottavo anniversario del mandato di cattura per Yanukovich, inizia la “operazione speciale”, ossia la guerra esplicita tra la Russia (che riconosce Donetsk e Luhansk come repubbliche autonome) e l’Ucraina.

 

Commento sulla cronologia

La cronologia aiuta.

Il nostro problema è che abbiamo cancellato mediaticamente la guerra del Donbass (truppe ucraine e battaglioni vari che attaccano i propri cittadini, oltre all’attacco amministrativo della cancellazione delle pensioni e dei sussidi per la popolazione) e fingiamo di credere che l’Ucraina fosse tranquilla e in pace fino all’attacco di Putin del 24 febbraio 2022.

Ci siamo completamenti dimenticati gli accordi di Minsk II [6] coi quali Francia Germania Russia Ucraina concordavano zone smilitarizzate, modifica della Costituzione ucraina, autonomia per le aree russe/russofone/russofile, ripristino di pensioni e sussidi, eccetera. Accordi mai realizzati, ma esistenti.

Quindi Putin stava portando pazienza da 7 anni, quando decide di entrare in Ucraina in difesa dei “suoi”. 

Suoi nel senso di russi/russofoni/russofili; territori che passerebbero senza problemi con la Russia in caso di liberi referendum. Adesso sono passati con la Russia tramite referendum in tempo di guerra; ma le mappe elettorali che ho riportato indicano che ci passerebbero a larghissima maggioranza anche in tempo di pace.

L’Ucraina ha cessato di essere un paese democratico con la rivoluzione di Euromaidan: ha conservato le forme, ha ucciso la sostanza, eliminando dall’agone politico il 50% della popolazione (quella russa/russofona/russofila, che non ha più rappresentanza).

La guerra d’Ucraina non è quindi l’attacco di Putin all’Ucraina.

È invece la risposta di Putin, dopo 7 anni di attesa e di promesse mancate, all’attacco dell’esercito ucraino e di brigate varie alla componente russa/russofona/russofila che era maggioritaria nel paese (ricordiamo ancora la vittoria di Yanukovich nel 2010) e che aveva rifiutato la gabbia del debito occidentale, in favore di un prestito russo.

Quindi l’Italia che fornisce armi e supporto all’Ucraina sta partecipando come parte attiva a una guerra che non ci riguarda e nella quale il primo aggressore è l’Ucraina stessa. 

In fondo è la riproduzione 2022 della guerra di Libia 2011, nella quale, con la foglia di fico di “proteggere i civili”, fummo parte attiva nell’attacco a Gheddafi. Mentre gli attaccanti veri erano i mercenari al soldo dell’Occidente e di qualche paese del Golfo.

 

Individuazione della strategia USA

La strategia USA è ormai abbastanza palese.

Innanzitutto ricordiamoci che alla fonte della guerra c’è la “terribile” scelta di Yanukovich: scegliere il prestito russo “normale” al posto del prestito-gabbia occidentale (soldi in cambio di riforme neoliberiste, privatizzazioni, lacrime & sangue per il popolo).

Guai a toccare i meccanismi finanziari predatori.

Gli USA puntano palesemente a realizzare (100 anni dopo…) l’idea del generale Pilsudski che voleva riunire Polonia, Lituania, Ucraina (i 3 Stati delle citate manovre Three Swords) e Bielorussia in una federazione che facesse barriera contro i due nemici storici della Polonia: Germania e Russia.

Agli USA va benissimo che la Germania venga tagliata fuori dai rifornimenti energetici russi: un indebolimento contemporaneo di Russia e Germania non può che favorire gli USA. E la fedelissima Polonia diventa la colonia prediletta che dovrà realizzare in permanenza questa separazione Germania-Russia.

In attesa ovviamente di “disfare” la Russia a pezzetti, come se fosse una Jugoslavia qualsiasi.

Tratto da:
https://eurasiangeopolitics.com/russia-maps/russia-rf-political-alternative-breakup/

In più la NATO ha approfittato della guerra per chiamare a sé anche Svezia e Finlandia, facendo del Baltico un mare della NATO.

 

E Kherson che c’entra?

E Kherson [7] del titolo che c’entra?

Niente, è una sorta di quiz.

Secondo voi, in base alla cronologia esposta, la città di Kherson è stata “liberata”?

Guardiamo la cartina della situazione militare attuale. 

Cherson sta più o meno dove c’è la freccia, alla foce del Dnepr.

Se guardate le cartine elettorali, vedrete che Cherson sta in zona azzurra, anche se più tenue rispetto alle zone attorno. Comunque siamo in territorio russofilo: nell’Oblast di Cherson il filorusso Yanukovich aveva ottenuto il 59,98%.

È quindi probabile che a Cherson non tutti siano contenti del ritorno dell’esercito di Kiev con l’aggregato di milizie varie che fino al 2021 definivamo “neonaziste” e oggi “patriotiche”.

Così la notizia che è sfuggita è questa.

Il ritiro dalla città di Kherson costituisce una sconfitta sul piano militare e simbolico poiché la città è l’unico capoluogo regionale conquistato dai russi dall’inizio del conflitto e la regione di Kherson è una delle quattro annesse alla Federazione Russa in seguito ai referendum di fine settembre. 

Una sconfitta, ma non una disfatta o più probabilmente un ridimensionamento delle ambizioni dell’operazione speciale varata da Mosca il 24 febbraio che fa seguito al ritiro in settembre dalla regione di Kharkiv, avvenuto però con un repentino ritiro di fronte all’offensiva ucraina che sfondò facilmente linee difensive quasi del tutto sguarnite di armi e truppe.

Il comandante delle truppe russe in Ucraina, il generale Sergey Surovikin, ha ricevuto dal ministro Shoigu l’ordine di avviare il ritiro secondo un piano messo a punto dallo stesso Surovikin subito dopo aver assunto il comando, quando diede il via all’evacuazione di tutti i civili che volevano lasciare le loro case a Kherson e negli altri centri sulla riva sinistra del Dnepr. Un esodo che ha visto muoversi verso la Crimea e il territorio russo 88mila abitanti della città (che prima della guerra ne contava 300 mila) e 115mila dell’intera regione.

Di fatto i russi hanno evacuato la popolazione, fedele a Mosca, per sottrarla ai bombardamenti ucraini e soprattutto alle feroci rappresaglie che le milizie nazionaliste inserite nei servizi di sicurezza di Kiev hanno perpetrato (nel silenzio dei media occidentali) nei territori riconquistati dall’esercito ucraino. Sotto l’incalzare di forze ucraine numericamente preponderanti (Kiev ha pochi giorni fa avviato il reclutamento forzato di altri 100mila uomini) Surovikin ha suggerito la “decisione difficile” di ritirare la linea di difesa lungo la sponda sinistra del Dnepr.

Ho citato ampiamente Gianandrea Gaiani da La Nuova Bussola Quotidiana.

115.000 persone se ne sono andate per mettersi sotto protezione russa.

E che altro potevano fare, visto come l’Ucraina tratta i filorussi dal 2014 in poi?

Anche l’ANSA cita l’avvenimento.

(ANSA) – MOSCA, 07 NOV – L’ultima nave con i civili evacuati dalla riva destra del Dnepr, a Kherson, ha effettuato oggi la traversata per attraccare alla riva sinistra. Lo ha detto Kirill Stremousov, vice capo dell’amministrazione civile-militare della regione controllata dai russi.

I residenti che sono rimasti potranno andarsene d’ora in poi solo con mezzi propri. Gli evacuati, ha aggiunto Stremousov, verranno trasferiti in Crimea e poi in altre regioni della Russia e sistemati in alloggi temporanei. (ANSA).

L‘ANSA si dimentica solo di dire i numeri e di dire il “perché” questi residenti se ne vanno, invece di rimanere a festeggiare i liberatori.

Così è la situazione. 

Continuiamo a pregare per rapidi negoziati.

Negoziati di pace? Almeno di “non guerra”. Mediatori in gamba in giro non ce ne sono.

 

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

 

NOTE

  1. Nome scelto prima della dissoluzione formale dell’URSS.
  2. Uso volutamente la parola “abbastanza”, perché i numeri sono questi: in Estonia il 68,8% sono Estoni, il 25,1% Russi, il 6,1% altri // in Lettonia 61,8% Lettoni 25,6% Russi 12,6% altri // in Lituania 84,2% Lituani 5,8% Russi 10,0% altri.
  3. Mi riferirò sempre a numeri del censimento 2001 e a sondaggi del 2004, ossia a numeri conteggiati “prima”. Prima degli eventi distruttivi iniziati nel 2004.
  4. Suddivisioni amministrative, paragonabili alle nostre province o regioni.

 

Appendice sugli accordi di Minsk II

Minsk – Quando la politica europea può solo “andare a farsi fottere”

Il protocollo di Minsk dell’11 febbraio 2015 (firmato da Russia, Ucraina, Francia, Germania) nasce a completamento del protocollo precedente del settembre 2014, con lo scopo di chiudere la guerra del Donbass. 

Per il testo completo del protocollo di Minsk rimando a Internet. Sintetizzo solo quelle parti che aiutano a comprendere la guerra del Donbass, visto che è dimenticata e oscurata.

Ritiro di tutte le armi pesanti da ambo le parti a distanze uguali per creare una zona di sicurezza con profondità almeno 50 km riferita a sistemi di artiglieria di calibro di 100 mm o più, aumentata a 70 km per i sistemi MLRS [lanciarazzi multiplo] e a 140 km per i sistemi MLRS “Tornado-S”, “Hurricane”, “Twister”.

Quindi togliamoci dalla testa che la guerra del Donbass sia una sorta di guerriglia urbana. 

Si parla di armi pesanti e quindi di una distruzione immensa in queste aree abitate principalmente da russi/russofoni/russofili. Una fascia di sicurezza di 140 km. è significativa. L’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) avrebbe dovuto monitorare il tutto, anche con satelliti, droni, sistemi radar, ecc.

Subito dopo il ritiro, dovevano essere definite le modalità delle elezioni locali in Donetsk e Lugansk. Entro 30 giorni il Parlamento ucraino doveva definire le aree che sarebbero state soggette a questa forma di autonomia.

Quindi l’Ucraina era d’accordo sul fatto che queste aree dovevano godere di autonomia, blando risarcimento dopo aver cacciato con la forza il presidente Yanukovich che costituiva la loro forma di protezione.

Fornire un accesso sicuro, consegna, stoccaggio e distribuzione di assistenza umanitaria ai bisognosi sulla base di un meccanismo internazionale.

Quindi in Donbass c’è una crisi umanitaria: l’Ucraina aveva davvero attaccato la vita dei suoi cittadini. 

Determinazione delle modalità del completo ripristino delle relazioni socio-economiche, compresi i trasferimenti sociali, come le pensioni e altri pagamenti.

Quindi era vero il discorso del presidente ucraino Poroshenko(*) dove diceva che «così è solo così vinceremo la guerra»: “noi” (ucraini dell’ovest) avremo il lavoro, le pensioni, i sussidi per bambini e pensionati, asili e scuole; “loro” (ucraini del Donbass) non li avranno, e i loro bambini vivranno nelle cantine.

Riforma costituzionale in Ucraina con l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, di una nuova costituzione, intesa come elemento chiave di decentramento (tenendo conto delle caratteristiche delle singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk, concordato con i rappresentanti di questi settori), nonché l’adozione della legge permanente sullo status speciale delle singole regioni di Donetsk e Lugansk.

Quindi non ho sbagliato evocando l’esempio del Sud Tirolo // Alto Adige come esempio virtuoso che l’Ucraina doveva seguire per superare il suo miope nazionalismo. Lo status speciale comprendeva diverse cose tra cui

il diritto all’autodeterminazione della lingua.

Quindi era vero che l’Ucraina ha tentato un’omologazione linguistica sullo stile del nostro periodo fascista: imposizione della lingua ucraina anche ai russi che non la parlano.

Tutte queste non erano “rivendicazioni”, ma “accordo firmato” da Ucraina (come colpevole del colpo di Stato e causa scatenante della guerra del Donbass), Russia (come protettore armato di Donetsk e Lugansk e quindi coinvolta nella guerra), Francia & Germania (principali Stati europei, mediatori).

***

Quale è il problema? 

Che il presidente Poroshenko rispondeva alla statunitense Victoria Nuland, gestore di Euromaidan, quella che nel 2014 aveva garbatamente invitato l’Unione Europea a fottersi («Fuck the EU») per quanto riguardava la gestione dell’Ucraina. E che è di nuovo ai vertici adesso che c’è la guerra 2022.

Il presidente Poroshenko e altri dell’opposizione ucraina certamente incontrarono la Nuland e il Segretario di Stato USA Kerry a Monaco il 1 febbraio 2014, poco prima dello scoppio della rivoluzione di Maidan (seconda fase di Euromaidan). 

Poroshenko quindi ha referenti USA, non UE. 

E l’Ucraina è talmente “colonia” che nel gennaio 2015 si ritrova ad avere 3 ministri stranieri nel governo Yatseniuk, ai quali viene frettolosamente data la cittadinanza ucraina.

Il ministero delle finanze, un posto cruciale considerando la situazione economica del paese e la crescente insoddisfazione da parte del Fondo Monetario Internazionale per l’assenza delle riforme richieste, è stato affidato a Natalie Yaresko, cittadina americana di origine ucraina, laureata in Public Policy alla Kennedy School of Government. 

Nella parte iniziale della sua carriera la Yaresko ha ricoperto vari ruoli all’interno del Dipartimento di Stato Americano. Dal 1992 vive a Kiev, prima come dipendente della sezione economica presso l’Ambasciata americana e poi come amministratrice di una società (Western NIS Enterprise Fund) impegnata nel collocamento dei fondi governativi USA in Ucraina e Moldavia.

(https://www.eastjournal.net/archives/52857)

La Yaresko è quindi stata messa lì per gestire la classica trappola del Fondo Monetario Internazionale: prestiti in cambio di “riforme strutturali”. 

Tradotto in linguaggio comune: povertà, privatizzazioni, Ucraina divorata da fondi d’investimento stranieri.

Gli altri due ministri, sempre in posti chiave (Commercio e sviluppo economico + Sanità) erano un lituano e un georgiano, entrambi formatisi negli USA. 

Il ministero del commercio e dello sviluppo economico è stato affidato a Aivaras Abromavicius, cittadino lituano che nella sua carriera ha ricoperto importanti posizioni all’interno del sistema bancario. 

Laureato in Business Internazionale presso la Concordia University del Wisconsin, negli anni novanta ha lavorato per Hansabank e Swedbank group, principali istituti bancari operanti nei paesi baltici. 

Dal 2002 è entrato a far parte di East Capital, fondo d’investimenti specializzato nei mercati emergenti e nella regione est-europea. (sempre tratto da eastjournal)

Eh, quanto è duro il lavoro per esportare democrazia.

Poroshenko ha firmato Minsk, ma di fatto ha ignorato la firma e ha concretizzato la parolaccia della Nuland: se ne è “fottuto” dei due mediatori Francia e Germania, e non ha mai realizzato nulla di ciò che era in suo potere. 

Per il semplice fatto che il potere vero stava altrove.

 

NOTA

(*) Vedere ad esempio https://www.youtube.com/watch?v=GuCqgDpXQ-Q 

Non conoscendo la lingua, ci si deve fidare dei sottotitoli, ovviamente. Ma il testo del protocollo di Minsk ne avvalora l’autenticità.

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