Bruxelles ci sta facendo perdere la guerra del futuro. Quella tecnologica

di Massimo Bordin

Secondo il sociologo bielorusso di fama internazionale Evgeny Morozov il mondo sta transitando da una guerra commerciale di tipo classico ad una nuova guerra fredda, ma la vecchia Europa risulta già fuori e già perdente.

Le rivoluzioni tecnologiche hanno semre avuto anche conseguenze geopolitiche e l’intelligenza artificiale oggi sta ridefinendo l’economia mondiale e i suoi centri di potere.

Coloro che padroneggiano questa nuova tecnologia, caratterizzata dall’Intelligenza artificiale e dalla realtà aumentata diventeranno le superpotenze di questo secolo, lasciando ai margini le produzioni tradizionali (tessile, meccanica, ecc).

Secondo Morozov (ma anche Alberto Forchielli qui sostiene una tesi simile) noi europei siamo stati la metropoli centrale durante le rivoluzioni industriali, ma oggi stiamo diventando una colonia tecnologica digitale. Cina e Stati Uniti stanno conducendo quella battaglia che l’UE avrebbe dovuto iniziare con loro dieci anni fa.

Perché non gareggiamo?

Perché ci aspettavamo che, com’era successo in passato, gli Stati Uniti ci avrebbero fatti diventare un fornitore di tecnologia. Mentre credevamo questo Bruxelles, invece di garantirci una posizione da potenza tecnologica, si è preoccupata solo di proteggere il consumo e il libero mercato.

Mentre la Ue faceva e predicava liberismo, gli altri si organizzavano in modo radicalmente diverso.

Washington e Pechino hanno difeso i cittadini anche nei loro interesssi  geostrategici.

Si poteva, ad esempio, impedire alle aziende cinesi di acquistare le più avanzate tecnologie  della UE e tornare al protezionismo, come gli Stati Uniti, quando la situazione lo richiede.

In Europa noi ora soffriamo il monopolio della FANG: Facebook, Amazon, Netflix, Google, ma non è solo un  problema di monopoli classici.

È più complesso. Se l’Europa non vuole diventare un semplice mercato passivo, proprio come lo era per lei la Cina stessa e l’Asia o l’Africa, deve riformulare le regole nel campo dell’intelligenza artificiale.

L’UE non ha grandi piattaforme che forniscono i grandi dati (big data), come Google o Alibaba e gli altri cinesi e americani.

Sembrava che gli Stati Uniti fossero da tollerare solo per quello: è stato il nostro grande partner commerciale per 70 anni. Ma ora l’UE dovrebbe avere una propria agenda e – tramite il potere politico ed i meccanismi istituzionali – fare in modo che questi giganti tecnologici permettano alle imprese e agli imprenditori locali di accedere ai propri dati.

Per evitare di diventare una colonia, le leggi dovrebbero socializzare i big data, che sono la base dell’intelligenza artificiale, e metterli a disposizione di imprenditori, ricercatori e imprenditori locali nell’UE.

In caso contrario pagheremo il prezzo dell’arretratezza tecnologica, che alla fine si rivelerà anche una perdita di benessere. In Germania questo è un dibattito che preoccupa seriamente.

Dovremmo allora avere una UE più unita e meno riluttante a usare il suo potere politico?

Se proprio non si riesce a toglierla di mezzo, che almeno faccia leggi che costringono le multinazionali tecnologiche a pubblicizzare i dati strategici.

Internet è stato un investimento militare statunitense e  Washington continua a vigilare sulla sua egemonia sostenendo la ricerca sull’intelligenza artificiale grazie alle grandi piattaforme che accumulano i big data. Per quanto riguarda la Cina … ha già annunciato che la sua priorità principale è l’intelligenza artificiale.

Infine, non possiamo dimenticare gli altri grandi player di questo gioco dirompente, che sono i fondi sovrani e la loro scommessa da miliardi di dollari per mettere al loro servizio il sistema produttivo europeo (quello che Forchielli chiama “messicanizzzazione” del sistema Italia, per intenderci)

I fondi extraeuropei anno tasche molto grandi. Oltre ai fondi asiatici e cinesi, i fondi dei paesi del Golfo investono somme ingenti in intelligenza artificiale.

Per cosa?

Il paradosso è che prendono in prestito denaro dagli Stati Uniti e lo mettono in tecnologia. Uber, ad esempio, perde 4 miliardi all’anno, ma non gliene importa: grazie a questi fondi può continuare a spendere fino a quando le sue automobili autonome sostituiranno i trasporti locali nell’UE.

Ci vorranno ancora alcuni anni.

Lo schema sarà ripetuto settore dopo settore nella UE attraverso questi immensi investimenti fino a quando i benefici provenenti dall’Europa produttiva di beni – che una volta venivano lasciati dove in Europa dove venivano generati – voleranno verso gli altri continenti.

Quello sarebbe il modello coloniale, in effetti, ma ora non è l’Europa a parteciparne.

I benefici quindi sono andati in passato a chi possedeva i mezzi di produzione e ora andranno a coloro che possiedono i mezzi di automazione.

In questo modo, i paesi europei diventerebbero ex colonizzatori industriali, ora colonizzati digitalmente.

Bruxelles sembra preoccupata solo di preservare la libertà di mercato e la concorrenza. Sia la Cina che gli Stati Uniti sono più protezionisti rispetto all’Unione, perché hanno una visione più realistica del futuro tecnologico e sarà una rivalità forte, senza ottimismo tecnologico.

In questo momento non vedo la UE in grado di agire con un potere uguale agli Stati Uniti, e ciò è impedito anche da accordi commerciali. Ma possiamo applicare misure politiche per costringere queste società internazionali a condividere i loro dati con aziende e imprenditori locali.

Lascia un commento