La denatalità in Italia e le politiche economiche

di Davide Gionco

Ogni anno sentiamo comunicare dall’ISTAT che l’Italia ha battuto l’ennesimo record negativo nel numero di nascite.
Per curiosità ho provato a riportare su di un diagramma i dati ISTAT sul numero di nascite in Italia dal 1955 ed il tasso di crescita dell’economia (del Prodotto Interno Lordo) al netto dell’inflazione.

Il risultato è impressionante.

Quando il PIL negli anni 1960 era in stabile crescita, c’era ottimismo.
Nelle giovani coppie generalmente lavorava solo il marito, ma la situazione economica era tale da consentire agevolmente, anche se con i dovuti e sacrosanti sacrifici, di sposarsi giovani e mettere al mondo molti figli.

Altri dati dimostrano le ragioni anche economiche di questa diminuzione delle nascite.

Vi mostriamo una busta paga del 1963

54mila lire di gennaio 1963 corrispondono a 654 euro di oggi, tuttavia nel 1962 i salari erano cresciuti dell’8,0% rispetto al 1961 al netto dell’inflazione,  mentre nel 1961 erano cresciuti del 10,7% rispetto al 1960, sempre al netto dell’inflazione e l’anno ancora precedente addirittura del 7,0% [da dati ISTAT].
C’era quindi un diffuso ottimismo e speranza per il futuro: si facevano figli.

Ecco qui una busta paga del 1980, l’anno in cui l’Italia aveva il record mondiale di risparmio, ovvero praticamente tutti lavoravano e mettevano da parte per il futuro.

La busta paga per le stesse mansioni del 1963 era a gennaio 1980 pari a 690mila lire, corrispondenti agli attuali 1’872 euro.
Nel 1979, nonostante un’inflazione galoppante del 14,8%, l’economia era cresciuta del 22,4%, quindi del 7,6% al netto dell’inflazione e il 5,6% l’anno precedente.
C’era ancora ottimismo, si investiva.
Si facevano figli, anche se molto meno che negli anni 1960.
Se vogliamo, il calo dagli anni 1960 agli anni 1980 fu dovuto agli effetti del benessere tipici di tutte le società occidentali.

La natalità rimane sostanzialmente stabile dal 1980 (640mila) al 2008 (577mila), dopo di che inizia un ulteriore calo delle nascite, questa volta chiaramente legato al peggioramento delle condizioni economiche.

Guardiamo infatti la busta paga di oggi

Nel 2017 per un operaio di categoria 3 il livello retributivo mensile è di 1’590 euro, contro i 1’872 del 1980.
Ma manca soprattutto la speranza.

Aumenta la povertà

Aumenta la disoccupazione giovanile.

E non potrebbe essere diversamente, in quanto da molti anni si registra un calo degli investimenti in Italia, unico modo per creare lavoro. Se non si investe, sale la disoccupazione.

E il PIL cresce molto meno di quanto dovrebbe, arrivando persino a decrescere.

Oggi ci troviamo in una società che non investe sui giovani, non offre opportunità per avere già da giovani un lavoro serio e dignitosamente retribuito che consenta di pianificare la formazione di una famiglia e la messa al mondo di figli.
Non è solo la povertà a mettere paura per il futuro, ma è la TENDENZA: da troppi anni l’economia peggiora e quasi nessuno pensa e spera che il futuro possa essere  migliore.

 

Ora qualcuno potrà anche non essere d’accordo sulle analisi qui espresse ovvero che la denatalità dipenda dalla difficile situazione economica del paese, ma è un dato innegabile che l’attuale tasso di natalità di 1,34 figli per donna, fra i più bassi del mondo, è molto distante dal tasso di mantenimento che è di 2,1-2,2 (che non abbiamo più dagli anni 1970).

Dal punto di vista democrafico significa un inesorabile invecchiamento della popolazione.

Oggi siamo alla follia di forzare alla disoccupazione centinaia di migliaia di giovani, causa mancanza di denaro per gli investimenti.
In futuro certamente un giorno i governanti avranno capito che vera ricchezza è la capacità lavorativa delle persone.
Potranno stampare il denaro per dare lavoro a tutte le persone in grado di farlo, ma non potranno “stampare” nuovi lavoratori, in quanto i lavoratori sono persone che devono essere generate, partorite, cresciute, educate e formate per almeno 20 anni, prima di essere in grado di lavorare in modo produttivo.

Con questa realtà l’Italia dovrà certamente fare i conti nei prossimi 20-30 proprio a causa dell’attuale basso tasso di natalità.

Il basso numero di lavoratori, unito ad un alto numero di anziani non in grado di lavorare, impedirà all’Italia di produrre il necessario per garantire a tutti i futuri italiani un sufficiente tenore di vita. E questo comporterà un aumento della povertà oppure la necessità di aprire le porte a migranti dall’estero, giovani in grado di lavorare, ma con una cultura diversa da una nostra, in certi casi inconciliabile: le persone non sono numeri, ma arrivano con la propria cultura e nulla è semplice.

Per questo motivo una politica lungimirante dovrebbe urgentemente investire in iniziative volte a riportare il tasso di natalità al di sopra del tasso di mantenimento della popolazione (quindi a 2,2-2,3 figli per donna).
La prima cosa da fare sarebbe certamente tutelare in ogni modo le donne in maternità, in modo che la loro assenza non sia un peso per i datori di lavoro.
La seconda cosa da fare sarebbe un assegno mensile, anche cospicuo, per ogni figlio dalla nascita fino all’età adulta.
Qualcosa tipo 500 euro al mese, in modo che una donna con 2-3 figli possa agevolmente mantenerli e farli crescere.

La terza cosa da fare deve essere diffondere la cultura dei figli, perché una società senza figli è senza futuro.
Oggi la cultura dominante vede nei figli e nella maternità un ostacolo per la propria affermazione.

Per questo è necessaria una presa di coscienza culturale nel riconoscere che mettere al mondo e crescere dei figli non è un fatto privato e personale, ma è un’azione fondamentale di servizio pubblico, in quanto i nostri figli di oggi costituiranno la società di domani.

 

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