Riduciamo la nostra impronta alimentare

Consumare biologico, non trasformato e locale?

La provenienza, il modo di produzione (serra/campo, biologico, ecc.), il confezionamento (plastica e polistirene non riciclabili, sovraimballaggi…), tutto questo pesa sull’impronta ambientale del nostro piatto!

Il trasporto costituisce solo una piccola parte delle emissioni di CO2, fatta eccezione per il trasporto aereo: l’1% in volume dei frutti e dei legumi è importato per via aerea, ma questo rappresenta il 24% delle emissioni del trasporto sull’insieme delle derrate. Le emissioni aumentano spesso con la distanza, ma dobbiamo evidenziare come il trasporto per nave emetta molto poco gas ad effetto serra in rapporto al trasporto su strada.

Conviene privilegiare i prodotti “grezzi” e non trasformati: gli ingredienti dei piatti pronti provengono dai 4 angoli del mondo e la loro fabbricazione moltiplica gli intermediari. I surgelati e gli alimenti conservati comportano una forte impronta per combustione di combustibili fossili.

Altro punto importante: il modo di produzione. L’agricoltura intensiva emette da sola il 40% della CO2 mondiale (soprattutto l’allevamento), con al primo posto l’agricoltura “fuori dal suolo”. Secondo l’Istituto Francese dell’Ambiente la produzione di grano biologico emette l’87% in meno di gas ad effetto serra del grano convenzionale. La differenza ci colpisce se parliamo dei cereali, ma la si ritrova anche per la carne ed i prodotti lattieri: fino a meno 55% per i volatili, meno 38% per i bovini, meno 25% per i prodotti lattieri. L’agricoltura biologica non utilizza né concime, né pesticidi d’origine petrolifera ed una parte importante dell’alimentazione degli animali è prodotta sul posto. Nell’agricoltura convenzionale, invece, l’alimentazione degli animali d’allevamento contiene praticamente sempre della soia, (spesso OGM) e dell’olio di palma, proveniente dall’America del Sud e dall’Asia.

Degli studi mostrano peraltro che i prodotti biologici sono spesso più ricchi soprattutto in antiossidanti (vitamine E ed E, polifenoli, omega 3…) che prevengono le malattie cardiovascolari ed i tumori. Secondo i ricercatori dell’Università di Barcellona la spiegazione sarebbe che « le piante attivano le loro proprie difese naturali per lottare contro i diversi stress, il che aumenta il loro livello di antiossidanti ». La carne ed i latticini contengono anche meno residui chimici (antibiotici, pesticidi), grassi saturi ed acidi grassi di tipo « trans » (si vedano gli studi dell’INRA di Theix, delle università di Newcastle, di Aberdeen in Gran Bretagna o ancora del centro di ricerche danese).

L’agricoltura chimica erode il suolo e minacciano la biodiversità. Secondo Claude Bourguignon, ingegnere agronomo e diretto del LAMS (in Francia: Laboratorio d’Analisi Microbiologica del Suolo) l’Europa ha perduto il 90% della sua biodiversità e la “riduzione regolare e costante dell’attività biologica del suolo“ conduce ad una diminuzione della resa al metro quadrato dei terreni agricoli. Il suolo, che ospita l’80% della biodiversità mondiale, è la prima vittima della concimazione chimica. I lombrichi, che garantivano la risalita degli elementi nutritivi dal suolo in superficie per nutrire le piante hanno visto la loro presenza passare da 2000 kg per ettaro a meno di 100 kg per ettaro. Conseguenza: azoto, fosforo ed altri minerali inquinano le falde freatiche, il suolo si danneggia e si degrada ed è necessario sempre più concime chimico per nutrire il suolo impoverito.

Di conseguenza un’agricoltura biologica ben condotta può produrre le stesse quantità e ad un costo inferiore, se si tiene conte delle esternalità negative dell’agricoltura chimica: depurazione delle acque, degradazione del suolo, costi sanitari ed ambientali. Nel 2001 degli studi condotti in Svizzera e negli USA hanno dimostrato che la resa di un terreno con o senza pesticidi è quasi equivalente. Nel 2005 il Rondaie Institute ha analizzato 22 anni di studi empirici: la resa è identica e addirittura superiore del 22% per la frutta ed i legumi in periodi di siccità. Altri studi condotti negli ultimi 20 anni vanno nella stessa direzione.

La permacoltura notoriamente ottimizza la resa dei terreni associando più specie sulla stessa parcella. Si ispira al sistema agricolo degli Aztechi in cui i fagioli fissavano nel suolo l’azoto dell’aria, il mais serviva da tutore dei fagioli e le grandi foglie delle zucche facevano ombra al suolo, per mantenere l’umidità in caso di siccità.

Il 20 agosto 2006 l’IFEN (istituto francese dell’ambiente) lanciò l’allerta: “In Francia le analisi dei pesticidi in natura (acque superficiali e sotterranee) realizzate in più di 10’000 stazioni di monitoraggio rivelano che la contaminazione riguarda l’insieme del territorio (città e campagne) e che riguarda sia le acque superficiali che quelle in profondità. I livelli di contaminazione sono significativi: nelle acque di superficie il 49% delle stazioni ha rilevato una qualità dell’acqua da media a cattiva, mentre per le acque sotterranee il 27% delle stazioni ha rilevato la necessità di trattamenti specifici per eliminare i pesticidi”. La situazione non è migliorata negli anni successivi; il 91% delle acque di superficie ed il 59% delle falde freatiche risultavano seriamente inquinate nel 2010, mentre nel 2013 l’inquinamento riguardava il 93% delle acque di superficie ed il 70% delle falde freatiche.

I pesticidi, fortemente tossici per gli organismi acquatici e gli insetti, sono anche neurotossici (provocano per esempio dei ritardi mentali nei bambini ed aumentano di 5,6 volte il rischio di sviluppare l’Alzheimer negli anziani); sono per la maggior parte cancerogeni e mutageni e molti agiscono anche come perturbatori ormonali. I bambini sono particolarmente esposti e l’Istituto Nazionale della Salute e della Ricerca Medica (INSERM) ha stabilito un legame diretto fra la comparsa della leucemia nei bambini e l’esposizione ai pesticidi, in un rapporto del 2008. Il cancro è oggi la seconda causa di mortalità nella fascia di età 1-18 anni (dopo gli incidenti stradali) ed aumenta in Francia dell’1,5% ogni anno! Diversi studi dimostrano il ruolo dei pesticidi in numerose tipologie di tumore nei bambini. Un agricolture su 6 soffrirebbe a causa dei pesticidi, secondo l’associazione dei coltivatori “Mutualité Sociale Agricole”: tumori del sangue, turbe neurologiche, ecc.
I pesticidi minacciano infine l’estinzione degli insetti impollinatori, da cui dipende la nostra alimentazione.
La Francia è il terzo paese al mondo utilizzatore di pesticidi, dopo il Giappone e gli USA, con 62’700 tonnellate l’anno ovvero 5,4 kh/ettaro/anno!

I rischi da microtossine (glutine, la celiachia) sono inferiori nei cereali biuologici. Effettivamente i fungicidi agiscono poco sulle microtossine che si sviluppano a causa delle condizioni climatiche o delle cattive condizioni di stoccaggio: i produttori di cereali biologici generalmente immagazzinano i loro cereali in luoghi più aerati per evitare questo problema. Le piante che nascono senza pesticidi in spazi più aerati sviluppano le proprie resistenze naturali e sono quindi meno esposte allo sviluppo di malattie. Certi fungicidi (soprattutto la strobilurina) possono persino possono prsino, se sono utilizzati in momento inopportuni, stimolare la produzione di microtossine.
Due studi segnalati dal ricercatore Woess mostrano che i livelli di aflatossine M1 sono inferiori nel latte biologico rispetto al latte classico.
Riassumendo, la produzione biologica è garantita senza pesticidi, erbicidi o concimazione chimica, è più rispettosa del suolo e della biomassa. E della vostra salute.
Utilizzando tecniche appropriate garantisce persino una maggiore produttività, chiedendo solo maggiore conoscenze e lavoro. I pochi finanziamenti che riceve, rispetto ai molti dei grandi gruppi industriali (che di conseguenza riescono a ridurre il loro costi di produzione), non aiutano a far ridurre i prezzi, che potrebbero invece diventare competitivi, favorendo i circuiti locali.

 

Locale o non locale?

Per due prodotti coltivati allo stesso modo, la produzione locale risulta essere più vantaggiosa (solo il 10% delle vendite di prodotti locali riguardano prodotti biologici). Nello stesso tempo non è raro che un alimento importato abbia un impatto ambientale inferiore a quello di una produzione locale.
Esempi:

  • Il grande distributore svizzero Migros ha paragonato le emissioni di carbonio di 6 zuccheri che metteva in commercio, tenendo conto della totalità del ciclo di vita del prodotto (dalla coltivazione fino all’eliminazione degli imballaggi): lo zucchero con il miglior bilancio è risultato lo zucchero biologico Max Havelaar prodotto in Paraguay, a minor impatto rispetto a zuccheri prodotti localmente in Svizzera o nella vicina Germania. L’impatto della coltura e del processo di trasformazione, per lo zucchero, risulta effettivamente essere superiore a quello del trasporto.
  • Secondo uno studio dell’università britannica di Cranfiels, i fiori importati dal Keny, di per sé poco ecologici, emettono 6 volte meno CO2 delle rose dei Paesi Bassi, mantenute d’inverno in serra a 20 °C, con illuminazione artificiale. Un legume o un frutto biologico cresciuto nei campi avrà sempre un impatto ambientale inferiore que lo stesso alimento coltivato in serra. Da cui l’importanza di consumare i prodotti di stagione, quando sono locali.
  • Per la carne, le uova, i prodotti lattieri ed il pesce d’allevamento non c’è alcun interessa a privilegiare il locale, se gli animali sono stati nutriti con soia sudamericana e con olio di palma. I prodotti certificati “Nature & Progrès”, “Demeter” o “Bio cohérence” garantiscono che almeno il 50% della loro alimentazione è prodotta sul posto e che sono al 100% biologici.
  • Le emissioni di gas ad effetto serra non sono necessariamente correlate alla distanza percorsa: i veicoli utilizzati per i trasporti di corto raggio (camioncini) emettono mediamente 1’068 grammi di CO2 per tonnellata e per kilometro di trasporto, mentre i grandi mezzi che trasportano 40 tonnellate per volta dal porto al supermercato emettono solo 84 grammi di CO2 per tonnellata per kilometro. E i camioncini fanno il viaggio di ritorno a vuoto [mentre i grandi camion, ottimizzando la logistica, spesso ritornano al porto con un altro carico pieno]. Analogamente il treno e le navi emettono quantità molto inferiori di CO2 rispetto all’aereo ed al trasporto su strada.

Acquistare direttamente dal produttore presenta diversi vantaggi: sopprimere gli intermediari (eliminando l’impatto ecologico del supermercato), rivalorizzare il lavoro ed il reddito del produttore, limitare la produzione di imballaggi. Ma è necessario privilegiare le produzioni biologiche e realmente di prossimità.

 

Tratto e tradotto da.
https://ecologie-du-quotidien.puzl.com/empreinte-alimentaire

A piè di pagina dell’articolo originale si trovano i riferimenti dei diversi dati e ricerche citati.

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