Quei 934 morti non “idonei” per l’intensiva

di Giovanni Lazzaretti

Mi piacerebbe scrivere di altro, ma i corrispondenti via mail portano sempre acqua al mulino del covid, per cui mi devo rassegnare.

Mi rassegno senza fare particolare resistenza, tranne il fatto che per scrivere un articolo devo raccogliere tutti i dati giornalieri arretrati.

Lavorando di notte, senza alcun disturbo, per caricare 17 giorni di dati, con tutti gli annessi e connessi, ci vogliono 2 ore e 40 minuti: tempo abbastanza lungo di “noiosa concentrazione”.

So benissimo che di quella mole di dati mi serviranno solo poche cose. Ma so anche che, se dovessi trascurare qualcosa, sarà puntualmente quella la cosa che mi servirà in futuro.

Così vado avanti, e la pazienza ogni tanto ti fa fare delle scoperte.

 

La statistica buona

Evidentemente c’è qualche saggio anche all’Istituto Superiore di Sanità.

Ad esempio, quelli che tempo fa decisero di pubblicare non solo la media generale di età dei morti covid, ma anche la media settimanale, avevano fatto una “operazione verità” molto utile.

Questo è l’ultimo diagramma, in data 2 dicembre

Che sia primavera, estate, autunno; che sia tutto chiuso o mezzo aperto; che ci sia la movida o non ci sia; che ci sia o non ci sia la scuola; l’età media dei morti settimanali è sempre 80 anni.

I morti hanno adesso una media di 3,6 patologie pregresse, media in crescita.

Le patologie, in ordine di consistenza numerica sono:

NUMERI GROSSI: ipertensione arteriosa, diabete mellito tipo 2, cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, demenza, insufficienza renale cronica,

NUMERI MEDI: bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), cancro attivo negli ultimi 5 anni, scompenso cardiaco, ictus, obesità,

NUMERI PICCOLI: insufficienza respiratoria, epatopatia cronica, malattie autoimmuni, dialisi, HIV

Il 3 dicembre c’è stato un piccolo evento: hanno aggiunto un dato che mi serviva (non l’hanno fatto per me, ma mi serviva). Ne parlerò più avanti.

 

L’impennata della recrudescenza

Ripropongo le curve aggiornate.

La INUTILE curva dei “casi”

La UTILISSIMA curva dei pazienti in intensiva

La STRANISSIMA curva dei morti

Perché stranissima?

Perché spara bordate peggio che in primavera, in una situazione di intensiva in calo.

Lo vedremo meglio confrontando la tabella che proposi 17 giorni fa, con quella di oggi.

 

17 giorni fa e oggi

Il 21 novembre questa era la tabella delle 3 fasi.

Rimando alla scorsa puntata per rileggere il commento alla tabella.

Qui rilevo solo le cose fondamentali:

1) nella terza fase non c’è nessuna relazione tra i “casi”, i morti, gli ospedalizzati; i casi sono “fatui”, sono essenzialmente giorni di segregazione senza relazione con la malattia;

2) la terza fase di recrudescenza è dura, ma assolutamente non paragonabile con la prima fase, e ancor meno con la prima fase acuta.

Poi all’improvviso cambia tutto.

Questa infatti è la stessa tabella 17 giorni dopo.

Adesso la terza fase bracca da vicino la prima fase (298 morti al giorno, contro 327). E anche con il periodo acuto della prima fase la differenza esiste, ma non è più così netta.

Si potrebbe dire: che c’è di strano? E’ una statistica, per cui si può solo affermare che i dati sono quelli, e quindi la recrudescenza, già brutta, è diventata ancora più brutta.

Invece qualcosa di strano c’è. Perché tutto ciò accade mentre le intensive cominciano a svuotarsi (vedi l’utilissima curva mostrata prima).

E la cosa non deve aver incuriosito solo me.

Infatti dal 3 dicembre la Protezione Civile ha aggiunto una nuova colonna al suo rapporto quotidiano.

 

La nuova colonna

Sapere quanto è l’intasamento delle terapie intensive è importantissimo, ma non dice tutto.

Se infatti l’intensiva passa da 3.597 a 3.567, ho un meno 30 in quel giorno; ma potrebbe nascere da 70 ingressi e 100 uscite; oppure da 700 ingressi e 730 uscite; e non è la stessa cosa.

Così qualche sant’uomo dell’ISS ha chiesto alle Regioni di conoscere anche il numero di nuovi ingressi, non solo il saldo giornaliero. E, conoscendo i nuovi ingressi e il riempimento quotidiano, ovviamente conosciamo anche il numero di uscite.

Lasciamo perdere il fatto che la “Provincia Autonoma di Bolzano comunica che il dato sugli ingressi in TI del giorno al momento non è disponibile”, e pure che “la Regione Campania comunica che al momento non è possibile trasmettere i dati di ingressi in terapia intensiva del giorno”: il loro contributo all’intensiva è pari al 5,5% del totale, e non sposta i ragionamenti.

Prendiamo i dati del picco folle di morti del 3 dicembre: si sfiora quota 1000, con 993 morti che vanno a superare il record di 969 del 27 marzo.

Ma il 27 marzo eravamo ancora con intensive in crescita (avrebbero scollinato 8 giorni dopo), mentre il 3 dicembre siamo con intensive in svuotamento da 8 giorni.

Ecco quindi che il nuovo dato inserito nel rapporto quotidiano ci aiuta.

  • Numero pazienti in intensiva il 2 dicembre = 3.616
  • Numero nuovi ingressi del 3 dicembre = 217
  • Numero pazienti in intensiva il 3 dicembre = 3.597
  • Si deduce il numero di pazienti usciti dall’intensiva il 3 dicembre = 236

Dall’intensiva si esce per tornare in corsia, o per morte. Supponiamo che i 236 siano tutti morti. 993 meno 236 fa 757. Abbiamo quindi la certezza che almeno 757 persone sono morte fuori dall’intensiva.

Quello è il numero minimo. In realtà la media di uscite da vivi dall’intensiva è attorno al 75%, per cui, di quelle 236 uscite, 177 sono verso la corsia e non verso il cimitero. Quindi sono circa 934 le persone morte il 3 dicembre FUORI DALL’INTENSIVA.

Com’è possibile?

L’immaginario collettivo dice: «si muore in intensiva, sempre che si riesca ad avere il posto in intensiva».

Invece la realtà del 3 dicembre e dei giorni successivi (abbiamo i dati dal 3 dicembre, ma certamente la faccenda inizia prima) dice: «si muore fuori dall’intensiva, pur essendoci i posti in intensiva, intensiva che è attualmente in svuotamento» (-13% dallo scollinamento del 25 novembre).

E’ tempo allora di esaminare i metodi dell’Istituto Superiore di Sanità, su mandato della Protezione Civile.

 

L’anagrafe covid

L’Ordinanza del Capo della Protezione Civile (ODCDP, sigla meno nota rispetto ai gettonatissimi DPCM) del 27 febbraio 2020 assegnava la sorveglianza epidemiologica all’ISS

Articolo 1 (Sorveglianza epidemiologica)

  1. La sorveglianza epidemiologica del SARS-CoV-2 è affidata all’Istituto superiore di sanità.
  2. Ai fini della sorveglianza epidemiologica, l’Istituto superiore di sanità predispone e gestisce una specifica piattaforma dati, che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sono tenute ad alimentare.
  3. È fatto obbligo alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano di alimentare quotidianamente la piattaforma dati di cui al comma 2, caricando entro le ore 11.00 di ogni giorno i dati relativi al giorno precedente.
  4. L’Istituto superiore di sanità è autorizzato ad individuare risorse di personale aggiuntivo al fine di condurre, ove necessario, eventuali ulteriori indagini epidemiologiche mirate all’identificazione della catena di trasmissione.

Quella che viene istituita in febbraio è quindi una piattaforma di raccolta dati, non ha niente a che vedere con una validazione dei dati da un punto di vista medico.

Che cos’è un “caso covid”? E’ un codice fiscale = tessera sanitaria che viene trovato positivo a un tampone.

Il numero di casi attualmente in essere è dato dalla somma di 3 colonne: pazienti in intensiva + pazienti in corsia + persone in isolamento domiciliare.

Il totale dei casi dall’inizio dell’epidemia è dato dalla somma di: casi attuali + guariti + morti.

I nuovi casi del giorno risultano quindi essere la somma di: guariti del giorno + morti del giorno + incremento (o decremento) di positivi del giorno.

ATTENZIONE a non fare l’errore di alcuni che si scandalizzano: “Contano tra i casi anche i guariti e i morti!”. E’ solo un conteggio algebrico: essendoci in ballo un numero che è un incremento, il calcolo non può che essere così.

  • Entrano nel sistema 100 nuovi casi.
  • Escono dal sistema 50 guariti.
  • Escono dal sistema 20 morti.
  • L’incremento dei casi è 30.

100 = 50 + 20 + 30

Quindi, se sei positivo, hai solo due maniere per uscire dall’anagrafica della Protezione Civile / ISS: o ti negativizzi, o muori.

Quando presentarono sui giornali il caso di un annegato al quale venne fatto un tampone dopo morte, molti pensavano: “Sì, l’avranno conteggiato tra i tamponi positivi, ma non possono averlo conteggiato tra i morti covid”.

Invece è inevitabile che sia tra i morti covid, perché, con tampone positivo, sei diventato un “caso” ed esci dal sistema solo da negativizzato o da morto. Da morto per qualunque causa, anche per annegamento.

 

E’ tempo di interrogarsi

Dove sono morte le 934 persone del 3 dicembre, visto che NON sono morte in intensiva?

In corsia? A casa? In RSA?

A casa è improbabile. A meno che una persona non sia a zero con le relazioni umane, un lontano parente che chiama il 118 lo si trova sempre.

Sono morti in RSA? Possibile. Però dovete dircelo e dirci quanti sono. Perché se i morti sono in RSA, bloccare il turismo invernale non ha molto senso. E non dite che i giovani portano il covid ai nonni, perché in RSA, almeno dalle mie parti, non entra nessuno e ci si parla con un telefono, dietro il vetro.

Sono morti in corsia? E come mai non sono stati portati nelle intensive, visto che sono in svuotamento?

Elenco tutte le ipotesi che mi vengono in mente. Ad alcune potete dare tranquillamente probabilità zero, perché sono assurde.

1) Il sistema anagrafico, avendo trattato 13.622.814 possibili casi (1/5 dell’intera Italia) e fatto 23.386.113 tamponi, è andato in tilt e accumula ritardi cronici sempre più pesanti. I morti “di oggi” sono i morti di chissà quando.

Quanto tempo costa un tampone? (Lasciando perdere quanto costa alla persona che deve subirlo: qui il numero di ore perse sarebbe spaventoso) Se diciamo 1 ora stiamo scarsi. Tra chiamata della persona, esecuzione del tampone, registrazione in anagrafe, certificazioni, trasporto in laboratorio, uso del laboratorio credo di essere stato molto scarso. Comunque sono 23.386.113 ore, ossia 3.340.873 giornate lavorative spese per tamponi. Uno storno pauroso di forze dalla sanità vera alla finzione.

2) In primavera la clorochina la usavano un po’ tutti, lo stop dell’AIFA avvenne a fine maggio dopo l’articolo farlocco di Lancet. A oggi l’AIFA non ha cambiato nulla e quindi molti medici sono frenati dal timore di violare gli schemi. E questi sono i risultati: molte più persone arrivano in ospedale in situazione già compromessa, e muoiono in corsia dopo degenza minima.

3) Alcuni medici hanno pubblicamente detto che hanno dovuto scegliere chi mandare in intensiva, vista la carenza di posti. Niente di strano che, invece di far scegliere al singolo medico, un ospedale abbia decretato che non si va in intensiva da X anni in su. Dopo di che la norma rimane anche quando le intensive si stanno scaricando.

4) E’ possibile che in certi reparti ci sia stata carenza di farmaci essenziali come l’eparina? E nessuno si sia preoccupato perché “l’importante è ventilare” = supporto + attesa? (Del resto sono i rapporti periodici di Arcuri che indicano una quasi coincidenza tra posto in intensiva = presenza di ventilatore)

Se vi sembrano ipotesi tutte assurde, potete prendere in considerazione questa quinta.

5) L’aver creato nel tempo 1.200.000 (*) “casi fatui” (ossia: asintomatici=sani + paucisintomatici=un po’ di tosse + lievi=gestione simil-influenzale in casa) fa sì che per qualunque causa si muoia si entri per forza di cose in “morti covid”.

Ricordiamoci che, se si entra nell’anagrafe, si esce solo in due modi: da morto o da negativizzato. Non esiste l’opzione “sei positivo, ma sei ammalato di altro”. I morti del giorno sarebbero quindi “morti casuali, morti di chissà cosa, ma positivi al tampone”.

Dobbiamo ricordarci che nel 2019 sono morti 634.432 italiani su 60.433.360, ossia 10,4 ogni 1.000 abitanti.

Su 1.200.000 “casi fatui”, niente di strano che muoiano in proporzione 12.480 persone per le cause più diverse. Ma, essendo questi nell’anagrafe dei positivi, diventano “morti covid” da buttare nel calderone a rafforzare pesantemente i numeri.

Inutile insistere, vedete voi per quale ipotesi propendere. Può essere anche un mix delle 5 cose elencate. Ma quelle 934 persone in qualche modo “non degne di intensiva” vanno spiegate.

La tabella degli scollinamenti, descritta nella scorsa puntata, adesso è così.

Dal punto di vista ospedaliero tutto viaggia in modo simile tra primavera e autunno; scollinano:

  • l’incremento giornaliero in intensiva
  • l’incremento in corsia
  • il flusso netto di entrata ospedaliera
  • le presenze in intensiva
  • le presenze in corsia

Mentre l’incremento dei morti non segue l’andamento ospedaliero. Anche il picco del 3 dicembre non giurerei che fosse il picco definitivo.

 

Avviso preventivo

Non mi piace il film “il compagno don Camillo” perché stravolge integralmente il libro di Guareschi.

Però lo guardo lo stesso, perché mi piacciono Fernandel e Gino Cervi.

C’è un momento nel film in cui scompaiono dalle pareti dell’albergo i ritratti di Krusciov e, sconcertato dal fatto, Peppone si fa forte della sua autorità e pone al rappresentante sovietico la domanda perentoria: «Chiedo formalmente perché sono stati tolti dalle pareti i ritratti di Nikita Sergevic Krusciov! Traduca!»

Ricorderete la risposta della interprete: «Per spolverarli».

Un regime, che sia un regime comunista o un regime sanitario, ha sempre pronta una risposta stupida alle domande importanti.

Se il governo venisse mai messo alle strette sulla faccenda dei 934 morti “fuori intensiva” (Messo alle strette? E da chi? Dalla cosiddetta opposizione?), risponderebbe con una banalità qualsiasi, che verrebbe poi rilanciata da tutti i cosiddetti “editori responsabili”, diventando la verità ufficiale.

Del resto non fanno così anche negli USA?

All’assurdità statistica di un grosso lotto di voti postali tutti per Biden rispondono più o meno: «Biden aveva fatto l’appello per il voto postale, e quindi tutti i voti postali è normale che siano suoi».

***

Va beh, a noi restano ormai solo le domande, risposte non ne avremo.

Ormai la gestione politica dell’epidemia è ben chiara: gonfiare i numeri, sempre.

Con gli errori medici, con l’aberrazione di 1/5 dell’Italia sotto tampone, con i tamponi a 45 cicli, con i morti anagrafici fuori intensiva.

E’ un’epidemia vera, gonfiata ad arte per attendere il dio vaccino.

Che Dio ce la mandi buona.

Però Dio è bene anche invocarlo.


NOTA

(*) La stima dei 1.200.000 “casi fatui” si ottiene prendendo il totale dei casi all’8 dicembre (1.757.394), e togliendo una stima dei casi da ospedale (totale dei giorni di ospedalizzazione 3.472.577 diviso la media di degenza stimata in 7 giorni = 496.082).

1.757.394 – 496.082 = 1.261.312 > 1.200.000

E’ una stima, perché a oggi ci viene resa nota solo la degenza media dei morti passati dall’intensiva (6 giorni) e dei morti non passati dall’intensiva (12 giorni), ma non la degenza media dei guariti.

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