Perchè le credenze fanno parte del nostro modo di pensare?

di Franco Mattarella

Di quanto sia radicata l’esigenza delle credenze nella mente umana scrive lo psicoanalista Giovanni Jervis nel libro “Psicologia Dinamica”: “Qualsiasi credenza in quanto spiegazione, anche la più irrazionale e assurda, tende a rendere meno minacciosa l’imprevedibilità dell’universo. Il nostro cervello sembra spontaneamente convinto che una “qualsiasi spiegazione è meglio di nessuna spiegazione”. A questo meccanismo si lega una estrema difficoltà ad accettare il fatto che moltissimi eventi sono puramente casuali e frutto di coincidenze.” Secondo il filosofo Charles Peirce, l’essere umano non sopporta la condizione di dubbio e si aggrappa alla prima opinione che lo convince pur di averne una. Ma il dubbio è essenziale per il pensiero umano, “quando il dubbio cessa, cessa anche l’azione mentale del soggetto”. Costitutivamente l’essere umano desidererebbe riposare la mente, smettere di pensare, ma il mondo non glielo permette.

 

Il punto chiave

Cos’è dunque una credenza? Essa è una regola per l’azione, cioè è “un avviso a noi stessi di come dobbiamo, all’occasione, agire nei riguardi di certe cose”. (Charles Sanders Peirce)
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L’essenza dell’atteggiamento scientifico è che la nostra mente è costretta a “credere” solo quando non può “pensare“. Questa idea, meglio ideologia, è contraria al modus operandi delle scienze cognitive. Per le scienze cognitive credere è un certo modo di pensare(Paolo Legrenzi)
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La dissonanza cognitiva offre a ogni individuo la possibilità di mettere alla prova la bontà delle proprie opinioni, ma pochi sfruttano questa possibilità mentre molti la evitano.
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Il nostro cervello ha una forte tendenza a formare credenze (beliefs) per dare un senso all’esistenza. E’ lecito pensare che il cervello abbia creato beliefs per dare un senso alla morte – l’evento che ci fa sentire più prossimi agli insetti che agli angeli – e alla sofferenza, due eventi che possono indurre l’autocoscienza allo smarrimento e alla perdita del senso della vita. I beliefs e le religioni sarebbero un aspetto sociobiologico della cultura umana a salvaguardia della vita. (Arnaldo Benini)
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Coloro cui sfugge completamente l’idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, se non la tecnica. (Gregory Bateson – Mente e Natura p.42)
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Esistono due modi di sbagliare: credere in ciò che non è, e rifiutarsi di credere in ciò che è. (Søren Kierkegaard)

La continua lotta dell’essere umano per eliminare le illusioni dalle credenze

Nonostante la rivoluzione conoscitiva avviata dal metodo scientifico, vi è una persistenza di credenze false e contraddittorie nella mente di tutti noi.
Anzi, sembra proprio che le credenze appartengano “costitutivamente”  al nostro stile di pensiero. Lo psicologo Paolo Legrenzi, nel libro “Credere”, descrive così la scoperta della persistenza delle credenze nella mente umana (pp. 43-46):
Il metodo scientifico e le tecniche sperimentali iniziano a esplorare il funzionamento della mente umana, e cioè la sede, tra l’altro, delle credenze. Con la nascita delle scienze cognitive, alla fine del secolo scorso, le credenze ritrovano una loro dignità come terreno di studio scientifico. […] Paradossalmente, nel frattempo, il predominio delle scienze e della dea Ragione non è riuscito a sradicare dalle coscienze individuali le credenze. Gli studiosi si sono chiesti i motivi di tale persistenza, anche se confinata nelle coscienze individuali. Si è così scoperto che il quadro è assai più complesso della semplice contrapposizione tra credenze personali e saperi scientifici. Esiste un vasto, e sistematicamente descrivibile, territorio di saperi ingenui: la fisica ingenua, la biologia ingenua, l’economia ingenua, la statistica ingenua, e così via. Questi territori non sono popolati da credenze nè da opinioni, nella loro accezione tradizionale. Al contrario, si tratta di modi stabili e condivisi di rappresentarsi il mondo. Ma questi modi divergono dalle discipline classiche: “l’ingenuo” è tale in rapporto a qualcosa che ingenuo non è, e cioè la “scienza”.  […] Un famoso libro  di un grande storico delle idee descrive la modernità come il passaggio dal mondo del “pressappoco” a quello della precisione. Questo è vero nel caso della fisica e delle altre scienze in natura. Non è assolutamente vero per quello che ci capita nella vita di tutti i giorni. Qui non è cambiato nulla dall’antichità ad oggi.

Di quanto sia radicata l’esigenza delle credenze nella mente umana scrive anche lo psicoanalista Giovanni Jervis nel libro “Psicologia Dinamica” (pp. 171-173):

Qualsiasi credenza in quanto spiegazione, anche la più irrazionale e assurda, tende a rendere meno minacciosa l’imprevedibilità dell’universo. Il nostro cervello sembra spontaneamente convinto che una “qualsiasi spiegazione è meglio di nessuna spiegazione”. A questo meccanismo si lega una estrema difficoltà ad accettare il fatto che moltissimi eventi sono puramente casuali e frutto di coincidenze. […] La psicologia dinamica può suddividere le credenze in razionalizzanti, mobilitanti, consolatorie, giustificative, atte a stabilire legami di affiliazione, e così via. Analogamente, la psicologia sociale si interesserà del modo in cui le credenze magico-religiose rendono più coesa una comunità di immigrati, o di come certi sistemi di credenze sono funzionali al mantenimento di un determinato assetto sociale, per esempio di tipo autoritario.

 

Illusioni cognitive

La mente umana è soggetta, per motivi evoluzionistici, a illusioni cognitive, come gli studi degli psicologi cognitivisti degli ultimi 20-30 anni hanno dimostrato (ad esempio Daniel Kahneman). Le illusioni cognitive distorcono la nostra percezione del mondo inducendo molti pregiudizi o errori (bias cognitivi), tra i quali l’illusione del controllo, l’eccesso di sicurezza di sè (overconfidence) e il pregiudizio di conferma (confirmation bias)Uno studio degli psicologi Lauren Alloy, Lyn Abramson e Gerald Metalsky (ved. bibliografia) ha evidenziato come le persone depresse siano meno soggette a illusioni cognitive perchè esse non pensano di controllare il mondo con le loro azioni, mentre le persone “sane” hanno una supersicurezza delle loro credenze che le spinge all’azione.

 

Mondi in cui vivere

Lo psicologo Paolo Legrenzi, nel libro “Credere”, descrive così i mondi mentali nei quali ogni persona può scegliere di vivere (p. 139):

Per gli scienziati e i logici, le credenze dovrebbero venire collocate tutte su un segmento. Ai due estremi del segmento abbiamo 0 e 1. Zero corrisponde a ciò che è impossibile, 1 a ciò che è vero di sicuro, cioè le conoscenze. In mezzo ci sta l’incertezza, più o meno grande. Questa è massima a metà del segmento. Quel punto corrisponde a stati mentali in cui crediamo che qualcosa possa accadere con il 50% delle probabilità e possa non succedere con il 50% delle probabilità. Incertezza assoluta. Ai lati dell’incertezza assoluta si colloca ciò che è possibile, più o meno probabile. Lì sta la nostra vita. A noi il caso non piace.

Gli esseri umani possono vivere in almeno tre mondi mentali, in funzione dell’incertezza che riescono a sopportare. Coloro che non sopportano nessuna incertezza si rifugiano nel mondo della fede, coloro che desiderano l’incertezza si rifugiano nel mondo del mistero (magia, superstizione, ecc.) e, infine, coloro che vogliono ridurre l’incertezza scelgono di vivere nel mondo della probabilità

 

In che modo aggiorniamo le nostre credenze?

Il filosofo Charles Sanders Peirce (Opere pp. 361-371), in anticipo rispetto alle successive scoperte della psicologia cognitiva, sosteneva che le conoscenze umane sono il risultato di ricerche che hanno avuto origine dal dubbio, ovvero da “uno stato di irrequietezza e insoddisfazione contro il quale lottiamo per liberarcene e passare allo stato della credenza“. Ma il fatto che una credenza si riveli più efficace di altre, cioè permetta di abbandonare la condizione di dubbio meglio di altre, non implica che essa sia anche la più vera. Il fine della ricerca è perciò quello di stabilire delle opinioni, cioè di fissare delle credenze che crederemo “vere”, in base alle quali sarà possibile agire.

Cos’è dunque una credenza? Essa è una regola per l’azione, cioè è “un avviso a noi stessi di come dobbiamo, all’occasione, agire nei riguardi di certe cose”.

Come si arriva alla credenza? Secondo Peirce vi sono quattro possibilità:

  1. La “tenacia” di chi si rifiuta di mettere in discussione le proprie idee
  2. la “autorità” che esclude le altre opinioni
  3. il metodo a priori o metafisico che procede in base al puro ragionamento
  4. il metodo scientifico che si basa sul procedimento sperimentale
Se dal punto di vista dell’efficacia tutti questi metodi sono accettabili, quando consideriamo la questione dal punto di vista della verità solo il metodo scientifico può essere considerato valido, dato che solo esso é capace di riconoscere i propri errori e autocorreggersi. Nel ragionamento quotidiano, spesso, non ci sono le condizioni per affrontare lo sforzo di applicare il metodo scientifico e ci si ritrova così a prendere decisioni intuitive anche quando la complessità del problema da risolvere richiederebbe invece di pensare razionalmente.
In conclusione possiamo dire che, secondo Peirce, l’essere umano non sopporta la condizione di dubbio e si aggrappa alla prima opinione che lo convince pur di averne una. Ma il dubbio è essenziale per il pensiero umano, come scrive Peirce (p. 362): “quando il dubbio cessa, cessa anche l’azione mentale del soggetto.
Ogni dubbio è, per Peirce, ciò che mette in funzione il pensiero umano, ed anche ogni credenza che va a sostituire quel dubbio non è che un punto di partenza sempre modificabile. Egli scrive nel libro “Come rendere chiare le nostre idee” (p. 85):
Poichè la credenza è una regola per l’azione (belief is a rule for action), la cui applicazione implica ulteriori dubbi ed ulteriori pensieri, nello stesso tempo in cui essa è un punto di arrivo, è anche un punto di partenza per il pensiero. Ed è per tale ragione che mi sono permesso di chiamarla pensiero in riposo, quantunque il pensiero sia essenzialmente un’attività.

Charles Sanders Peirce e il fissarsi delle credenze

Il filosofo Charles S. Peirce nel 1877, in un saggio intitolato “il fissarsi della credenza” (da: Opere, C.S.Peirce, 2003 -pp.361-362), descrisse ciò che si oppone all’autocorrezione dei processi di pensiero:

L’irritazione del dubbio causa una lotta per conseguire uno stato di credenza.[…]Perciò la lotta inizia con il dubbio, e termina con la cessazione del dubbio. Insomma, il solo obiettivo della ricerca è lo stabilirsi di un’opinione. Si potrebbe supporre che questo non basti, e che noi andiamo in cerca non meramente di un’opinione, ma di un’opinione vera. Ma se mettete alla prova questa supposizione, la troverete senza fondamento: infatti, appena raggiungete una salda credenza, siete perfettamente soddisfatti, sia che la credenza sia vera, oppure falsa.[…] Possiamo al massimo sostenere che andiamo in cerca di una credenza che ‘crederemo vera‘.

Secondo Peirce, l’essere umano non sopporta la condizione di dubbio e si aggrappa alla prima opinione che lo convince pur di averne una. Ma il dubbio è essenziale per il pensiero umano, “quando il dubbio cessa, cessa anche l’azione mentale del soggetto”. Costitutivamente l’essere umano desidererebbe riposare la mente, smettere di pensare, ma il mondo non glielo permette

 

La dissonanza cognitiva motore interno del (possibile) cambiamento delle credenze

Ogni essere umano è impregnato di credenze contraddittorie, e il motivo l’ha evidenziato, ad esempio, lo storico Yuval Harari nel libro “Breve storia dell’umanità” (p. 204):

Se le tensioni, i conflitti e i dilemmi irrisolvibili sono le spezie di ogni cultura, ogni essere umano che appartenga a qualche cultura deve abbracciare credenze contraddittorie e sentirsi lacerato da valori incompatibili. E’ una caratteristica così essenziale da avere persino un nome: dissonanza cognitiva. La dissonanza cognitiva è spesso considerata una défaillance della psiche umana. In realtà è un bene vitale. Se non fossimo in grado di avere credi e valori contraddittori, probabilmente sarebbe stato impossibile istituire e mantenere una cultura umana qualsiasi.

La dissonanza cognitiva è stata teorizzata nel 1957 dallo psicologo Leon Festinger con il libro “Teoria della dissonanza cognitiva”, nel quale egli descrisse le sue ipotesi di lavoro e gli esperimenti condotti per confermare la sua teoria. Egli, ipotizzando che ogni individuo mira alla coerenza con se stesso, enunciò così le sue ipotesi di base (p. 2):

  1. L’esistenza della dissonanza, provocando un disagio psicologico, spingerà l’individuo a tentare di ridurla per ottenere la consonanza
  2. Quando la dissonanza è presente, l’individuo oltre a cercare di ridurla eviterà attivamente situazioni e conoscenze che aumenterebbero probabilmente la dissonanza
L’insorgere di dissonanze, a seguito di nuovi eventi o informazioni, è indubbiamente un fatto quotidiano nella vita di ognuno e produce un momentaneo disagio nell’individuo che le subisce. Tuttavia Festinger si propose di indagare le circostanze in cui tali dissonanze perdono il carattere di fenomeno momentaneo per diventare persistenti. Infatti ci sono persone incoerenti che non riescono ad analizzare e risolvere le loro incoerenze, fallendo nella loro risoluzione. Allora accade che l’incoerenza permane, ad esempio dopo aver preso una decisione che si è rivelata in contrasto con le norme culturali dell’individuo o con le sue precedenti esperienze o con la sua logica interna.
Per ridurre la dissonanza vi sono tre possibili soluzioni: (1) l’individuo può agire modificando il suo comportamento, o (2) modificando (cambiando) l’ambiente nel quale il comportamento si attua, o (3) modificando il proprio mondo cognitivo; in quest’ultimo caso si presentano due opzioni, la prima, positiva, che comporta l’apertura a informazioni e conoscenze che aumentano la dissonanza, la seconda, negativa, che evita le fonti favorevoli alla dissonanza. Di solito quest’ultima è la soluzione più semplice e meno costosa per l’individuo,  ma è anche quella che lo “impoverisce” di più dato che comporta razionalizzazioni, minimizzazioni, svalutazioni e deformazioni della realtà.
La dissonanza cognitiva varia fortemente da individuo a individuo, infatti vi sono individui per i quali essa è particolarmente penosa e intollerabile, e individui che riescono a tollerare un alto grado di dissonanza. Scrive Festinger (pp. 238-239):
Le persone con un basso grado di tolleranza per la dissonanza mostreranno maggior disagio in presenza della dissonanza e manifesteranno sforzi maggiori  per ridurla di quanto non faranno le persone con un alto grado di tolleranza. A causa di questa variazione negli sforzi per ridurre la dissonanza, sarà plausibile aspettarsi che le persone con un basso grado di tolleranza avranno effettivamente una dissonanza notevolmente inferiore in qualunque momento, che non le persone con un grado piuttosto alto di tolleranza per la dissonanza. Ci si aspetterebbe che una persona con un basso grado di tolleranza veda le questioni o tutte bianche o tutte nere, più di una persona con un alto grado di tolleranza per la dissonanza che potrebbe essere in grado di mantenere il “grigio” nelle sue cognizioni. Così, per esempio, immaginiamo che un individuo sia un Democratico. Se egli ha un alto grado di tolleranza per la dissonanza, sarà possibile per lui continuare ad essere un Democratico e credere nello stesso tempo che ci sono certe questioni sulle quali i Democratici hanno torto. […] Una persona con un basso grado di tolleranza per la dissonanza sarebbe, forse, incapace di mantenere simili dissonanze e cercherebbe di eliminarle. Così ci si potrà aspettare che se una persona con un basso grado di tolleranza per la dissonanza è un Democratico, mostrerà una tendenza ad accettare qualunque cosa i Democratici sostengono.

Esposizione a nuova informazione e dissonanza cognitiva

La figura è tratta dalla pag. 117 del libro “Teoria della dissonanza cognitiva” e mostra in che modo Festinger ha rappresentato la relazione tra “grandezza della dissonanza ” (asse x) e “ricerca attiva di nuova informazione o evitamento di essa” (asse y). Scrive Festinger (p. 118):
La figura illustra schematicamente come l’esporsi ad una fonte di informazione cambi nella misura in cui aumenta la dissonanza, proporzionalmente all’aspettativa di ciò che può offrire la fonte di informazione stessa. Se ci si aspetta che le nuove informazioni tenderanno ad aumentare la dissonanza, si tenterà soprattutto di evitare l’esposizione salvo a livelli molto bassi di dissonanza e ai suoi limiti massimi. Se ci si aspetta che la nuova informazione diminuisca la dissonanza, aumenterà la tendenza a cercare quel tipo di informazione, man mano che la dissonanza aumenta fino a raggiungere il proprio punto limite. Vicino al limite della massima dissonanza possibile la rappresentazione grafica della curva è discendente, proprio quando ci si aspetterebbe che la nuova informazione diminuirà la dissonanza. […] Essenzialmente sto ipotizzando che se la dissonanza è tanto alta da essere vicina al limite della massima dissonanza possibile in una situazione, il disagio sarà così grande per la persona che dovrà sopportarla che, anche se qualche nuova informazione può in qualche modo ridurla, il fatto di aggiungere nuovi elementi consonanti, non potrà recarle grande conforto; per questo ci sarà una scarsa ricerca da parte sua di questi nuovi elementi che producono consonanza.

Conclusioni (provvisorie): Le credenze nascono dalla difficoltà umana ad accettare il fatto che moltissimi eventi sono puramente casuali e frutto di coincidenze

Nonostante la rivoluzione conoscitiva avviata dal metodo scientifico, vi è una persistenza di credenze false e contraddittorie nella mente di tutti noi. Anzi, sembra proprio che le credenze appartengano costitutivamente al nostro stile di pensiero. Qualsiasi credenza in quanto spiegazione, anche la più irrazionale e assurda, tende a rendere meno minacciosa l’imprevedibilità dell’universo. Il nostro cervello sembra spontaneamente convinto che una “qualsiasi spiegazione è meglio di nessuna spiegazione”. Infatti scrive Charles Sanders Peirce: “Cos’è dunque una credenza? Essa è una regola per l’azione, cioè è “un avviso a noi stessi di come dobbiamo, all’occasione, agire nei riguardi di certe cose”. Gli esseri umani possono vivere in almeno tre mondi mentali, in funzione dell’incertezza che riescono a sopportare. Coloro che non sopportano nessuna incertezza si rifugiano nel mondo della fede, coloro che desiderano l’incertezza si rifugiano nel mondo del mistero (magia, superstizione, ecc.) e, infine, coloro che vogliono ridurre l’incertezza scelgono di vivere nel mondo della probabilità. L’insorgere di dissonanze, a seguito di nuovi eventi o informazioni, è indubbiamente un fatto quotidiano nella vita di ognuno e produce un momentaneo disagio nell’individuo che le subisce. Lionel Festinger si propose di indagare le circostanze in cui tali dissonanze perdono il carattere di fenomeno momentaneo per diventare persistenti. La dissonanza cognitiva varia fortemente da individuo a individuo, infatti vi sono individui per i quali essa è particolarmente penosa e intollerabile, e individui che riescono a tollerare un alto grado di dissonanza impoverendo la propria personalità. La dissonanza cognitiva offre a ogni individuo la possibilità di mettere alla prova la bontà delle proprie opinioni, ma pochi sfruttano questa possibilità mentre molti la evitano.


Tratto da:
https://www.pensierocritico.eu/credenze.html

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