Mussolini fu disastroso per l’economia italiana esattamente come i governanti di oggi: quando ci libereremo dal liberismo?

Con questo articolo andremo a leggere le parti più importanti di un articolo di venerdì 9 luglio 1926, comparso sul Corriere della Sera dal titolo “Produrre di più, consumare di meno ed esportare, i discorsi di Mussolini Pirelli all’inaugurazione dell’Istituto nazionale

Dopo aver letto questo articolo, ci renderemo conto di come la storia – la storia economica – non ci ha insegnato nulla e continuiamo, in loop, a ripetere sempre gli stessi errori. Il fascismo prima di diventare autarchico era liberista.

La pagina originale del Corriere della Sera del 9 luglio 1925 la potete scaricare qui

Leggiamo le parti più importanti dell’articolo

I discorsi di Mussolini e Pirelli all’inaugurazione dell’Istituto nazionale

Roma, 8 luglio, notte.

Stamane ha avuto luogo l’inaugurazione dell’Istituto nazionale per le esportazioni nella sua sede di via Torino, con l’intervento del Capo del Governo on. Mussolini, di parecchi ministri, di quasi tutti i membri del Consiglio generale dell’Istituto e delle personalità più interessate al nuovo movimento che ha trovato la sua prima espressione nella creazione dell’Istituto.

 

IL PROBLEMA DELL’ESPORTAZIONE

Il dottor Alberto Pirelli, che ha accettato dal Governo l’incarico di organizzare i servizi dell’Istituto, ha pronunciato il discorso inaugurale. Dopo un ringraziamento rivolto a nome dei produttori e commercianti d’Italia al Capo del Governo e ai ministri che vollero creato l’Istituto, l’oratore ha posto in lucidi termini il problema dell’esportazione, necessaria più per l’Italia che per altri paesi per le note ragioni economiche finanziarie che congiuntamente esercitano un’influenza favorevole sulla nostra bilancia dei pagamenti.
« L’esportazione – ha detto – non è che un fenomeno derivato, ossia dipendente dallo stato di produzione e dalla tendenza al risparmio. Il capo del Governo l’ha detto ripetute volte: la restaurazione dell’economia nazionale non può compiersi che sulla base del binomio: produzione e risparmio.

In una maggior produzione si trovano – se mi si consente l’espressione – i soli rimedi naturali che la farmacopea economia ci offre contro i mali che tormentano ancora la nostra vita economica. Bisogna produrre di più se si vuole esportare; bisogna produrla ad un costo che permetta di vincere la concorrenza sul mercato mondiale.

FONTE: Banca d’Italia – rapporto annuale sul 1925 (pag 26) – Bilancia commerciale 1924-25

Ma non basta produrre di più, se poi si accresce anche il consumo privato interno: bisogna che il Paese risparmi. Non solamente perché il risparmio forma il capitale, patrimonio delle generazioni future, ma anche perché tanto più si può esportare quanto meno si consuma.

Solo un incremento dell’esportazione potrà aiutare a risolvere il problema della nostra stabilizzazione monetaria, problema che sta veramente al primo piano della nostra vita economica ». (…)

CIFRE E MONITI DEL CAPO DEL GOVERNO

Ha preso infine la parola il Capo del Governo, il quale ha detto:

« (…) Che cosa è questo istituto nazionale per le esportazioni? Cerchiamo di definirlo agli effetti dello stato civile. Esso è una sezione distaccata del Ministero dell’economia nazionale. Questo già ne delinea il carattere e la figura.

Naturalmente, essendo distaccato ed autonomo, ha le maggiori possibilità di movimento e la maggiore elasticità di funzioni. Per questo lo abbiamo creato autonomo e lo abbiamo voluto autonomo anche topograficamente, cioè in una sede propria.

Due anni fa, parlando al Cova, io dissi a questi ottimi costituzionali che mi ascoltavano, che si andava verso un periodo nel quale la lotta economica fra le nazioni sarebbe stata più dura e più spietata della lotta militare fra le Nazioni stesse.

È quello che si verifica oggi. Non si deve credere a un’attenuazione di questo fenomeno. No! Dobbiamo renderci conto di questo fatto: che la vita diventa dura, non più comoda per nessuno.

Quando si parte da questo che io chiamo senso virile della realtà, tanto lontano dal disfattismo lacrimogeno e imbelle come dall’ottimismo panglossiano e inconcludente, si è bene inquadrati per comprendere l’attuale epoca storica e per vedere quali sono i nostri compiti.

E veniamo a cose concrete e precise. Questione dei cambi. La lira è malata e allora noi, che sentiamo la nostra responsabilità, abbiamo cominciato con l’esaminare quali potevano essere le cause di questa anemia.

Questione dei debiti non sistemati? Li abbiamo sistemati.

Questione della circolazione? L’abbiamo ridotta: la nostra tendenza è piuttosto deflazionistica.

Bilancio dello Stato? Il bilancio dello Stato non solo è in pareggio, ma è in avanzo notevolissimo. (NDR – 417 milioni di lire, foto sotto)

FONTE: Banca d’Italia – rapporto annuale sul 1925 (pag 15)

Dunque, procedendo per eliminazione, nessuno di questi fattori è la causa dell’anemia. Bisogna continuare nell’esame delle cause, e allora veniamo a un punto che è quello della bilancia dei pagamenti di cui è parte preponderante la bilancia commerciale. (…)

NDR – per il resto dell’articolo Mussolini elenca i saldi di importazioni ed esportazioni di molti prodotti, andiamo alla conclusione dall’articolo:

« Fatto l’Istituto non c’è che un elemento di più per risolvere il problema; ma questo dovrà essere risolto da tutti gli elementi che compongono la parte vitale della Nazione: Governo, industriali, lavoratori, agricoltori, commercianti, banchieri: tutto, insomma, il popolo italiano che sente la grandezza, l’importanza, la necessità di questa vasta opera che solleverà – ne sono certissimo – le sorti della nostra economia e mostrerà al mondo la potenza, la volontà, la capacità di lavoro della nuova Italia »

Il discorso del Primo Ministro è stato salutato alla fine da una lunga, calorosa ovazione.

OSSERVAZIONI

Insomma un déjà-vu di quello che stiamo vivendo oggi. Mussolini ben consapevole della guerra commerciale in atto, cercava lo scontro col resto del mondo a suon di “durezza del vivere“.

Un po’ come oggi gli “euroinomani” invocano “più Europa” per competere con la Cina, ma il finale di questo disegno è la seconda guerra mondiale ieri e oggi, di questo passo, rischiamo la terza guerra mondiale.

Il discorso di Pirelli – ovvero le politiche di distruzione della domanda interna per poter esportare di più – ricorda molto quello che fece Monti nel 2012 per internderci… Ed entrambi volevano difendere un cambio fisso!

Mussolini parlava anche della gestione dei conti pubblici, come quella di un’azienda. Le politiche di avanzo infatti – nel 1925 di 417 milioni di lire – continuarono fino alla fine del decennio.

In una nota del rapporto Banca d’Italia sul 1931 – a pag 14 – leggiamo

Nel suo discorso al Senato, il 6 giugno 1931, l’On. Ministro delle Finanze, dopo aver accennato come il fenomeno del disavanzo fosse comune a quasi tutti i Paesi, anche di gran lunga più ricchi del nostro, osservava: « Ma a prescindere da tali consi­derazioni, è da por mente che il deficit si manifesta in Italia dopo sei esercizi chiusi in avanzo, e dopo il salutare risanamento, faticosamente compiuto, nel triennio 1928-30, del preoccupante sbilancio passivo dei residui ereditati dai cessati governi

E dopo quasi 90 anni non abbiamo ancora capito che il deficit di bilancio, per uno Stato, è la normalità! All’epoca poteva esserci la “scusa” del gold standard che dal 1971 non esiste più!

FONTE: portale storico camera dei deputati

Per la cronaca nel 1931 il ministro delle Finanze era Antonio Mosconi, carica che hanno svolto diverse persone nel governo Mussolini.

Un’altra “perla” di un altro ministro delle finanze, stavolta sul pareggio di bilancio:

FONTE: Banca d’Italia – rapporto annuale sul 1927 (pag 12)

Come, appunto, ha detto, nel suo recente di­scorso in Senato, l’on. Ministro per le finanze, « il pareggio del bilancio dello Stato è il fondamento di qualsiasi opera che si volesse costruire, e senza di esso tutto sarebbe vano »

In questo caso il ruolo era ricoperto da Giuseppe Volpi.

Ricapitolando: distruggere la domanda interna, aumentare la produttività per competere sulle esportazioni, bilancio di uno Stato come quello di un’azienda. Cos’è che manca per chiudere il cerchio? Moneta forte e cambio fisso!

TASSI DI CAMBIO

Sempre dal rapporto sul 1927, in una nota a pagina 23 leggiamo:

Secondo il Ministro per l’Economia nazionale, « la rivalutazione della lira è stato lo sforzo che ha cimentato fino al limite massimo la economia nazionale, come si possono cimentare al limite massimo, prima di deformarli permanentemente o di spezzarli, i metalli ». (Dal testo ufficiale del discorso dell’on. Ministro Belluzzo, alla Camera dei Deputati, per il bilancio dell’Economia nazionale).

Vediamo allora le quotazioni dal 1920 al 1940 sulle principali valute, grafici dal portale tassi di cambio della Banca d’Italia.

Quotazioni sul dollaro USA (aumento dell’indice significa svalutazione della lira)

Cambio Lira – Sterlina, nel 1927-30 potete ammirare il famoso “quota 90” (aumento dell’indice significa svalutazione della lira)

Quotazioni sul Franco svizzero (aumento dell’indice significa svalutazione della lira)

Cambio con il Marco tedesco (diminuzione dell’indice significa rivalutazione della lira)

Quotazioni sul Franco francese (diminuzione dell’indice significa rivalutazione della lira)

Durante il ventennio l’andamento della lira era quello di rivalutarsi su tutte le cinque valute considerate, per poi diventare fisso dal 1926.

Il massimo picco su dollaro, sterlina e franco svizzero fu raggiunto il 28 luglio 1926, lo stesso mese del discorso di Mussolini che abbiamo analizzato.

Dopo la rivalutazione del 1926-27 inzio il periodo di fissità del cambio, secondo voi cosa è successo alla bilancia commerciale dopo tutte queste misure?

FONTE: Banca d’Italia – rapporto annuale sul 1928 (pag 20)

Rimase chiaramente in deficit, con le importazioni superiori alle esportazioni, sopra nella foto gli anni 1927 e 1928.

Per quanto riguarda il PIL, ecco come andarono le cose. Vi propongo un passaggio dalla pubblicazione “la crescita economica italiana 1861-2011“, a pagina 27 leggiamo

« Tra il 1922 (l’anno in cui fu grosso modo nuovamente raggiunto il più alto livello di PIL del periodo prebellico) e il 1929, il tasso di crescita annuale dell’Italia fu un notevole 4%. La crescita raggiunse il 6,1% annuo tra il 1922 e il 1925 – la fase “liberale” del regime fascista – con un aumento delle esportazioni a un ritmo annuo del 18,7%. Il primo governo Mussolini riprese le fortunate politiche macroeconomiche prebelliche: il deficit fu eliminato nel 1925, il rapporto debito/PIL scese e il tasso di sconto fu mantenuto a livelli relativamente bassi. »

Insomma il PIL andò meglio prima delle politiche di avanzo e cambio fisso.

DOPO LA CRISI DEL 29

Cosa accadde dopo il crollo di Wall Street del 1929? Riporto una parte di questo articolo preso, tanto per cambiare, dalla Banca d’Italia.

« Nel pieno della Grande Depressione, la svalutazione della sterlina (settembre 1931) e di gran parte delle altre monete equivalse di fatto a un’ulteriore rivalutazione della lira.

Si accentuò il carattere deflativo della politica italiana e pesanti furono le conseguenze sull’attività economica e sul sistema finanziario. Lo Stato e la Banca centrale salvarono dal tracollo le maggiori banche miste, gonfie di partecipazioni azionarie sempre più svalutate. (…)

Alla fine del 1936 la svalutazione della lira, lungamente attesa, favorì la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l’estero. Contemporaneamente, per effetto di un semplice decreto ministeriale, fu rimosso ogni limite alla possibilità dello Stato di finanziarsi per mezzo di debiti verso la Banca centrale: l’autonomia di quest’ultima toccò il punto più basso. »

Vediamo il PIL dopo la crisi del 29, in un confronto con gli altri paesi europei, sempre dalla pubblicazione “la crescita economica italiana 1861-2011“, a pagina 26 leggiamo

« La guerra segnò un tragico spartiacque tra la prima globalizzazione e la successiva de-globalizzazione, durante la quale la storia dell’economia italiana è divisa in due periodi. Fino al 1929 il tasso di crescita del Paese fu di poco superiore alla media dell’Europa occidentale, più alto di quello del Regno Unito ma inferiore a quello della Francia. Negli anni Trenta, al contrario, la crescita del Paese non riuscì a stare al passo con quella delle maggiori potenze europee. »

Insomma ricorda l’andamento dell’Italia all’entrata nell’euro: una iniziale crescita (seppur inferiore agli ultimi anni della lira) e poi dopo un forte shock esterno – in questo la crisi del 2008 – siamo finiti a gambe all’aria.

In questo parallelismo storico il covid-19 rappresenta la guerra, che sembra aver fatto “resuscitare” un illustre protagonista degli anni 30.

 

KEYNES COME UN FARO NELLA NEBBIA

Vorrei concludere l’articolo con dei brevi passaggi di autarchia economica del 1933, saggio breve facilmente reperibile in rete (per esempio qui)

« Cominciamo con la questione della pace. Oggi noi siamo pacifisti con così vigorosa convinzione che, se l’internazionalista economico riuscisse ad averla vinta su questo punto, in breve egli riotterrebbe la nostra adesione.

Ma oggi non pare ovvio che il concentrare gli sforzi di una nazione nella conquista del commercio estero, che la penetrazione dell’economia di un Paese da parte delle risorse e dell’influenza di capitalisti stranieri, e che una stretta dipendenza della nostra particolare vita economica dalle ondeggianti politiche economiche dei Paesi stranieri, siano salvaguardie e garanzie di pace internazionale.

Alla luce dell’esperienza e della prudenza, è più facile giungere alla conclusione opposta. »

La circolazione schizzofrenica delle merci non porta la pace, e dopo oltre 80 anni non l’abbiamo ancora capito! E ancora su come bisognava gestire le finanze pubbliche:

« Oggi noi soffriamo una delusione, non perché siamo più poveri di quello che eravamo, – al contrario, anche oggi, in Inghilterra almeno, noi godiamo di un tenore di vita più elevato che in ogni altra epoca, – ma perché ci pare che altri valori siano stati sacrificati e perché ci sembra che siano stati sacrificati senza necessità.

Infatti, il nostro sistema economico non ci permette davvero di sfruttare al massimo le possibilità di ricchezza economica offerteci dai progressi della tecnica, resta anzi ben lontano da questo ideale, e ci fa sentire come se avessimo potuto benissimo usare tutto il margine disponibile in tanti altri modi più soddisfacenti.

Ma, una volta che ci siamo permessi di disubbidire al criterio dell’utile contabile, noi abbiamo cominciato a cambiare la nostra civiltà. E noi dobbiamo farlo molto prudentemente, cautamente e coscientemente.
Perché c’è un ampio campo dell’attività umana in cui sarà bene che conserviamo i consueti criteri pecuniari.

È lo Stato, piuttosto che l’individuo, che bisogna cambi i suoi criteri. È la concezione del ministro delle Finanze, come del presidente di una specie di società anonima, che deve essere respinta. »

La “società anonima” era l’equivalente delle s.p.a. di oggi, insomma Keynes dice che lo Stato non è un’impresa, ma, come avete visto, i ministri delle finanze che abbiamo analizzato credevano di gestire un’azienda…

Insomma chi oggi accusa gli euroscettici di essere fascisti, ignorano che il fascismo ha applicato le stesse demenziali politiche economiche che l’unione europea ha codificato nei trattati. Ma è impossibile spiegarlo a loro.

Del resto come diceva Ezra Pound chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia“.


Tratto da:
https://canalesovranista.altervista.org/produrre-di-piu-consumare-di-meno-ed-esportare-quando-il-fascismo-era-liberista/

 

 

 

 

 

 

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