Le «Big Pharma» abbandonano gli antibiotici – Toccherà allo Stato occuparsi in un prossimo futuro della ricerca farmaceutica?

Abbiamo tradotto questo articolo di Élizabeth Eckert pubblicato il 23.07.2018 sul quotidiano svizzero “24 heures”
https://www.24heures.ch/economie/La-big-pharma-deserte-les-antibiotiques/story/11684083

La questione è molto seria.
Grazie ai progressi della scienza medica abbiamo aumentato di molto la nostra speranza di vita.

Se le cure mediche e ospedaliere sono ancora in gran parte gestite dallo Stato, come servizio sanitario nazionale, la ricerca farmaceutica e la produzione di farmaci è quasi totalmente in mano privata. Questo significa che se la ricerca farmaceutica non risulta economicamente conveniente, i privati della Big Pharma, guidati dai loro esigenti consigli di amministrazione, decidono di non investire.
Anche se questo significasse per l’umanità andare incontro ad una diffusione inarrestabile dei batteri super-resistente agli attuali antibiotici.
Ne va della nostra vita: ci conviene lasciare la ricerca farmaceutica nelle mani di chi opera unicamente per ragioni di business? Quanto vale la nostra vita?
Possiamo parlare di un servizio sanitario pubblico se la ricerca e la produzione farmaceutica sono totalmente in mano a soggetti privati?

Piuttosto che aumentare le spese militari dal 2% al 4% del PIL, come ci chiede Trump, perché non investiamo quel denaro (con l’1% di questa cifra si farebbero già delle ottime ricerche scientifiche) a sviluppare farmaci che salveranno la nostra vita in un prossimo futuro?

Buona lettura.


Proprio quando l’urgenza di fronte ai batteri iper-resistenti è al suo culmine, anche la Novartis annuncia la chiusura del proprio laboratorio di ricerche: non è redditizio!

  • L’essenziale:
    * I prezzi degli antibiotici sono troppo bassi per le industrie farmaceutiche
    * Allarme: i super-batteri causeranno la morte di 10 milioni di persone nel 2050
    * Replica: solo un intervento coordinato di più stati potrà cambiare la situazione

La notizia ha avuto l’effetto di una bomba negli ambienti farmaceutici e sanitari. Lo scorso 11 luglio il leader svizzero delle industrie farmaceutiche, Novartis, ha annunciato la chiusura del suo laboratorio di ricerca sullo sviluppo di nuovi farmaci antibatterici, situato ad Emerville, nei pressi di San Francisco, in California. Questo provvedimento costerà il posto di lavoro a 140 ricercatori e Novartis occuperà solo più 150 persone nella sua sede della San Francisco Bay Area, oramai unicamente dedicato alle malattie tropicali.

“Abbiamo deciso di concentrare le nostre risorse nei settori in cui siamo meglio posizionati per sviluppare dei prodotti innovativi”, afferma la multinazionale di Basilea in un comunicato. Recentemente il nuovo Amministratore Delegato della Novartis, Vas Narasimhan, aveva dichiarato di voler concentrare gli sforzi del gruppo sulla terapia genica destinata ai trattamenti contro il cancro, nelle neuroscienze e nell’oftalmologia.

Novartis cerca ormai degli acquirenti per la trentina di programmi di ricerca che aveva lanciato nel futuro degli antibiotici, in grado di combattere i “superbugs”, i superbatteri resistenti a tutti i farmaci attuali e oggi responsabili di 700’000 morti all’anno nel mondo.

10 milioni di morti previsti
James Hynard, direttore strategico della ONG britannica Wellcome Trust, ha riassunto, in un tweet, la costernazione generale: “Una cattiva notizia. Novartis si è aggiunta all’esodo generale delle Big Pharma dal settore degli antibiotici e questo in un momento in cui abbiamo un disperato di nuovi trattamenti adatti a combattere le infezioni resistenti”.

Hynard ha ragione: dei 700’000 decessi annuali calcolati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – che ha fatto di queste ricerche una delle sue 3 priorità per i prossimi 5 anni- , il numero di morti dovrebbe raggiungere i 10 milioni di persone per anno nel 2050, stima l’OMS.

Già solo nel 2018 ci sono stati 3 casi di gonorrea (un’infezione trasmessa per via sessuale) totalmente resistenti a tutti gli antibiotici disponibili. A inizio settimana il Centro Europeo di prevenzione e controllo delle malattie (ECDC) ha lanciato un allarme sul caso di 13 Scandinavi che sono stati ricoverati nell’isola spagnola di Gran Canaria. Sono stati infettati da un batterio estremamente pericoloso, non trattabile e contagioso, “in grado di causare delle gravi infezioni, come la polmonite, la meningite o delle setticemie. Il rischio che degli individui contagiati trasmettano questo batterio, se vengono curati nel loro paese d’origine, è molto elevato”. Gli ospedali europei sono quindi chiamati a prendere le massime precauzioni!

Un settore poco redditizio
Dal 2010 si succedono continue diserzioni fra le “Big Pharma”: prima di Novartis ci sono state la AstraZeneca, in parte la Roche, la Bristol-Myers Squibb e la Eli Lilly. Sulle ragioni resta un punto di mistero, come ci spiega Thierry Mauvernay, presidente ed amministratore delegato di Debiopharm Group, di Losanna, una delle ultime aziende al mondo a continuare questo tipo di ricerche: “Il ritorno sugli investimenti è troppo basso nel settore degli antibiotici. A causa del fatto che le prescrizioni sono in costante calo, i loro prezzi sono molto bassi, fra i 5 e i 50 franchi svizzeri. E questo senza tenere conto della pressione esercitata dai farmaci generici, se non addirittura “copiati”.

Per dirla in modo chiaro: l’oncologia, i problemi di erezione o il colesterolo sono infinitamente più redditizi dei farmici antibiotici, che pure hanno permesso di aumentare la nostra speranza di vita di 10-15 anni, contro i 5 anni in media grazie ai farmaci anticancerogeni, se tutti i tumori fossero curati, ciò che non corrisponde a realtà, secondo la KPMG.

Stephan Harbath, professore di medicina all’Università di Ginevra e degli Ospedali universitari di Ginevra, non aggiunge altro. Ha diretto per 3 anni una iniziativa europea, Drive A-B, che riuniva 23 partner privati e pubblici, dalle università ai gruppi farmaceutici, passando per le organizzazioni della sanità pubblica di 12 paesi.

Un nuovo modello di business
L’obiettivo di questa grande “alleanza” era d’incitare tutti gli attori a rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici. “La resistenza agli antibiotici ed una serie di nuovi prodotti sostanzialmente vuoti pongono una vera sfida sanitaria a livello mondiale”, afferma Drive A-B nel suo rapporto finale. L’iniziativa internazionale arriva a proporre un nuovo modello di business in cui l’incoraggiamento ed il finanziamento della ricerca di nuovi antibiotici debba necessariamente passare da misure di incentivo pubblico, per favorire sia la ricerca, sia l’accesso al mercato, riducendo drasticamente i costi di omologazione.

Agli stati non costerebbe che un miliardo l’anno sviluppare e commercializzare delle nuove classi di antibatterici da qui al 2030. Detto in altre parole, la messa sul mercato di 10-20 tipi di antibiotici costerebbe solo 20 miliardi ovvero una goccia di fronte agli investimenti in ricerca e sviluppo sostenuti ogni anno dalle Big Pharma privati, che sono stati dell’ordine di 700 miliardi nel 2017.

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