La guerra d’Ucraina come il Risorgimento italiano?

Giorgia Meloni l’ha sparata grossa. A meno che…

di Giovanni Lazzaretti
05.03.2023

L’ha sparata grossa

Prendo i virgolettati dall’ANSA del 21 febbraio scorso.

Qualcuno ha «sottovalutato l’eroica reazione di un popolo disposto a fare tutto ciò che va fatto per difendere la sua libertà, la sua sovranità e la sua identità».

Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa a Kiev con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

«Mi ha ricordato la nascita dello Stato italiano: c’era un tempo in cui si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica. Ma col Risorgimento ha dimostrato di essere una nazione. Qualcuno diceva che era facile piegare l’Ucraina perché non era una nazione. Ma con la vostra capacità di combattere avete dimostrato di essere una straordinaria nazione».

Eh, Giorgia Meloni l’ha sparata grossa. Nella mente ha due “narrazioni fanciullesche” del Risorgimento e della guerra d’Ucraina. E le ha pure messe a confronto.

Intendiamoci, non è la cosa peggiore che ha fatto. Il brutto che fa è quello di continuare a partecipare alla guerra e promuoverne la causa. Ma prendiamoci anche il tempo di smontare questa narrazione fantasiosa.

 

Un’espressione geografica

L’ho detto di recente(1): amo l’Italia così com’è, col suo inno guerrafondaio e con tutti i suoi difetti. Diciamo che, dopo 100 anni di “casino” dal 1848 al 1948, saltò fuori un’Italia ragionevole, democristiana e non solo, capace di portare il povero e il lavoratore a un buon livello di vita.

Poi arrivarono i neoliberisti e il giocattolo venne fatto a pezzi, ma questo è un altro discorso.

L’amo così com’è, ma non dimentico la brutta maniera con la quale si è formata.

Ve la ricordate la cartina del sussidiario delle elementari? (Per chi ha l’età del sussidiario).

Io l’amavo moltissimo(2) e godevo nel vedere la progressiva unificazione d’Italia. Le questioni cominciai a pormele quasi trent’anni dopo(3).

Oggettivamente, guardando la cartina, non c’era nessun motivo per cui il Piemonte (Regno di Sardegna, ma Piemonte, di fatto) fosse il perno di un’unificazione.

Marginale geograficamente, parzialmente attratto dalla lingua francese(4), esteso quel tanto(5), realmente non c’era motivo che avesse un ruolo particolare.

Angela Pellicciari descrive però la sua peculiarità: il sottotitolo del suo libro “Risorgimento da riscrivere” è infatti “Liberali & massoni contro la chiesa”; il Piemonte era l’unico Stato disposto a condurre una guerra di religione in contemporanea all’unificazione d’Italia.

L’Italia quindi era realmente una “espressione geografica”, ma la frase non aveva niente di disdicevole.

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo celebra l’anniversario dei 150 anni dell’Unità di Italia, con una mostra dal titolo Un’Espressione Geografica, a cura di Francesco Bonami. […]

Il 2 agosto 1847 lo statista austriaco Klemens Von Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa e controversa frase «L’Italia è un’espressione geografica». Tale frase venne ripresa l’anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, riportandola però in senso dispregiativo: «L’Italia non è che un’espressione geografica»; nel pieno dei Moti del ‘48, i liberali italiani si appropriarono polemicamente di quest’ultima interpretazione utilizzandola, in chiave patriottica per risvegliare il sentimento antiaustriaco negli italiani.

Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere nell’affermazione di Metternich la constatazione di uno stato di fatto, piuttosto che una connotazione negativa: dal punto di vista politico, infatti, lo statista austriaco notava come l’Italia fosse «composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti». Partendo dalla definizione “Espressione Geografica“ la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo desidera riflettere su come oggi, in un mondo globale dove lo scambio fra le culture e le economie ha cancellato l’antico concetto di confine, la geografia di una nazione sia ritornata a essere un argomento estremamente attuale.

Archiviamo quindi la frase “espressione geografica”.

La frase era semplicemente “vera”, e il suo uso polemico fu una delle infinite “fake news” che caratterizzarono la retorica risorgimentale.

 

Un’Italia “non guerrafondaia” e la prima guerra d’indipendenza

Il fatto che fosse un’espressione geografica, non escludeva per l’Italia altre forme di unità ben più profonda dell’unità politica.

La religione cattolica, innanzitutto.

Poi la lingua italiana, lingua ufficiale al nord come al sud.

Poi la non belligeranza.

  • Potete immaginare un vigore belligerante nel Regno delle Due Sicilie che confinava solo con lo Stato Pontificio?
  • Potete immaginare avventure militari che superassero il livello della scaramuccia per il Ducato di Modena o il Ducato di Parma?
  • Potete immaginare avventure coloniali per il Granducato di Toscana?

C’era addirittura ancora Benevento, enclave dello Stato Pontificio all’interno del Regno delle Due Sicilie, a testimonianza di una divisione statale “tranquilla & statica”.

Stati tranquilli, prosperi, senza debito, con un po’ di cassa.

Solo il Piemonte “fremeva”. Assieme alle élite “liberali” (il virgolettato è d’obbligo, con quello che hanno combinato(6)) sparse in ogni regno.

Faccio solo l’esempio del generale Giovanni Durando: capo dell’esercito del Papa, nella prima guerra d’indipendenza sconfina contro la volontà del Papa (le truppe pontificie dovevano solo presidiare il confine, non attaccare l’impero Austro-Ungarico) e diventa poi aiutante di campo di Carlo Alberto e deputato del Regno di Sardegna. Al servizio del Papa formalmente, ma votato ad altra causa.

Guglielmo Pepe per il Regno delle Due Sicilie non fece molto diversamente. Disubbidienti ai rispettivi sovrani, perché obbedienti ad “altro”.

I vari Stati parteciparono alla prima guerra d’indipendenza a dir poco controvoglia. Il Papa si ritirò il 29 aprile 1848, il 21 maggio 1848 si ritirò il Regno delle Due Sicilie.

Si comincia a morire. Ma ricordiamoci che la “unificazione nazionale” non è motivo di guerra giusta (la guerra giusta può essere solo difensiva, evento incompatibile con un’unificazione forzata). Nessun uomo deve morire per queste motivazioni.

Inoltre, particolare non secondario, proprio durante la prima guerra d’indipendenza il Piemonte cominciò la “guerra interna” per la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni.

Le guerre, si sa, costano.

Come vedeva la faccenda il libro di scuola? Più o meno, così.

«Il Regno di Sardegna, proseguendo nella sua opera di modernizzazione, riuscì ad infrangere gli antichi privilegi, disponendo la soppressione degli ordini religiosi inutili.»

Poi leggete “Risorgimento da riscrivere”, tutto fondato sui verbali del Parlamento Subalpino, e non solo, e forse vedrete una realtà diversa. Più o meno, così.

«Il Regno di Sardegna, nonostante l’opposizione della maggioranza della popolazione e violando la sua stessa Costituzione, soppresse gli ordini religiosi e ne incamerò i beni, privando così di assistenza e istruzione le famiglie più bisognose».

Stesso fatto, ma tutto cambia.

Lo svolgimento della prima guerra d’indipendenza fu un atto sostanzialmente velleitario, con tanti momenti di eroismo, ma votati alla causa sbagliata: un’unificazione violenta dell’Italia.

Quando invece la cartina, ossia la geografia, mostrava come “naturale” una semplice unione doganale, una federazione leggera, di terre che erano già “popolo”, anche senza l’unificazione politica.

 

Inserirsi nel grande gioco

Il Piemonte, compreso che non potrà annettersi l’Italia con l’aiuto degli italiani, cerca aiuto altrove.

Si va a morire in Crimea, per potersi sedere al tavolo dei vincitori, e farsi fare delle promesse dalla Francia.

Non sto a fare la successione degli avvenimenti, la trovate ovunque.

Metto invece in evidenza l’essenziale: il Piemonte si mangiò terre (Parma, Modena, Toscana, Legazioni pontificie) sulle quali non aveva alcun diritto. Il tutto grazie ai famosi “plebisciti”.

Ma, violando il principio di nazionalità, dovette anche cedere alla Francia la sua parte concordata: l’italiana Nizza diventava francese; e la culla dei Savoia passava alla Francia. Imbarazzante, lo si trova addirittura su Wikipedia.

Cavour autorizzò la polizia e i soldati francesi a entrare nei territori sardi, per assicurare che i plebisciti di conferma della cessione alla Francia dessero il risultato voluto.

Chiese anche che il documento segreto in cui era palese la sua approvazione fosse distrutto, e persuase i francesi a utilizzare il termine “riunione” anziché “cessione” in modo da rendere meno insostenibile la sua posizione costituzionale.

Così sappiamo meglio cosa sono i plebisciti, e vediamo anche che i giochi di parole aiutano sempre.

Un po’ più difficile trovare su Internet le clausole economiche della seconda guerra d’indipendenza.

Il Regno di Sardegna incamera la Lombardia. Ma l’aspetto “eroico” del libro di storia viene fortemente smorzato dall’aspetto monetario. Questo è meno eroico e in genere non viene citato.

  • Spese di guerra: 263 milioni.
  • Indennità da pagare alla nemica Austria: 180 milioni.
  • Indennità da pagare all’alleata Francia: 80 milioni.
  • Totale: 523 milioni.

Per far fronte alla botta si fece ricorso principalmente a prestiti. Ça va sans dire: la finanza internazionale è sempre all’erta per lucrare sulla guerra.

 

Arrivano i Mille

Sui Mille cosa volete che vi dica? Se uno pensa che mille uomini possano conquistare un Regno di 102.700 kmq con un esercito di 90.000 uomini + 40.000 riservisti, con un’ottima marina e con armi moderne, lo lascio credere.

Semmai conviene leggere la solita Pellicciari(7). Leggete “I panni sporchi dei Mille”, e avrete qualche idea in più a disposizione.

Fatto sta che Garibaldi si impossessa del Regno delle Due Sicilie.

E Vittorio Emanuele II, da vincitore di nessuna battaglia, invade uno Stato neutrale (lo Stato Pontificio) e accetta il grazioso cadeau.

Per fare che cosa? Per l’unità d’Italia? Direi piuttosto per la “unità del Debito”, che uno staterello come il Piemonte non poteva reggere: nel triennio 1859-1861 il Regno d’Italia neonato ebbe disavanzi di 185 + 414 + 468 milioni. Il debito globale raggiunse i 2.374 milioni, che vennero ripartiti per zone: all’ex Regno delle Due Sicilie, in attivo fino al 1859, toccarono 731 milioni di debito.

Ma non solo il Regno del Sud era in attivo. Tutti gli Stati, tranne la Toscana, erano in attivo. E a tutti toccò la propria dose di debito, di emigrazione e di leva obbligatoria.

Le guerre, si sa, costano.

 

Cosa dire del seguito?

Sbrighiamo il seguito in poche parole, ormai il più è fatto.

Nel 1866 l’Austria ci offre il Veneto gratis. Noi andiamo lo stesso a combattere, prendiamo legnate a Custoza e a Lissa, e vinciamo grazie alla Prussia. Prima guerra del neonato Regno d’Italia, con annessione di Mantova, Veneto e parte del Friuli.

Don Milani, nella Lettera ai Giudici, ci offre una buona sintesi.

Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861.

Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.

Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l’idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l’idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).

Dar la vita per nulla è peggio ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel ’66 l’Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo.

Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com’è complessa la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell’entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.

Il grassetto sulla “complessità” è mio.

Nel 1870, con la Francia che le sta prendendo dalla Prussia, il Regno d’Italia ha mano libera per prendersi lo Stato Pontificio, ultimo baluardo di neutralità e di pace in Italia.

Poi arrivano le avventure coloniali e la prima guerra mondiale, col problema delle “terre irredente”. Salvo sbagliarsi e travalicare in Sud Tirolo che di italiano non aveva nulla.

[Se Cesare Battisti] fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da Salorno e s’era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera. «Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano» (Scritti politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). «Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d’Italia estesi fino al Brennero» (ivi).

Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L’Alto Adige, dove nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.

Sempre don Milani, Lettera ai Giudici.

Basta.

Basta, perché credo di aver scritto a sufficienza per dire che la frase di Giorgia Meloni

«Mi ha ricordato la nascita dello Stato italiano: c’era un tempo in cui si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica. Ma col Risorgimento ha dimostrato di essere una nazione.»

è una frase fanciullesca.

Una sintesi migliore è: l’Italia era un’espressione geografica, e al contempo era un popolo, e al contempo viveva pacificamente, e al contempo viveva senza debito. Il Risorgimento creò un’unità territoriale violenta, con un debito esorbitante e con l’emigrazione di 19 milioni di persone tra il 1860 e il 1915.

Le guerre, si sa, costano.

 

A meno che…

La guerra d’Ucraina l’ho raccontata in tutte le salse.

Se vogliamo anche qui una sintesi estrema, possiamo dire così: c’era una volta l’Ucraina, terra dai confini sempre in movimento, poi divisione amministrativa all’interno dell’URSS, poi indipendente dal 1991. Al suo interno aveva il suo “Alto Adige”, talmente vasto da coinvolgere più della metà della popolazione (tra russi, russofoni, russofili, nonché votanti del candidato filorusso). Con la rivoluzione di (euro)Maidan del 2014 volle essere nazione ucraina, contro la metà della sua popolazione. 8 anni di guerra dimenticati in Donbass. Due accordi di Minsk firmati e inapplicati. Poi la guerra attuale.

«Qualcuno diceva che era facile piegare l’Ucraina perché non era una nazione. Ma con la vostra capacità di combattere avete dimostrato di essere una straordinaria nazione».

È la capacità di combattere che fa una nazione?

È la capacità di rendere giustizia a ogni componente del popolo che sta dentro certi confini. Compresa la metà di russi/russofoni/russofili che non amano l’occidente e le sue brutture.

L’Ucraina finisce come il Regno d’Italia: devastato, indebitato, preda dei neoliberisti, succube di interessi altrui.

Giorgia Meloni ha sbagliato paragone. A meno che…

A meno che non facciamo un’operazione-verità: poniamo Zelensky e soci sullo stesso piano NEGATIVO di Vittorio Emanuele II e di Cavour. Allora, sì, si può azzardare un paragone.

Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com’è complessa la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell’entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.

 

Chiudo

Chiudo. Gli eroi stanno a cavallo sui monumenti. Ma non sempre sarebbe il loro posto. Ce lo ricordava una vecchia canzone di Rino Cammilleri, dalla quale estraggo un brano (a memoria).

E come andaron le cose

ognuno lo sa già:

distrutto il regno borbonico,

avanti Gariba’

Ma è insabbiato il seguito

e non tutti sanno che

gli eroi a cavallo sui monumenti

non erano un gran che.

E il primo bel regalo

per i giovani del sud

fu l’ufficiale di leva

con il pennacchio blu

«Ragazzo questo è il mille

ottocentosessantatre!

Con le piume di bersaglier

vieni a servire il Re»

Eccetera.

Triste, molto triste la storia umana, quando ancora si crede alla guerra come collante di una nazione.

 

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

 NOTE

  1. Vedere https://www.attivismo.info/la-politica-e-la-storia-del-non-siamo-insensibili-al-grido-di-dolore/
  2. Amo le cartine in generale. Forse avevo dentro da sempre, senza saperlo, la frase di Guareschi: «Non si può fare un paragone tra un fiume e una strada perché le strade appartengono alla storia e i fiumi alla geografia. E con questo? La storia non la fanno gli uomini: gli uomini subiscono la storia come subiscono la geografia. E la storia, del resto, è in funzione della geografia».
  3. Un primo ripensamento venne prima. Don Milani, nella “Lettera ai Giudici” ha dei punti di utile revisione risorgimentale. Ma rimase per me una lettura isolata.
  4. Come molti altri piemontesi, Cavour aveva grande pratica del francese: le lettere e gli scritti appartenenti al primo periodo della sua vita sono tutti nella lingua d’oltralpe. Più avanti imparò anche l’inglese, che non era allora così comune come oggi. La sua apertura europea era dunque innegabile. L’italiano, però non gli fu mai troppo naturale e spontaneo. Nei suoi primi discorsi parlamentari si osservano forme letterarie di sapore arcaicizzante. (Claudio Marazzini, Treccani)
  5. Estensione di 73.810 kmq. Ma se consideriamo l’oggettiva marginalità geografica della Sardegna, e il fatto che Nizza e Savoia vennero poi usate come “merce di scambio”, la parte “sostanziosa” stava attorno ai 40.000 kmq.
  6. Per limitarci alla sola sfera religiosa, dal sorgere del Regno d’Italia, nel libro “Risorgimento anticattolico” di Angela Pellicciari ho contato 74 espulsioni o impedimento d’ingresso ai vescovi in diocesi, 25 processi o condanne di vescovi, 15 casi di vessazioni su vescovi, 42 casi di diocesi lasciate vacanti.
  7. Se, leggendo, percepite un moto di affetto da parte mia verso Angela Pellicciari, vi do perfettamente ragione.

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