La Giustizia Riparativa. Non solo la pena, ma la riparazione dei danni.

di Laure Anelli
16.02.2017


Condividiamo questo articolo pubblicato nel 2017 nel sito internet francese
https://oip.org/analyse/justice-restaurative-la-fin-de-la-logique-punitive/
nel quale si illustra un nuovo tipo di approccio alla Giustizia.
Nella giustizia attuale ci si occupa di giudicare i colpevoli e di condannarli ad una pena, aggiungendovi delle esperienze personali del detenuto volte (almeno in teoria) a favorire il suo reinserimento nella società civile, a conclusione della pena.
Ma la giustizia attuale non fa nulla per riparare i “danni umani” (psicologici, esistenziali) che ha subito la vittima e non fa nulla, a parte l’esecuzione della “punizione”, per aiutare il detenuto a prendere coscienza dei danni che ha causato ad altre persone.
I metodi della Giustizia Riparativa prevedono diverse modalità di incontro e di confronto fra i colpevoli e le vittime, che consentono alle vittime di superare il trauma umano subito, mentre nello stesso tempo consentono ai detenuti di vedere nella vittima l’essere umano che hanno ingiustamente fatto soffrire. Questa presa di coscienza permette, dati statistici alla mano, di ridurre la recidività dei criminali una volta che siano usciti dal carcere.
Si tratta, quindi, di un modo di fare “più giustizia” di quanta se ne faccia oggi. Al di là dell’entità della condanna, che di per sè avrebbe solo una funzione “vendicativa”, questi metodi consentono di riparare, almeno in parte, i danni morali subiti dalla vittima e, a fine condanna, di restituire alla società degli ex detenuti meno disposti a ripetere lo stesso crimine.


Porre la riparazione dei pregiudizi al cuore della risposta alla criminalità, è il principio della giustizia riparativa, introdotta in Francia con la legge del 15 agosto 2014. Con una trentina di progetti per il 2017 su una ventina di corti d’appello, contro 5 nel 2016, sta oggi conoscendo uno sviluppo esponenziale.
In cosa consistono queste pratiche? Che cosa ci si può attendere? Sono adeguate alla filosofia di origine ?

Alle origini della giustizia riparativa

E’ ad un agente di libertà vigilata che si dovrebbero le prime esperienze di giustizia riparativa. A seguito di un fatto banale questi avrebbe avuto l’idea, nel maggio 1974, di accompagnare due criminali minori ad incontrare le loro vittime, reintrepretando anche le esperienze di giustizia comunitaria che si erano sviluppate nella stessa epoca in Nord America.
Da questa esperienza sarebbero nati, in Ontario, i primi programmi di riconciliazione fra vittima e criminale. I principio si sarebbe in seguito diffuso a mezzo di organizzazioni religiose. Le radici della giustizia riparativa sarebbero anche da ricercare in Nuova Zelanda dove negli stessi anni, attingendo alle tradizioni indigene «per riesumare una risposta alla sovra-penalizzazione» dei giovani aborigeni, riportava la ricercatrice Sandrine Lefranc (1), prima che questo dispositivo fosse importato in Australia, in Canada e negli Stati Uniti.
«Ma la doxa riparatrice dimentica più spesso di menzionare che essa fu soprattutto il risultato di lotte politiche iniziate negli anni 1960 negli Stati Uniti e che attraverseranno le società occidentali» (2), dalla lotta per i diritti civili delle minoranze alle rivendicazioni post-coloniali, passando per i movimenti di sostegno alle vittime di atti criminali e dalle correnti di criminologia critica, sia di taglio marxista che femminista… Qualunque ne siano le origini, questo movimento quasi mondiale (3) non avrebbe conosciuto lo stesso seguito senza il contributo di un esperto americano, considerato il padre fondatore del pensiero riparativo: Howard Zehr, pastore responsabile dello sviluppo della mediazione vittima-colpevole per il Nord America.

Riparare piuttosto che punire

Howard Zehr definisce la giustizia riparativa come un «processo che punta a coinvolgere, nella misura del possibile, tutte le parti coinvolte da una specifica infrazione e che cerca di identificare a livello collettivo le sofferenze, i bisogni e gli obblighi, in modo da guarire e riparare, per quanto è possibile fare» (4). I crimini e i delitti sono considerati, in questo approccio, non come una infrazione alla legge o un attentato all’ordine pubblico, ma come un danno alle persone ed ai legami sociali.
Oltre a questo, la scelta della risposta a questi crimini e delitti non è più monopolio dello Stato e dei professionisti del diritto, ma si fonda sulla partecipazione attiva dei principali interessati e del corpo sociale, attraverso un processo di scambio diretto (o indiretto) fra le persone in conflitto.
Soprattutto in questa prospettiva è l’obiettivo stesso della giustizia ad essere riformulato : «Anziché preoccuparsi di sapere se i “delinquenti” abbiano ricevuto la punizione che meritano, la giustizia riparatrice si concentra sulla riparazione dei pregiudizi causati dal crimine». «La giustizia non ha più dunque la funzione di punire, di trattare o di proteggere, ma di far riparare o compensare il più possibile i pregiudizi causati da un delitto», dichiara Lode Walgrave, uno dei principali teorici di questo campo di ricerche in costruzione. A partire da questa base di principi comuni, gli approcci divergono.
Lode Walgrave distingue due principali correnti: la prima, minimalista, sottolinea i vantaggi legati agli accordi volontari ed informali ed esclude qualsiasi intervento pubblico. L’ambizione dei minimalisti è quindi di ampliare al massimo le possibilità di trattamento delle infrazioni al di fuori dell’istituzione giudiziaria.
La seconda corrente, massimalista, ha al contrario per obiettivo di colonizzare l’attuale giustizia penale: «In caso di fallimento delle delibere, questa seconda ottica promuove il ricorso ad obbligazioni pronunciate dalla giustizia classica in vista di riparazioni o compensazioni parziali (…). La visione massimalista prolunga quindi l’obiettivo riparatore fino all’interno della stessa giustizia criminale e penetra la sanzione giudiziaria», al fine di dargli una vista riparatrice piuttosto che punitiva. Ma in entrambe le correnti la giustizia riparativa incarna per i suoi promotori «un futuro in cui la punizione sarà qualcosa di marginale» (5).

Una gamma di misure dai multipli benefici

Nel concreto le pratiche di giustizia riparativa si declinano nel mondo sotto 3 forme principali : la mediazione fra l’autore e la vittima di una infrazione, la conferenza riparativa (che riunisce, oltre alla vittima ed il colpevole, i parenti delle due parti e dei rappresentanti delle istituzioni che hanno interesse alla risoluzione del conflitto) ed i cerchi di discussione, questi ultimi allargati a tutti i membri della comunità coinvolta ed il cui scopo è di trovare un accordo sulla determinazione della pena.
Sono anche praticate altre forme d’ispirazione riparativa, come ad esempio gli incontri fra persone condannate e vittime che non si conoscono fra loro, ma che sono coinvolte nel medesimo problema (è la prima misura che è stata sviluppata in Francia) ed i cerchi di sostegno e di responsabilità, originariamente concepiti per violazioni a carattere sessuale.
Queste misure portano generalmente a degli accordi, riprese ed eventualmente completati dal giudice, nei casi in cui la misura è integrata al processo giudiziario. Questi accordi conducono a due tipi di riparazione, a seconda che l’infrazione tocchi una persona fisica, una persona morale o la comunità. Nel primo caso la riparazione prende sovente la forma di un indennizzo, la cosa interessante è che è stato negoziato. Negli altri due casi l’indennizzo consiste generalmente in un lavoro di interesse generale. Sono possibili anche altre modalità di riparazione: restituzione degli oggetti rubati, scuse alla vittima o alla comunità, partecipazione a dei programmi di educazione o di formazione, ad un programma di sensibilizzazione al vissuto delle vittime, partecipazione ad deoi programmi sanitari, in caso di dipendenze o a delle terape specifiche (nel caso di violenze sessuali o coniugali) (6)…
Ed i benefici sono multipli. I condannabili si ritengono «meglio riconosciuto nella loro globalità di persona», giocando «un autentico ruolo di attori per la risoluzione del conflitto» essi hanno la sensazione di aver potuto «appropriarsene nel quadro di un processo giusto». La giustizia resa viene percepita come più equa e rispettosa della dignità delle persone. Vengono anche favorite la responsabilizzazione e l’intercomprensione e viene fortemente ridotta la «paura del crimine» presso la vittima.
Il lavoro dei magistrati ne risulta facilitato ed il tasso di attuazione effettiva degli accordi viene migliorato. Il tasso di recidiva risulta ugualmente molto meno elevato (7). Questo anche se le sanzioni inflitte ai colpevoli sono globalmente meno numerose e meno severe, con un minor ricorso alle brevi detenzioni (8).

[…]

Le associazioni delle vittime in prima linea

Proprio quando l’aumento della repressione di questi ultimi decenni è sovente avvenuto in nome delle vittime, il discorso portato avanti dall’associazione INAVEM (federazione nazionale francese di aiuto alle vittime e di mediazione) è invece il seguente: «Si è sempre pensato che non è appesantendo la sorte dei colpevoli che le vittime stanno meglio» – spiega Olivia Mons, responsabile per la comunicazione di INAVEM.
«La stragrande maggioranza delle persone che accompagnamo non si augura che l’autore passi 25 o 35 anni in prigione. Non si trovano in una attitudine di vendetta. Vogliono semplicemente che la pena sia giusta e, soprattutto, que aiuti a prevenire la recidività. A questo titolo alcuni carcerati che hanno partecipato agli incontri detenuti-vittime ci hanno confidato di avere progredito nella loro testa più con questi 5 incontri che in 15 anni di detenzione.
Questo fa riflettere…»
Dei propositi che fanno eco a quelli di Marie-Cécile e Jean-Paul Chenu o ancora di Brigitte Sifaoui. Queste 3 persone, vittime collaterali di un crimine, hanno iniziato un dialogo con la persona all’origine del dramma che hanno vissuto, il tutto prima di seguire le procedure delle pratiche riparative.
«Ho la convinzione che non è facendo soffrire qualcuno che questi arriva ad avere delle prese di coscienza ed a maturare. Credo che la domanda di vendetta nei confronti di un criminale venga soprattutto dalle persone che non hanno vissuto direttamente il dramma.» – confidava Brigitte Sifaoui all’OIP (osservatorio internazionale delle prigioni) nel 2011. L’incontro con l’assassino di suo fratello l’avrebbe aiutata a liberarsene. L’INAVEM vede nella giustizia riparativa una modalità di aiuto alle vittime.
«Il nostro obiettivo è che le vittime siano riconosciute, che esse stiano meglio, che riprendano il corso della loro vita, che non si rassegnino ad uno statuto di vittima. Il processo penale, anche se necessario, non permette loro di prendere la parola come lo vorrebbero. Le misure di giustizia riparativa permettono, al contrario, la riappropriazione di una storia attraverso un dialogo fra vittima e colpevole.

[…]

INVENTARIO NON ESAUSTIVO DI MISURE DI GIUSTIZIA RIPARATIVA

In una nota di gennaio 2016 il Segretariato generale dell’accesso al diritto ed alla giustizia e di aiuto alle vittime (SADJAV) presenta le principali misure di giustizia riparativa sperimentate in Francia o che stanno per esserlo. Si prevede che queste misure siano applicabili a tutti gli stadi della procedura. Per il momento sono tutte limitate alla fase post-sentenza.

  • Gli incontri condannati-vittime e gli incontri detenuti-vittime.
    Si fondano sul dialogo fra i colpevoli del crimine e delle vittime che non si conoscono fra loro, ma che sono stati coinvolti nella medesima situazione. E’ la misura più sviluppata in Francia. […]I cerchi di sostegno e di responsabilità
    Nati in Canada, riguardano persone condannate che presentano un rischio elevato di recidività, accentuato da un forte isolamento sociale. Inizialmente destinati a colpevoli di crimini sessuali, sono stati estesi a tutte le persone detenute a fine pena. Accompagnano il reinserimento sociale dell’interessato, grazie al sostegno di volontari formati che costituiscono il « cerchio di accompagnamento”, accompagnato da un “cerchio risorsa”, composto da volontari professionisti, che interviene in appoggio del primo cerchio. […]La mediazione riparativa o mediazione colpevole/vittima
    Essa consiste in un incontro, diretto o indiretto, fra la vittima ed un colpevole, in presenza di un animatore formato a questa misura. Permette di avere uno scambio sulle conseguenze e le ripercusssioni dei fatti commessi. […]
  • La conferenza riparativa o conferenza di gruppo familiare
    Al di là del faccia a faccia fra colpevole e vittima, si propone la partecipazione dei familiari e delle persone prossime di ciascuno dei soggetti. Questa misura consiste nel favorire le modalità di sostegno che l’ambiente familiare e sociale è in grado di portare agli interessati. Questo tipo di misura è allo studio nel quadro dei programmi di lotta alla radicalizzazione. […]Il cerchio riparativo
    Riguarda delle situazioni che non consentono di cooinvolgere l’azione pubblica (prescrizione del reato, fatti non sufficientemente provati, sentenze di non luogo a procedere, rilascio e proscioglimento…). Si tratta di offrire uno spazio per rispondere alle numerose questioni relative al trattamento giudiziario dei fatti. […]

(1) Sandrine Lefranc, « Le mouvement pour la justice restauratrice : « An idea whose time has come » », Droit et société, 2006.
(2) Jacques Faget, « Les dynamiques de transfert des idées restauratives », Raisons politiques, 2015/3 (n°59).
(3) La giustizia riparativa è presente nei paesi aonglofoni (USA e Commonwealth), in Belgio, Paesi Bassi e in Brasile
(4) Howard Zher, The little book of restorative justice, 2002.
(5) Sandrine Lefranc, op.cit.
(6) Robert Cario, « La justice restaurative : vers un nouveau modèle de justice pénale ? », AJ Pénal, 2007, n° 9.
(7) Circa il 30 % di recidivi in meno per i partecipanti ad una mediazione in rapporto ai non partecipanti; per i cerchi di sostegno  e di responsabilità il tasso di recidività è inferiore dal 70% all’83% in rapporto a coloro che non vi hanno partecipato; pour i giovani che hanno preso parte ad una conferenza riparativa la riduzione della recidività è del 38% in rapporto al gruppo di controllo (Fonte: http://www.justicerestaurative.org/).
(8) Robert Cario, « La justice restaurative : vers un inévitable consensus », Dalloz, 2013, 1077.

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