Jacques Maritain: Una società senza denaro; l’idea di un paese nel quale il denaro sia bandito dalla vita sociale dei cittadini

di Jacques Maritain

Jacques Maritain (1882-1973) è stato un filosofo francese convertitosi al cattolicesimo, che svilippò il pensiero di san Tommaso d’Aquino (neotomismo). Intellettuale di prim’ordine all’interno del mondo cattolico, dopo la morte della moglie, nel 1960, entrò a fare parte di una comunità religiosa.
Poco prima di morire, nel 1973, pubblicò questo piccolo scritto immaginando una società senza denaro.
Anzi, con un denaro costituito da “gettoni” emessi dallo Stato, una sorta di “moneta sovrana esente da debito, in una economia avente al centro la persona umana e non il profitto.
Un testo che fa molto riflettere sulle assurdità degli attuali sistemi monetari, dove la ricerca del profitto ed il meccanismo del debito rendono molte persone povere, disoccupate o lavoratori in semi-schiavitù del sistema.


Una società senza denaro;
un paese nel quale il denaro sia bandito
dalla vita sociale dei cittadini
(Ultimo scritto di Jacques Maritain, la sera prima della sua morte. 28-IV-1973)


I

I tentativi (mal concepiti, del resto) fatti da Fidel Castro in questo senso sono falliti a causa dello spirito (totalitario) che li animava, come anche per le circostanze (prima tra tutte la generale improduttività di Cuba). Ma io sono sempre più affascinato dall’idea stessa di una società senza denaro; e se malgrado la mia incompetenza mi sono lasciato andare a scrivere, a costo di un vasto e temibile sforzo d’immaginazione, alcune note sugli argomenti che mi ossessionano su questo oggetto, è nella speranza che tutti i problemi suscitati da questa idea, attireranno forse un giorno l’attenzione di un buon economista disgustato da una civilizzazione nella quale tutto è sottomesso al regno del cash.
Nel Paese che sogno io, non ci sarebbe nessun tallone d’oro o di dollaro. Lo Stato fabbricherebbe, a uso dei cittadini, una quantità indefinita di Gettoni, senza alcun limite assegnabile, e abbastanza grande quanto bisogna, che sostituirebbero il denaro (1).

A ciascun cittadino (ai singoli per la loro parte, ma mi è più comodo di prendere come esempio il caso dei capifamiglia) sarebbero distribuiti abbastanza gettoni sì da assicurare a tutti di godere di una agiatezza assicurando gratuitamente, a un certo livello di base che sia abbastanza elevato perché essi abbiano un’esistenza degna dell’uomo, la vita materiale (alloggio, abbigliamento, alimentazione, cure mediche, etc.) di una famiglia e la sua vita intellettuale (insegnamento elementare e superiore gratuiti compresa l’educazione sportiva). Ma non è lo Stato, sono i sindacati (in mancanza di meglio uso questo termine ma in un senso molto allargato) o i raggruppamenti formati liberamente i cui amministratori sarebbero eletti dai membri di una medesima professione – e questo per assolutamente tutti i mestieri – che
controllerebbero il lavoro.
Al fine di assicurare il livello base in questione, ogni individuo valido sarebbe tenuto a lavorare a tempo parziale – manualmente o intellettualmente – nella professione da lui scelta.
E per evitare che taluni non si sottraggano al lavoro godendo comunque del comune stipendio di base, sarebbero i sindacati che diminuirebbero in una certa misura (sempre umana, ma seria) le gratuità ricevute (per esempio sottraendo loro dalla quantità mensile di gettoni da ricevere per questo e quello, le allocazioni che erano state calcolate per l’abbigliamento o certe comodità, come gli elettrodomestici o l’acquisto di vino e tabacco, o la concessione di un mese di ferie annuali…).
Si tratti delle scuole superiori (che sono le più importanti per il bene comune), sarebbero lo stesso i sindacati dei professori e degli specialisti confederati tra loro secondo ciascuna delle alte discipline da insegnare, che controllerebbero il lavoro degli studenti, ma a condizione che se uno studente fallisce al primo esame annuale, gli si accordino ancora due o tre anni per raddoppiare i suoi sforzi e presentarsi di nuovo. Se fallisce ancora all’ultimo esame annuale, dovrà cercarsi un altro mestiere.

Il prezzo (in gettoni) di assolutamente qualsiasi derrata che sia, verrebbe periodicamente fissato (grazie ad un ampio uso dei computer) d’accordo tra i sindacati e lo Stato, in ragione di due fattori: la frequenza o la rarità della cosa in questione ed il numero d’ore di lavoro necessarie per procurarsela o per produrla.
Una volta fatta la rivoluzione, i ricchi che volessero conservare il loro denaro sarebbero liberi di portarlo con sé in un altro paese dove emigrassero. Quelli che accetteranno la rivoluzione, donerebbero il loro denaro allo Stato (per la Cassa speciale di cui parlerò), e abbandonerebbero anche le varie imprese (commerciali, industriali, agricole, etc.) che li hanno arricchiti, ai vari sindacati dello stesso tipo.
Potrebbero conservare le abitazioni dove abitano e sarebbe profittevole per la comunità, come per sé stessi, se continuassero nel nuovo regime, sotto il controllo sindacale, a dirigere le imprese in questione che essi avevano fondato o nelle quali erano diventati quadri manageriali per la loro competenza.
Va da sé che, nel nostro nuovo regime, assieme al denaro sparirebbe qualsiasi imposta da versare allo Stato.


II

Commercio con gli altri paesi, che vivono sotto al regime del denaro.
A questo scopo è necessario che il nostro Stato possieda denaro in una Cassa speciale cui solo lui stesso avrebbe accesso. Senza considerare il denaro di cui gli farebbero dono i ricchi che accetteranno il nuovo regime (non ci sarebbe da farci molto conto su questo), tutti i prodotti assolutamente destinati all’esportazione (aerei, macchine, bestiame, opere d’arte, etc., come le scoperte fatte da squadre di scienziati che lavorano nel segreto e ancora sconosciute ad altri paesi) verrebbero ceduti allo Stato che li esporterebbe all’estero che li pagherebbe in valuta che si accumulerebbe nella Cassa speciale dello Stato del nostro nuovo paese).
Questa valuta dervirebbe all’importazione dei prodotti che lo Stato dovrebbe pagare in denaro agli altri paesi da cui provengono. (Servirebbe anche per pagare i viaggi all’estero di cui tratterò più sotto.)
Il fatto che il volume delle esportazioni dovrebbe essere più elevato di quello delle importazioni stimolerebbe la produttività del nostro nuovo paese. L’esportazione da parte del Paese estero di tutti i prodotti di cui ho parlato farebbe aumentare incessantemente le riserve di valuta del suo Stato.

Viaggi all’estero.
Distinguiamo ora i viaggi all’estero che interessano il bene pubblico (congressi internazionali di scienziati o di statisti, competizioni sportive
internazionali, informazioni da raccogliere sul progresso scientifico della ricerca negli altri paesi, etc.) e i viaggi all’estero desiderati dai privati per un motivo o l’altro.
I viaggi del primo tipo sarebbero interamente a carico del nostro Stato.
Quelli del secondo tipo sarebbero anch’essi a carico dello Stato, che verserebbe ai privati in questione la valuta necessaria, ma questi ultimi rimborserebbero parzialmente allo Stato la valuta così da loro ricevuta.
E come ? Sarebbero tenuti a prelevare su una parte di questa – allo scopo di con questa acquistare e di consegnare allo Stato, che poi ne distribuirebbe dove conviene – degli oggetti di alta qualità che non rispondono a nessuna delle necessità del Paese, ma che gli apportano un supplemento di gioia dello spirito (per esempio, delle opere d’arte per i nostri musei o delle registrazioni musicali o dei libri più o meno rari…), senza che, grazie ad un tale rimborso parziale, l’acquisizione di questi oggetti di alta qualità diminuisca in alcun modo le somme di denaro della Cassa speciale destinate all’importazione.
Per quanto riguarda i viaggi all’interno del paese, i mezzi di trasporto utilizzati allo scopo sarebbero gratuiti e a carico dello Stato, così come gli autobus e la metropolitana.


III

Chiameremo “richieste di base” il lavoro (manuale o intellettuale) a tempo parziale, e controllato dai sindacati di cui ho scritto sopra, e che viene richiesto a tutti per assicurare in primo luogo e ad un livello comune di base, i bisogni di ogni famiglia in un regime sociale veramente adattato alla dignità e ai bisogni dell’essere umano.
Chiameremo “espansione del sovrappiù” quello che le genti farebbero durante la metà libera della giornata. Farebbero quello che vogliono, senza che alcun controllo sia esercitato a loro riguardo da parte dei sindacati (2).
Durante questa metà della giornata avranno bisogno di lavorare ancora (salvo durante i periodi più o meno lunghi di vacanza di cui al piano delle richieste di base, come a quello “dell’espansione del sovrappiù” tutti avranno bisogno), – lavorare a modo loro – in modo di ottenere i gettoni necessari per esercitare infine la loro attività libera e fare a garbo loro le diverse istallazioni che questo presuppone.
Poiché lo Stato può fabbricare quanto gli pare, in numero indefinito, tutti i gettoni che rimpiazzerebbero il denaro, è lui che glieli fornirebbe, a titolo gratuito e su loro semplice richiesta, i gettoni che servono per queste istallazioni.
Molti cittadini che desiderano essere in grado di migliorare la propria vita, così lavorerebbero, alcuni facendo commercio (ho indicato sopra come verrebbe fissato il prezzo – in gettoni – di ogni derrata), gli altri fondando e dirigendo ogni tipo d’istituzione (industriale, agricola, intellettuale, etc.), e tutte queste ricevendo dallo Stato le sovvenzioni necessarie in gettoni: sovvenzioni di cui una parte verrebbe usata per la redistribuzione ai fondatori ed agli amministratori.
Altri cittadini preferiranno continuare il lavoro da essi esercitato durante la parte della giornata destinata alle richieste di base. Questo sarebbe specificamente il caso di molti intellettuali (prima di tutti i medici e gli insegnanti; ma anche di scienziati, professori universitari, artisti, filosofi, teologi, dando il tipo d’insegnamento più o meno elementare che verrebbe richiesto a quel livello).
Mentre al contrario, certi intellettuali non desidereranno che di usare sotto il riflettore e in piena libertà di spirito i loro poteri di meditazione e di creazione, e temendo come la peste di dare un insegnamento elementare, durante le ore delle richieste di base, che faccia da ostacolo all’ardore, preferiranno lavorare manualmente durante le ore in questione, non utilizzando per la loro arte o le loro ricerche, che il
tempo riservato all’espansione del sovrappiù e dove tutto sarà sottomesso alla pienezza dei bisogni del loro spirito.
La quantità di gettoni da ricevere – abbondantemente – da parte di tutti i cittadini la cui attività durante il periodo dell’espansione del sovrappiù non sarebbe di tal natura da portare dei benefici, verrebbe stabilita dalle diverse società o accademie di cui essi fanno parte e verrebbe quindi loro versata dallo Stato.
Per quanto riguarda le richieste di base, come per quanto concerne le espansioni di sovrappiù, delle vaste inchieste e consultazioni condotte presso il pubblico, le commissioni speciali e anche le fiere, si succederanno nel corso dell’anno in modo che da una parte il pubblico, dall’altra le genti di mestiere, scelgano a proprio discernimento dei premi (un premio nazionale e dei premi secondari) da attribuire a quanti, in ogni campo dell’attività professionale, si sarebbero mostrati i miglori. E lo Stato (che fabbrica, non dimentichiamolo, un numero indefinito di gettoni) si incaricherebbe di aggiungere all’onore così ricevuto, delle discrete somme di gettoni.


IV

Ho già detto sopra che tutte le istituzioni e le imprese che molti cittadini vorranno fondare e dirigere durante la parte di giornata dedicata alle espansioni di sovrappiù, riceveranno dallo Stato, a titolo di donazione, e su semplice domanda, le sovvenzioni in gettoni giudicate necessarie dai cittadini in questione. Lo Stato non prenderebbe quindi alcuna precauzione se non quella di non aver a che fare con
qualche truffatore. Come dire (poiché molte domande sarebbero eccessive e molte imprese fallirebbero) che astenendosi così da qualsiasi controllo sul valore, l’utilità per il bene comune, il funzionamento delle imprese progettate e il montante reale dell’aiuto da
dargli, lo Stato si esporrebbe al rischio di gettare a mare milioni di gettoni.
Ma il minimo controllo esercitato dallo Stato su una impresa qualsiasi rischierebbe d’introdurre nella struttura amministrativa del Paese un germe, per infimo che sia, di totalitarismo di Stato; gettare via milioni di gettoni è infinitamente meglio che correre tale rischio.

Faccio qui notare che molti marxisti ed altri rivoluzionari (incompleti, a mio parere) il cui cuore è nobile e generoso ma di cui l’ateismo oscura lo spirito, lo scopo finale da perseguire è di “cambiare l’uomo”.
Ora, cambiare l’uomo per effetto di non importa quale rivoluzione temporale dovuta agli sforzi della natura umana, è la peggiore delle utopie. Cambiare l’uomo, sì; dobbiamo aspirare con tutto il cuore a farlo, ma questo è proprio della vita sovrannaturale ricevuta da Dio, e questo vuol dire aspirare a che ciascuno (e noi stessi per primi) tenda alla perfezione della carità e della santità (“Non c’è che una tristezza – diceva Léon Bloy – ed è di non essere santi”), ed è là un affare della grazia di Dio offerta a ciascuno di noi da Gesù e la cui porta viene aperta a tutti tramite il Vangelo, in altre parole, è cosa della Chiesa, Sposa Immacolata di Cristo (quale che possano essere i tradimenti di alcuni, a volte molti, tra i membri del suo personale); è una questione della Chiesa, non del mondo.
Occorre certamente sforzarci di riformare e migliorare – e questo per tutti i popoli – le condizioni d’esistenza ancora così miserabili e le strutture sociali ancora così ingiuste e così crudeli che formano l’ambiente in seno al quale scorre quaggiù la vita umana. Ma questo ambiente è qualcosa d’esterno all’uomo, non è per niente l’uomo stesso.

Nell’ambiente che si presuppone il migliore possibile, l’uomo stesso, con le sue grandezze e le sue miserie, non cambierebbe di un millimetro (3). Nel corso degli innumerevoli periodi della storia del mondo, le mentalità cambiano profondamente, come anche i tipi di civilizzazione. Ma la mentalità di un popolo e il suo tipo di civilizzazione sono delle modalità accidentali in rapporto a quello che è l’uomo in sé stesso, e non significano il minimo cambiamento della sua natura.
Il mondo e la sua natura avanzano allo stesso tempo sia nel bene che nel male (è quello che chiamiamo il progresso); il mondo e la sua storia sono incapaci di cambiare checchessia della natura umana (4). Le vedute che ho proposto in queste note frettolose a riguardo della rivoluzione radicale alla quale io penso, non hanno per niente come scopo finale di “cambiare l’uomo”, esse non hanno come scopo finale (e abbastanza ambizioso) che di cambiare totalmente le strutture sociali all’interno delle quali l’uomo più o meno civilizzato ha vissuto sinora.

In una società sottratta alla sovranità monetaria e finalmente adattata alla dignità umana di tutti, l’uomo conserverebbe quella dignità che ha ricevuto dal Creatore e, allo stesso tempo che la nobiltà e la sete di grandezza, di bellezza e di verità di cui egli è debitore alla sua anima immortale, tutte le debolezze e le miserie spesso terribili e i vizi e l’espansione del male morale alle quali è esposta la sua natura fatta di carne e di spirito (e ferita in ognuno dal peccato originale – omnis homo mendax).
Ed è giustamente perché questa non avrà in alcun modo come scopo finale quello di “cambiare l’uomo”, ma solamente di cambiare a fondo le sue strutture sociali, che alla rivoluzione veramente radicale, la cui idea mi assilla, potrebbero collaborare in sintonia sia i cristiani che i non cristiani (almeno quelli tra i noncristiani che non siano fissati a tutti i costi di “cambiare l’uomo”).


V

Nella nostra società senza denaro qualsiasi prestito ad interesse perderebbe la sua ragion d’essere poiché, a chi volesse fondare un’impresa o un’istituzione qualsiasi, lo Stato fornirebbe a semplice richiesta tutti i gettoni di cui avrebbe bisogno. E se degli insensati tornassero, per associarsi tra loro, al vecchio sistema (in gettoni questa volta, non più in denaro), questi, il prestatore ed il debitore, sarebbero oggetto di sanzioni le più severe. Niente prestito a interesse nella nostra nuova società!

È a partire dall’epoca (XVI secolo) in cui ha cominciato a vincere la partita legale che il prestito a interesse ha preso una importanza assolutamente decisiva per la nostra civilizzazione; ed è dunque soprattutto il prestito ad interesse nei tempi moderni che avrò in mente nelle brevi riflessioni che vi proporrò qui, senza dimenticare che la sua intera storia è altamente significativa, – niente di più umiliante da considerare che questa storia tra gli affari umani (5).
Poiché mentre lo spirito lo condannava in nome della verità e della natura delle cose, si è fatto strada nel nostro comportamento pratico e ha infine costruito il suo impero in virtù dei nostri bisogni materiali presi come fini a sé stessi, separatamente dal bene totale dell’essere umano stesso. Allo stesso tempo il campo delle nostre azioni si è trovato tagliato in due ; e ci si immagina che il mondo degli affari costituisca un mondo a parte, possedendo di sé un valore assoluto, indipendente dai valori e dalle norme superiori che rendono la vita degna dell’uomo, e che misurano la vita umana nella sua integralità.
In altre parole, il prestito a interesse sottomette la parte lucrativa della vita sociale della vita umana (crematistica) all’assolutismo del guadagno e ci assoggetta a un sistema contrario alla natura dove non contano per niente le leggi e le richieste della moralità umana nella sua integralità, ma che, in un mondo chiuso in sé stesso ed assolutizzato appare come un modo legittimo di avere del denaro, sia che si tratti semplicemente di uscire da situazioni d’imbarazzo nelle trattative finanziarie, sia che si tratti d’avanzare più gloriosamente alla conquista del mondo e delle sue ricchezze (non senza servire anche in modo più o meno losco, da quando ci si mischiano gli Stati, da tattiche di prestigio politico che s’impongono dietro le quinte).
La verità sul prestito a interesse ce l’ha detta Aristotele, e in che modo decisivo, quando dichiarò falsa e pericolosa l’idea della fecondità del denaro affermando che tra tutte le attività sociali la peggiore era quella del prestatore di denaro, che costringe a diventare produttore di un guadagno un oggetto naturalmente sterile come la moneta, la quale non può avere altra proprietà ed altro uso che di servire da misura
comune delle cose (6).
Usare il denaro che si possiede per intrattenersi, soddisfare i propri desideri o acquistare, spendendolo, dei nuovi beni migliorando ed abbellendo la propria vita è normale e buono. Ma usare il denaro che si possiede per fargli generare denaro, come se il denaro stesso fosse fecondo, e portasse un interesse “figlio del denaro” , – in greco lo si chiamava “pollone del denaro” (τόκος) – è di tutti i modi d’arricchirsi
“il più contrario alla natura”, e non può essere fatto che sfruttando il lavoro altrui.
“Si ha quindi perfettamente ragione ad odiare il prestito a interesse.” Nummus non parit nummum, come si diceva nel Medio Evo in un celebre adagio.
La Chiesa, nel suo insegnamento dottrinale puro, ha condannato il prestito a interesse tanto decisamente quanto Aristotele. Per molto tempo la legislazione civile è stata d’accordo con la Chiesa nel vedere il prestito, il mutuum, come atto che deve essere essenzialmente gratuito. Tale è l’insegnamento del Vangelo. Tutti quelli (e non mancano) che infrangevano questa legge erano punibili.
Ho appena parlato di puro insegnamento dottrinale della Chiesa, ed è su questo che insisto qui. Di questo puro insegnamento dottrinale dobbiamo distinguere da una parte le soluzioni dottrinali d’ordine applicativo – e più o meno edulcorate – proposte dalla gente di Chiesa, dall’altra parte il comportamento pratico di queste.
Un po’ prima della metà del XVI secolo, il diritto civile ruppe con l’insegnamento dottrinale della Chiesa permettendo così al mondo degli affari di ritenere normale e regolare l’uso del prestito a interesse. Ma il puro insegnamento dottrinale della Chiesa, condannando puramente e semplicemente il prestito a interesse, rimaneva sempre lì, e veniva invocato, come principio, malgrado il proliferare di vani proclami suscitati da teologi compiacenti, e quando ricordando la pura e semplice condanna emessa dalla Chiesa, ma cedendo alla pressione ambientale, le soluzioni di ordine applicativo e più o meno edulcorate proposte dalla gente di Chiesa, si sforzavano di trovare, a costo di infiniti imbarazzi e infinite esitazioni, e di una contraddizione fondamentale mascherata, una qualche giustificazione, almeno in certi casi, del prestito a interesse, indebolirono così sfortunatamente la pura testimonianza che il mondo si aspettava dalla Chiesa.

Quanto al comportamento pratico delle genti di Chiesa, non bisogna dimenticare l’umile devozione e la povertà di molti curati di campagna. Ma il fatto è, anche, che per molti membri del personale ecclesiastico la tentazione era troppo forte e li abbiamo visti gettarsi con fervore per loro vantaggio personale, in tutte le astuzie di cui il mondo degli affari dava loro l’esempio.
Ad onore del papato occorre dire che all’epoca in cui la civilizzazione mercato, che aveva iniziato a regnare nel XII secolo, era decisamente trionfante, Benedetto XIV pubblicò nel 1745 la famosa Bolla Vix pervenit, che proibiva ancora una volta il prestito a interesse e dichiarava peccato concedere che in un contratto di prestito, ipsius ratione mutui, colui che presta ha diritto a ricevere in ritorno più della somma che aveva prestato.
Ancora più tardi, quando fioriva il capitalismo del XIX secolo, Leone XIII denunciava, nell’enciclica Rerum novarum, «l’usura rapace» come un flagello del nostro regime economico.
Nel frattempo il mondo degli affari se ne fregava delle proibizioni della Chiesa e nei tempi moderni, il sistema del prestito a interesse ha finito per imporsi con una forza irresistibile al regime economico della società di cui diventò il tèndine essenziale senza il quale diventava ormai impossibile ed inconcepibile: sì tanto che oggi, in tutti i casi in cui i depositi di denaro su conti infruttiferi si dimostrano insufficienti, il personale della Chiesa non esita, oh, lungi da noi, a dimenticare completamente quello che la Chiesa ha insegnato per secoli, se ne fa un dovere, per assicurare l’esistenza delle diverse istituzioni che ha fondato, come quelle degli Ordini religiosi stessi, di ricorrere agli interessi attivi ottenuti dai depositi in banca, in breve: “alla peggiore delle attività sociali”.


VI

Che sia l’età della pietra, o l’età della saggezza paesana, o l’età industriale, o l’età tecnocratica nella quale siamo entrati, è sempre il lavoro dell’uomo, e lui solo, che è produttivo e fecondo.
Pensare che, una volta che ha portato il suo frutto, una somma di denaro aggiunta, frutto della fecondità del denaro investito dal gestore di fondi, sia dovuta a questi a titolo di interessi rapportati al capitale, è un’illusione fondamentale.
Il denaro non è fecondo. Ne consegue che la somma di cui si tratta, fissata anticipatamente ad un certo tasso, non può essere in realtà che un prelievo operato su quanto è dovuto al lavoro dell’uomo. È questa la proprietà distintiva che caratterizza il regime capitalista.
E questo non è stato inventato da Marx, non doveva che constatarlo come lo facciamo noi tutti, se abbiamo occhi per vedere.
Quello che è proprio di Marx è di avene fatto, proclamando la lotta di classe, uno strumento per la rivoluzione totale da lui immaginata.
D’altra parte, una volta che si è entrati nel sistema del prestito a interesse, sarà inutile accumulare studi teorici e prove empiriche per portare rimedio a tutti i vizi di quest’ultimo, non ci si riuscirà mai, perché il sistema è fondato su un falso principio, il principio della fecondità del denaro.
Nella prospettiva del regime economico, la soluzione comunista appare quindi come migliore di quella capitalista. Ma nella prospettiva della vita sociale, essa ne è peggiore a causa del totalitarismo dello Stato che comporta, e la perdita di libertà che comporta sulla persona umana. Ora, niente è più prezioso all’uomo che la libertà. Per quanto sia malmenata, nel sistema capitalista, la libertà della persona umana esiste.
Meglio dunque in nome della libertà, restare nel regime capitalista cercando dei palliativi malgrado il vizio originario che lo guasta nell’ordine economico, la rovina materialista che costituisce la malattia della nostra civilizzazione ed il primato del denaro al quale tutto è sempre più sottomesso ?
Comunismo, capitalismo, nessuno di questi sistemi è buono; e rassegnarsi a optare per il male minore è indegno dello spirito umano. Una sola soluzione appare come buona e giusta: è quella della società senza denaro.


VII

Una volta ammessa l’idea di una società senza denaro, questa non smette, se la si prende sul serio, di far sorgere, a proposito della sua realizzazione, un’enorme quantità di domande che si urtano e si incrociano giorno e notte nella testa.
Spero di essermene sbarazzato di un tale caos mentale, mettendo per iscritto i principi di queste problematiche e le risposte che m’incarico di dare, non senza una cattiva coscienza poiché so bene qual è la mia incompetenza in materia economica.
Mi scuso, quindi, di queste note mal redatte. Nonostante questo, io credo che le idee che vi sono proposte, se fossero prese in considerazione da economisti ben equipaggiati e con uno spirito sufficientemente libero, se fossero messe a punto da loro, non sembrerebbero più, come appare a prima vista, i sogni di un vecchio pazzo.
Dopo tutto, mi trovo in buona compagnia: nella Repubblica di Platone non c’è traccia né d’oro né di denaro.

Note:
1) Per ragioni di praticità, al fine di evitare l’intasamento presso il pubblico, questi gettoni sarebbero marcati 1, 10, 100 e 1.000, anche un milione, di Biglietti di Stato.
2) Intendo che né loro né le loro imprese sarebbero sottomesse al controllo da parte dei sindacati di cui si parla sopra, ma evidentemente gli impiegati e gli operai delle stesse, potrebbero raggrupparsi per quanto riguarda i loro propri interessi.
3) “Si dimostra necessaria una massiccia trasformazione degli uomini per la creazione in massa di questa coscienza comunista come anche per far funzionare bene la cosa stessa; ora, una tale trasformazione non si può realizzare che attraverso un movimento pratico, una rivoluzione; questa rivoluzione non è resa necessaria solamente perché è l’unico modo per rovesciare la classe dominante, lo è anche perché solamente una rivoluzione permetterà alla classe che rovescia l’altra di spazzare tutto il putridume del vecchio sistema e di divenire adatta a fondare la società su delle nuove basi” (K. MARX, L’ideologie allemande, Éd. sociales, « Classiques du marxisme », Parigi, p.81).
4) Non ignoro che ci sia Qualcuno – l’Anticristo – che, proponendosi di rendere l’uomo completamente impermeabile a Gesù ed al Vangelo, riuscirà senza dubbio ad impermeabilizzare in questo modo una massa tribale di gente che si chiameranno ancora umani e che avranno l’illusione di trovare semplicemente il paradiso terrestre con l’aiuto del Serpente e delle sue dolci medicine eticosociali. Mentre il cristianesimo tutto intero, con tutto quello che lha preceduto nella storia del pensiero, non sarà ai loro occhi che un momento del passato, è
la nostra natura che ne pagherà le spese dell’operazione. Una tale illusione, in effetti non può che portare al disastro, e anche probabilmente abbastanza velocemente. Ho tenuto a fare menzione, in ragione della sua importanza di per sé, della questione sollevata in questa nota: ma essa è di un tutt’altro ordine di quello delle mie riflessioni su una società senza moneta, e va infinitamente più lontano; non mi auguro in nessun modo di doverne abbordare la discussione.
5) Cf. l’opera rimarchevole di L. HEILBRONNER, Les grands Économistes, Parigi, Seuil, 1971.
6) ARISTOTELE, Politique, I, X, in fine Cf. Dict. de Théol. Cath., articolo Usure, col. 2318.

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