Il pericolo dell’obbedienza acritica: L’esperimento di Milgram e la spiegazione scientifica del male

di Carlo Affatigato
24.10.2018

L’essere umano tende ad avere limiti morali molto blandi nel momento in cui esiste un’autorità a dargli ordini per le azioni che compie.

 

Negli anni ’60 l’Europa era ancora sotto l’effetto dello shock di cosa il regime nazista era stato capace di fare. La condanna per i campi di sterminio e i genocidi razziali era stata unanime da tutto il mondo, ma dietro a quella c’era una domanda che ci si poneva sempre più spesso, soprattutto alla luce dei processi che stavano avendo luogo contro le gerarchie dell’esercito tedesco: com’è possibile che un’intera organizzazione militare, rappresentante per esteso di un intero popolo, sia stata capace di atti di tale disumanità?
È possibile che tutti fossero complici nel più grave episodio di annullamento dei diritti umani della storia dell’uomo?
Domande che necessitavano una spiegazione.

Lo psicologo Stanley Milgram dell’Università di Yale ebbe un’idea molto pratica, che poteva dare la risposta alle domande che tutto il mondo, in quegli anni si stava ponendo.
Dal momento che la difesa più comune delle gerarchie naziste nei processi a loro carico risiedeva nel fatto che stessero solo “eseguendo degli ordini”, la domanda alla fine si traduceva in un’altra, strettamente collegata: è sufficiente che un’autorità esterna ci ordini di fare qualcosa, per renderci capaci di atti disumani?
È sufficiente il senso di deresponsabilizzazione dovuto alla presenza di un’altra persona al comando a trasformarci in dei mostri?
Era su questo che il celebre esperimento di Milgram voleva far luce.

L’esperimento di Milgram iniziò a Luglio 1961 e prevedeva una procedura piuttosto semplice. I ruoli coinvolti erano tre:

  • Lo sperimentatore: uno scienziato esperto, che doveva trasmettere senso di autorità, e che avrebbe guidato le azioni e gli eventi dell’esperimento
  • L’insegnante: il vero soggetto dell’esperimento, scelto tra i volontari
  • Lo studente: un attore che serviva a dar vita all’esperimento

L’esperimento venne presentato ai volontari come una ricerca sui meccanismi di apprendimento della memoria. All’inizio dell’esperimento, veniva spiegato agli insegnanti (i volontari) che il loro ruolo era quello di aiutare gli studenti a memorizzare una sequenza di coppie di parole. Gli insegnanti e gli studenti venivano presentati all’inizio e poi separati, con lo studente in una stanza adiacente che veniva fatto accomodare in una rudimentale sedia elettrica, e l’insegnante insieme all’autorità-sperimentatore nell’altra stanza. Gli insegnanti avrebbero dovuto leggere agli studenti, dall’altra stanza, le coppie di parole, poi avrebbero fatto loro un test di memoria: se il test falliva, l’insegnante avrebbe dovuto premere un bottone, che avrebbe inflitto una scarica elettrica allo studente.

essays-culture-1Foto dall’archivio dell’esperimento, raffigurante lo psicologo Stanley Milgram

Le scariche elettriche sarebbero state di intensità crescente, da quelle di bassa intensità di 15 volts a quelle massime di 450 volts, considerate letali. In realtà gli studenti non ricevevano alcuna vera scossa: era loro ruolo fingere di riceverle, e lo scopo era monitorare i comportamenti degli insegnanti, che invece restavano della convinzione della veridicità delle scosse.
Le reazioni degli studenti all’inizio erano decise: l’escalation di voltaggio doveva tradursi in urla di dolore, implorazione a fermarsi, pugni sul muro. Finché, alle scosse di massima intensità, gli studenti avrebbero dovuto giacere immobili, senza parlare.
Nell’altra stanza, intanto, anche le risposte dello sperimentatore ai dubbi eventuali degli insegnanti erano codificate: ogni volta che l’insegnante, al sentire le urla dello studente, chiedeva di fermarsi, lo sperimentatore doveva rispondere [ordinare] con questa sequenza di rassicurazioni:

  1. “Continui, prego”
  2. “L’esperimento richiede che lei continui”
  3. “È assolutamente necessario che lei continui”
  4. “Non ha scelta, deve andare avanti”

Se il volontario chiedeva di nuovo di smettere dopo la quarta indicazione, l’esperimento veniva interrotto.
L’esperimento era considerato concluso anche dopo che l’insegnante dava la scarica di voltaggio massimo per tre volte in sequenza.

Prima di pubblicare i risultati dell’esperimento e darne una spiegazione, il professor Milgram chiese ad altre illustri autorità della psicologia di stimare in quanti, tra le persone comuni rappresentate dal campione, sarebbero stati disposti a dare la scossa di massimo voltaggio. Le previsioni, nel segno del senso comune di etica che si tende ad associare ai nostri simili, erano molto positive, e i professori tendevano a prevedere una percentuale di “mostri” che non sarebbe andata oltre il 3% del campione.

L’esperimento ebbe dei risultati tristemente diversi: il 65% del campione ha somministrato la scossa di entità massima, quella considerata letale, sotto le insistenze dell’autorità che gli stava accanto, e tutti hanno somministrato la scossa di 300 volt, considerata molto dolorosa. Tutti a un certo punto si erano fermati mettendo in dubbio l’etica dell’esperimento, ma quasi tutti l’hanno condotto sino alla fine, rassicurati dal fatto che l’intera responsabilità etica delle loro azioni era a carico dello sperimentatore che stava accanto a loro. La maggior parte mostrò segni evidenti di nervosismo nel continuare: sudore, tremori, morsi alle labbra, unghie piantate nella loro pelle. Ma continuarono. Spinti dall’idea che la cosa non fosse nell’ambito delle loro decisioni morali, continuarono. E la maggior parte arrivò a somministrare delle scosse che, se reali, avrebbero ucciso l’uomo nell’altra stanza.

Il risultato dell’esperimento venne riassunto dal professor Milgram con queste parole, nella pubblicazione dal titolo “I Pericoli dell’Obbedienza”:
Gli aspetti legali e filosofici dell’obbedienza sono di enorme importanza, ma dicono molto poco su come la maggior parte delle persone si comporta in situazioni concrete. […] Le persone comuni, semplicemente svolgendo il loro lavoro e senza alcuna particolare ostilità da parte loro, possono diventare agenti in un terribile processo distruttivo. Inoltre, anche quando gli effetti distruttivi del loro ruolo diventano palesemente chiari, anche quando viene loro chiesto di compiere azioni incompatibili con gli standard fondamentali di moralità, solo un numero di persone relativamente basso hanno le risorse necessarie per resistere al senso di autorità che li spinge verso condotte immorali.

Da quando è stato condotto per la prima volta negli anni ’60, l’esperimento è stato ripetuto diverse volte, con diverse varianti, ma sempre con risultati simili, a dimostrazione che l’essere umano tende ad avere limiti morali molto blandi nel momento in cui esiste un’autorità a dargli ordini per le azioni che compie.
Anche quando le azioni hanno degli effetti visibili e sono senza ombra di dubbio contro i propri standard morali. In questo modo, l’esperimento offre una macabra e terrificante spiegazione a quanto successo sotto il comando del regime nazista.

Il video qui sopra mostra un esempio significativo di come un volontario sia arrivato a dare le scariche più potenti nonostante le remore della propria coscienza. A partire dal minuto 5:45, il volontario inizia a sentire (già alla scarica di 60 volt) le urla dello studente che implora di lasciarlo andare e ricorda che non possono costringerlo a restare. Il volontario protesta praticamente a ogni urlo, ribadisce che non intende continuare fino alla scossa più potente. “Non mi costringerete mica ad ucciderlo”, dice, e quando chiede chi si prende la responsabilità, lo sperimentatore ovviamente rassicura: “Ho io la piena responsabilità di quanto succede qui dentro”. E lui non smette, fino alle ultime scosse. Dopo che il voltaggio raggiunge un livello critico, le urla nell’altra camera smettono, e lo studente smette di rispondere, come se fosse svenuto (o morto). Ma il volontario continuerà a mandare scosse letali.

Nell’esempio del video sopra, il volontario insisterà a dare le scosse di voltaggio massimo fino a che lo sperimentatore interromperà l’esperimento. Dopodiché, verranno poste alcune domande al volontario. Ecco uno stralcio dello scambio finale tra sperimentatore e insegnante:

Sperimentatore: “Come si sente?”
Insegnante: “Io mi sento bene, ma non mi piace l’idea di quel che sta succedendo nell’altra stanza. Lei ha continuato ad insistere e nessuno ha controllato come sta lo studente. Potrebbe anche essere morto. La cosa non mi fa stare bene.”

Sperimentatore: “Chi stava premendo il bottone che inviava le scosse?”
Insegnante: “Io, ma era lei a insistere che lo facessi. Io volevo fermarmi già a 190 volts.”

Sperimentatore: “Perché non si è fermato?”
Insegnante: “È lei che non me lo ha permesso, io volevo fermarmi!”

Nel commento finale, Milgram spiega: “I risultati sono disturbanti, ed escludono che ci si possa fidare solo della natura umana per evitare l’installarsi di comportamenti brutali e inumani. Finché continuano a pensare che gli ordini provengano da un’autorità legittima, i soggetti non si fermano. E se la cosa arriva a tali risultati nei casi in cui l’autorità è rappresentata da un uomo singolo di 50 anni, immaginiamoci l’effetto che può avere l’autorità di un vero governo nazionale.”

Il simulatore di scosse elettriche usate per l’esperimento di Milgram, denominato Shock Box, è conservato negli archivi della storia della psicologia Americana in Akron, Ohio. Una riproduzione è disponibile qui, con la scala di intensità che volge in maniera chiara verso il rosso, senza possibilità di fraintendimenti.

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