Il pensiero unico e il paradosso del “manovale laureato”

di Marco Bulletta

Nel Medioevo la società era caratterizzata dall’ignoranza delle masse, soggiogate dai feudatari e dal clero che facevano leva sull’oscurantismo per mantenere quello stato di cose. Oggi le masse ovviamente non sono ai livelli di ignoranza del Medioevo, ma poiché (gioco di parole) “la vita è fatta di rapporti”, occorre rapportare il livello medio di conoscenza delle masse odierne al livello odierno dello scibile umano, e allora secondo tale rapporto oggi le masse risultano forse ancor meno consapevoli rispetto a mille anni fa. Va poi considerata la cosiddetta “cultura di massa”: nel Medioevo essa poteva identificarsi coi dogmi imposti dall’autorità all’epoca imperante, ossia la Chiesa; oggi (ma già un paio di secoli or sono, come testimoniano le parole di Thomas Jefferson) la cultura di massa è gestita e veicolata dall’apparato mediatico mondiale, non solo in modo esplicito tramite tv e stampa ma, diremmo, anche in modo più subdolo tramite ogni tipo di mezzo comunicativo (letteratura, cinema, musica, teatro, spettacoli in generale) che ricada nella sfera culturale. Potremmo dire che un tempo le masse subivano il dogma restando emarginate dalla cultura, mentre oggi le masse subiscono il dogma essendo indottrinate dalla cultura di massa.

Ma attenzione: oggi abbiamo alcune sorprese. L’oscurantismo odierno, infatti, permea anche strati della società nominalmente più “colti” (e torneremo in conclusione su questa frase). Malgrado, ad esempio, gli ultimi anni abbiano visto crescere il dibattito, anche acceso, sull’imposizione dei dogmi del pensiero unico, in taluni casi il livello medio di consapevolezza di molte persone istruite risulta inaspettatamente appiattito sui suddetti dogmi più di quanto non avvenga per persone di minor livello culturale dalle quali, a buon diritto, ci si potrebbe attendere più inerzia. In alcuni casi professionisti (avvocati, ingegneri, medici, economisti, architetti, ecc.) mostrano un imbarazzante conformismo mentale rispetto al pensiero unico imposto dalle oligarchie globali, una disarmante difficoltà a percepire e individuare la disinformazione mediatica ad esso asservita, insieme ad un misterioso disinteresse rispetto alle istanze volte al contrasto di tali dinamiche. Talora si ode lo stucchevole repertorio dei luoghi comuni mediatici del pensiero unico più da parte di persone con livello di istruzione medio-alto che non da parte di persone intellettualmente meno “titolate”. L’analisi di tale stato di cose porta a riflettere su alcuni punti chiave.

Primo: i percorsi formativi scolastici ed universitari, che dovrebbero curare lo sviluppo del senso critico, già da decenni sono invece “pianificati”  – col supporto di opportuna letteratura –  in senso opposto. In tal modo il sistema dominante ha ridotto, se non eliminato,  il rischio di formare una classe dirigente “sovversiva” rispetto agli schemi progressivamente imposti dal modello neoliberista. Tale aspetto non interessa solo gli studi umanistici (ragionevolmente “indiziati” di intrinseca “aleatorietà” e soggettività), ma anche, meno intuitivamente, i percorsi di studio e le corrispondenti aree didattiche tecnico-scientifiche, ormai fortemente condizionate dalle multinazionali dei vari settori di competenza (non solo, ad es., in ambito medico-farmacologico, ma anche in ambito tecnologico in senso ampio). In materia economica, poi, da decenni si insegna solo il dogma neoliberista.

Secondo: tale condizionamento già presente in ambito formativo-accademico, è ancor più forte in ambito professionale. Infatti sia la conoscenza e la gestione degli strumenti operativi (prodotti, tecnologie, ecc.), sia il necessario aggiornamento professionale (riviste specialistiche, convegni, ecc.) sono ormai promossi e finanziati, in tutti gli ambiti professionali, quasi esclusivamente dalle multinazionali e dai grandi agglomerati finanziari globali; quindi, in ultima analisi, dai pochi soggetti appartenenti all’oligarchia mondiale.

Terzo: Il lavoro e l’aggiornamento professionale delle figure di alto profilo comporta impegni mentalmente gravosi, tali quindi da lasciare meno energie e meno tempo disponibile per riconoscere e selezionare le fonti di informazione. Costoro finiscono così per ricadere all’interno della trappola mediatica disinformativa del “mainstream”, disponibile senza sforzo ovunque, irrigidendosi così nella scarsa propensione al confronto e all’approfondimento proposto dall’informazione indipendente, sovente giudicata inattendibile solo perché non proveniente dalle fonti “ufficiali”. Di conseguenza si chiudono in atteggiamenti di rifiuto mentale rispetto alle notizie alternative, con la (comprensibile, peraltro) mancanza di tempo e di energie mentali da dedicare ad altro che non sia il proprio impegno professionale.
Naturalmente e fortunatamente esistono eccezioni a questa regola, persone istruite che, umilmente, hanno senso critico e continuano a volere imparare.

Quarto punto, infine: gli appartenenti alle categorie professionali di maggior spicco sono spesso affetti da una sorta di appagamento della propria posizione di “élite” intellettuale (presunta e mancata, diremmo a questo punto!) e dalla conseguente convinzione  di “autosufficienza, autarchia e autorevolezza culturale” che li vede per tale ragione spesso refrattari ad approcci mentali diversi rispetto a quanto acquisito col loro percorso formativo e, dunque, rinchiusi nella turris eburnea della loro professione. In materia di economia questo porta, ad esempio, taluni “esperti” a cadere nella trappola mentale del “debito”, ritenuto a torto un elemento connotato aprioristicamente in modo negativo in linea con i dogmi del pensiero unico. A poco sono servite le dimostrazioni di altri economisti competenti e intellettualmente onesti che hanno confutato efficacemente tale dogma.

Ritorniamo ora all’affermazione riportata nella parte iniziale del presente articolo: “L’oscurantismo odierno permea anche strati della società nominalmente più colti”.
La chiave interpretativa di tale affermazione ha come premessa il fatto che la crescita culturale è in buona parte indipendente da quella professionale, essendo quest’ultima fondamentale, ma non sufficiente alla prima.
Partendo da qui è dunque agevole rilevare che queste figure professionali, a causa di sovraesposizione lavorativa, responsabilità, appagamento da professione intellettuale, tendenza a “cullarsi” nell’erronea convinzione di ossedere gli strumenti per comprendere la realtà e le sue dinamiche, finiscono facili prede del pensiero unico imposto dall’apparato mediatico inteso nel suo complesso e non soltanto in termini di mezzi diretti di (dis)informazione; vanno infatti considerate tutte le molteplici articolazioni di tale apparato, comprensive di tutte le forme di comunicazione e rappresentazione che rientrano nella sfera della cosiddetta “cultura” in senso ampio, che permea la socialità intera, veicolando disinformazione tanto più dannosa quanto più articolata e complessa.

Da qui a comprendere che queste figure professionali di livello più elevato finiscono per essere vittime “illustri e non casuali”  dell’inganno e della mistificazione mediatico-culturale, il passo è immediato. Ecco dunque che si configura il “paradosso del manovale laureato”: un individuo di alto livello formativo e professionale, ma assorbito a tal punto dalla propria attività professionale da praticarla “a testa bassa”, come se fosse un manovale, acriticamente esecutore del proprio compito.

Non aiuta, in tal senso, ove presente, l’ulteriore aspetto dell’eventuale maggior stabilità economica: ciò implica infatti maggior difficoltà di percepire i disagi artificialmente creati e strumentalizzati da parte delle oligarchie dominanti, e conseguente minore (o nullo) stimolo a comprenderne le reali cause.

Lascia un commento