Il complotto contro Lula – L’etica violata

Abbiamo tradotto per voi l’articolo del sito internet “The intercept” il 9 giugno 2019 in cui si racconta come in Brasile sia stato orchestrato il complotto che ha impedito all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva di ricandidarsi alle elezioni presidenziali, favorendo di conseguenza la vittoria di Jair Bolsonaro, che sta facendo marcia indietro su molte delle riforme sociali ed ambientali messe in atto.
Questi fatti fanno molto riflettere (pensiamo ai nostri tempi di tangentopoli, quando una intera classe dirigente politica, certamente corrotta, ma non meno di quella che la sostituì, fu spazzata via nel giro di pochi anni) su come i poteri forti siano in grado di operare per indirizzare la democrazia di un paese secondo i loro interessi, che non sono mai quelli di avere un paese governato da politici onesti, ma un paese docile ai loro interessi di business.
Buona lettura


Le chat tra giudice e procuratore brasiliani che hanno portato in prigione l’ex presidente Lula rivelano collaborazioni proibite e dubbi sulle prove utilizzate. Il giudice Sergio Moro ha ripetutamente consigliato Deltan Dallagnol via Telegram durante gli oltre due anni di “Operação Lava Jato

Un’enorme quantità di documenti forniti in esclusiva a The Intercept Brazil ha rivelato gravi violazioni dell’etica ed una collaborazione illegale tra il giudice e i pubblici ministeri hanno condannato e incarcerato l’ex presidente brasiliano Luiz Ignácio Lula da Silva con l’accusa di corruzione, una condanna che ha comportato l’esclusione di Lula dalle elezioni presidenziali del 2018. Questi materiali contengono anche prove del fatto che l’accusa aveva seri dubbi sul fatto che esistessero prove certe per stabilire la colpevolezza di Lula.

Il dossier, fornito a The Intercept da una fonte anonima, contiene anni di file interni e conversazioni private del team dell’accusa che stava dietro alla gigantesca operazione “Lava Jato” in Brasile, un’assidua indagine sulla corruzione che ha prodotto decine di condanne importanti, tra cui quelle di massimi dirigenti aziendali e politici potenti.


Archivio Segreto del Brasile

Nei documenti le conversazioni tra il procuratore capo Deltan Dallagnol e l’allora presiedente giudice Sergio Moro rivelano che Moro offriva consigli strategici ai pubblici ministeri e dava delle dritte per esplorare nuove vie investigative. Con queste azioni Moro ha oltrepassato pesantemente le linee etiche che definiscono il ruolo di un giudice. In Brasile, come negli Stati Uniti, i giudici devono essere imparziali e neutrali e non possono assolutamente collaborare con una delle parti in un caso. Altre chat contenute nell’archivio sollevano domande fondamentali sulla qualità delle accuse che hanno mandato Lula in prigione. E’ stato accusato di aver ricevuto un appartamento fronte mare su tre piani da un appaltatore come regalo per avergli facilitato contratti multimilionari con la compagnia petrolifera statale Petrobras.
Nelle chat di gruppo tra i membri del team di procurarori pochi giorni prima di presentare l’accusa, Dallagnol esprime i suoi crescenti dubbi su due elementi chiave del capo d’accusa: se l’appartamento fosse davvero appartenente a Lula e se avesse a che fare con Petrobras.

Queste due domande erano di fondamentale importanza per poter perseguire Lula. Senza il collegamento con Petrobras, la task force che gestiva l’operazione “Lava Jato”non avrebbe avuti basi legali per perseguire questo caso, in quanto non rientrerebbe nella loro giurisdizione. E ancora più grave: se non si poteva provare che l’appartamento era di Lula, il caso stesso sarebbe imploso, poiché la presunta donazione ricevuta da parte di Lula costituiva la prova fondamentale per dimostrare che egli agiva in maniera corrotta.

L’operazione “Lava Jato” è una delle storie che ha comportato maggiori conseguenze politiche nella storia della democrazia Brasiliana ed anche una delle più controverse. Ha fatto cadere persone potenti considerate da sempre intoccabili ed ha rivelato massicci sistemi di corruzione che hanno prelevato miliardi dalle casse pubbliche.

L’indagine tuttavia è stata anche accusata di pregiudizio politico, di ripetute violazioni delle garanzie costituzionali e di illegali fughe di informazioni alla stampa.
Un articolo separato pubblicato oggi da The intercept rivela che i procuratori di “Lava Jato”, che hanno per lungo tempo insistito sulla loro apoliticità ed unicamente preoccupati della lotta alla corruzione, stavano invece pianificando internamente come evitare il ritorno al potere di Lula e del suo Partito dei Lavoratori.
Il successo del processo contro Lula lo ha reso non idoneo a candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018 in un momento in cui mostravano chiaramente che l’ex presidente era il favorito. Di conseguenza l’operazione “Lava Jato” è stata malvista dai sostenitori dai sostenitori di Lula i quali la consideravano una mossa politica orchestrata dagli ideologi di destra mascherati da pubblici ministeri apolitici e anti-corruzione, per impedire a Lula di candidarsi alla presidenza e per distruggere il Partito dei Lavoratori. Ma da parte della Destra brasiliana, c’era il pieno supporto popolare all’indagine sulla corruzione, alla squadra dei procuratori e a Moro. La lunga indagine ha trasformato Moro in un eroe sia in Brasile che nel resto del mondo, uno status che si è ancora più consolidato una volta diventato l’uomo che ha messo Lula al tappeto.

Dopo che il verdetto di colpevolezza di Moro è stato sbrigativamente confermato da una corte d’appello, la candidatura di Lula è stata vietata. Con Lula fuori dai giochi, il candidato dell’estrema destra Jair Bolsonaro ha fatto un grande balzo in avanti nei sondaggi, per poi conquistare facilmente la presidenza sconfiggendo il sostituto scelto da Lula, l’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad.

Bolsonaro ha poi nominato Moro, il giudice che aveva presieduto il caso contro Lula, Ministro della Giustizia. Giuristi e studiosi continueranno a dibattere per decenni  sul ruolo dell’operazione “Lava Jato”, ma questo dossier che ci è pervenuto offre una visione senza precedenti su un momento cruciale della storia brasiliana.

Sergio Moro passa il limite

I messaggi Telegram fra Sergio Moro e Deltan Dallagnol rivelano che Moro ha ripetutamente oltrepassato i limiti ammissibili della sua posizione di giudice mentre lavorava ai casi di “Car Wash”.
Nel corso di più di due anni, Moro suggerì al pubblico ministero di cambiare le priorità di coloro che dovevano essere indagati dal suo team; insistette sulla riduzione dei tempi morti tra un blitz e l’altro; diede consigli strategici e suggerimenti informali; mise al corrente con largo anticipo i procuratori delle sue decisioni; offrì critiche costruttive alle deposizioni delle accuse e addirittura rimproverò Dallagnol, come se il pubblico ministero lavorasse per il giudice. Tale condotta non è etica per un giudice, che è responsabile del mantenimento della neutralità al fine di garantire un processo equo, e viola il Codice Etico Giudiziario brasiliano.

In una chat illustrativa, Moro, riferendos a nuovi cicli di mandati di perquisizione e interrogatori, suggerì a Dallagnol che sarebbe stato “preferibile invertire l’ordine delle due fasi pianificate”. Numerosi altri casi in questo dossier rivelano un Moro (allora giudice, oggi ministro della giustizia di Bolsonaro) attivamente collaborativo con i pubblici ministeri per rafforzare le loro indagini.
Dopo un mese di silenzio della task force di “Lava Jato” Moro chiese: “Non è trascorso troppo tempo dall’ultima operazione?”.
In una altra circostanza Moro afferma: “Non potete fare questo tipo di errore ora”, un riferimento a quello che considerava un errore della polizia federale. “Ma pensaci bene se questa sia una buona idea o meno… i fatti dovrebbero essere gravi”, consiglia dopo che Dallagnol gli riferisce di una mozione che voleva presentare.
Cosa ne pensi di queste assurde dichiarazioni del consiglio nazionale del Partito dei Lavoratori? Le dovremmo confutare ufficialmente?” chiede, utilizzando il plurale “noi” in risposta alle critiche sull’indagine di “Lava Jato” da parte del Partito dei Lavoratori di Lula, mostrando che vedeva se stesso e i procuratori di “Lava Jato” uniti nella stessa causa.

Il giudice Sergio Moro

Come negli Stati Uniti, il sistema di giustizia penale del Brasile utilizza il modello accusatorio, che richiede separazione tra il giudice e l’accusatore. In base a questo modello, il giudice deve analizzare le accuse di entrambe le parti in modo imparziale e disinteressato. Ma le chat tra Moro e Dallagnol dimostrano che, quando era giudice, l’attuale ministro della giustizia interferiva impropriamente nel lavoro della task force di “Lava Jato”, agendo in modo informale come sostenitore e consigliere dell’accusa. In segreto, stava aiutando a progettare e costruire proprio il caso criminale che avrebbe dovuto poi giudicare in maniera “neutrale”.

Tale coordinamento tra il giudice e il pubblico ministero al di fuori dei procedimenti ufficiali contraddice apertamente la narrazione pubblica che i pubblici ministeri di “Lava Jato”, Moro e i loro sostenitori hanno presentato e vigorosamente difeso nel corso degli anni. Moro e Dallagnol sono stati accusati di segreta collaborazione sin dai primi giorni di “Lava Jato”, ma questi sospetti non erano supportati fino ad oggi da prove concrete.

Un altro esempio di Moro che passa la linea di separazione tra giudice e pubblico ministero è in una conversazione con Dallagnol del 7 Dicembre del 2015, quando informalmente dà una dritta ai procuratori sul caso Lula. “Quindi, la fonte mi ha informato che il contatto è contrariato dal fatto che gli è stato richiesto di fornire bozze di atti di trasferimento di proprietà per uno dei figli dell’ex presidente. Apparentemente la persona sarebbe disposta a fornire le informazioni. Pertanto ve la passo. La fonte è seria.”, scrive Moro.
Grazie! Ci metteremo in contatto.”, risponde subito Dallagnol. Moro aggiunge: “E sarebbero dozzine di proprietà.
Più tardi Dallagnol avvisa Moro di aver contattato la fonte, ma che questa si è rifiutata di parlare: “Sto pensando di redigere un mandato di comparizione, basato su notizie apocrife”, dice il procuratore. Anche se non è del tutto chiaro che cosa significhi, sembra che Dallagnol avesse in mente di inventare un reclamo anonimo che potesse essere usato per costringere la fonte a testimoniare. Moro, piuttosto che punire il pubblico ministero o rimanere in silenzio, pare avallare la proposta: “Meglio formalizzare, allora”, risponde.

Moro ha negato pubblicamente e con veemenza di aver mai collaborato con l’accusa. Durante un discorso del marzo 2016, Moro ha esplicitamente negato tali sospetti:
Facciamo chiarezza. Si sente molto parlare della strategia investigativa del giudice Moro… Non ho alcuna strategia investigativa. Le persone che indagano o che decidono cosa fare sono il pubblico ministero e e la polizia federale. Il giudice è reattivo. Noi diciamo che un giudice normalmente dovrebbe coltivare queste virtù passive. E a volte mi infastidisco, vedo delle critiche piuttosto infondate sul mio lavoro, che mi tacciano di essere un giudice-investigatore.

Nel suo libro del 2017, “La Lotta alla Corruzione”, Dallagnol scrive che Moro “ha sempre valutato le richieste del pubblico ministero in modo imparziale e tecnico”. Lo scorso anno, in risposta a una denuncia degli avvocati di Lula, il procuratore generale del Brasile, il procuratore capo nominato dal presidente che dirige l’inchiesta “Lava Jato”- ha scritto che Moro “è rimasto imparziale durante l’intero processo” che ha portato alla condanna di Lula.

Il procuratore Deltan Dallagnol

 

Dubbi, interpretazioni errate ed un triplo appartamento

Al di là delle interiezioni di Moro, i documenti ottenuti da The Intercept Brazil rivelano che, pur vantandosi pubblicamente della forza delle prove a carico di Lula, i pubblici ministeri manifestavano seri dubbi tra di loro. Erano anche consapevoli che il loro preteso diritto giurisdizionale di perseguire Lula era nel migliore dei casi traballante, se non del tutto privo di fondamento. Nei documenti Dallagnol esprime preoccupazioni relative ai due elementi più importanti dell’accusa. La loro incriminazione accusa Lula di aver ricevuto un triplo appartamento fronte mare dall’impresa di costruzioni Grupo Oas come mazzetta in cambio di agevolazioni per milioni di dollari di contratti con Petrobras, ma mancavano prove documentali solide che dimostrassero che l’appartamento fosse proprietà di Lula o che quest’ultimo avesse mai facilitato alcun contratto. Senza l’appartamento non ci sarebbe stato nessun caso e senza il legame con Petrobras il caso sarebbe ricaduto fuori dalla loro giurisdizione e rientrato sotto la Procura della Repubblica di San Paolo, la quale aveva sostenuto di avere la giurisdizione sul caso di Lula, al posto dei procuratori dell’operazione “Lava Jato”.

Diranno che stiamo facendo accuse sulla base di articoli di giornale e di prove fragili… quindi sarebbe bene che questo elemento fosse ben impacchettato. A parte questo, per ora sono preoccupato per la connessione tra Petrobras e l’arricchimento e, dopo che me l’hanno raccontata, sono preoccupato per la storia dell’appartamento”, scrive Dallagnol in una chat Telegram di gruppo del 9 settembre 2016, quattro giorni prima di presentare l’accusa contro Lula. “Questi sono punti sui quali dobbiamo avere risposte concrete e sulla punta della lingua”. Nessuno dei subordinati di Dallagnol rispose a questi mesaggi, nel materiale esaminato per questo articolo.

I pubblici ministeri a San Paolo hanno avevano pubblicamente messo in discussione la connessione con Petrobras in una deposizione di corte ufficiale, annotando, “Nel 2009-2010 non si è parlato di scandali alla Petrobras. Nel 2005, quando la coppia presidenziale, in teoria, iniziò a pagare le rate sulla proprietà, non ci fu nessuna indicazione di uno scandalo petrolifero”. Il team di “Lava Jato”, con sede a Curitiba, alla fine prevalse sulla controparte di San Paolo e riuscì a mantenere la titolarità su questo caso di alto profilo e politicamente esplosivo. Ma le chat private rivelano che i loro argomenti erano un bluff, non erano realmente sicuri del legame con Petrobras che era poi la chiave per mantenere la giurisdizione sul caso.

Il sabato sera, alle 22.45, un giorno dopo aver espresso i suoi dubbi iniziali, Dallagnol invia un altro messaggio alla chat di gruppo: “Sono così eccitato per questo articolo di O Globo del 2010. Ho intenzione di baciare chiunque di voi l’abbia trovato.L’articolo, intitolato “Caso Bancoop: il triplo appartamento dei Lula è in ritardo”, fu il primo a menzionare pubblicamente Lula come proprietario di un appartamento a Guarujà, città costiera nello stato di San Paolo. L’articolo di 645 parole, pubblicato anni prima dell’inizio dell’indagine “Lava Jato”, non menziona OAS o Petrobras e parla invece del fallimento della cooperativa edile che si occupava della realizzazione del complesso e come questo avrebbe potuto avere un impatto sui tempi di consegna del nuovo appartamento per le vacanze di Lula.

L’articolo fu presentato come prova e, nella sua decisione di condannare Lula, Moro scrisse che l’articolo di O Globo è “abbastanza pertinente da un punto di vista probatorio”. Ma gli avvocati della difesa di Lula contestano che egli fosse proprietario di un triplo appartamento, sostenendo che aveva acquistato un singolo appartamento più piccolo, su un piano inferiore, e l’articolo di O Globo non presentava documentazione comprovante il contrario.

Inoltre c’è una piccola, ma significativa, incongruenza tra l’articolo di O Globo e le affermazioni del procedimento relative all’appartamento. L’articolo stesso pone l’attico di Lula nella Torre B, e osserva che la Torre A deve ancora essere costruita nel momento in cui l’articolo è stato redatto: “La seconda torre, se costruita secondo i progetti, completata negli anni 2000, potrebbe porre fine a parte della gioia di Lula: l’edificio sarò di fronte alla proprietà del presidente, ostruendo la sua vista sull’oceano a Guarujà.” Ma i pubblici ministeri hanno sostenuto che Lula possedeva l’appartamento nella Torre A. Senza notare questa contraddizione, l’elemento 191 dell’incriminazione cita l’articolo di O Globo: “Questo articolo spiegava che l’allora presidente Lula e sua moglie Marisa Leticia avrebbero ricevuto un triplo attico, con vista sul mare, nel detto complesso.” Questo è l’appartamento che verrà infine sequestrato dalle autorità e per il cui ottenimento Lula sarebbe stato condannato.

I procuratori di “Lava Jato” hanno utlizzato l’articolo come prova che la proprietà apparteneva alla famiglia presidenziale, ma hanno incriminato e condannato Lula per un appartamento di un edificio differente, dimostrando che l’inchiesta era imprecisa su un punto centrale dell’accusa: l’identificazione della tangente che Lula avrebbe presumibilmente ricevuto dall’imprenditore.

Quando l’incriminazione fu rivelata durante una conferenza stampa il 14 Settembre, l’appartamento e la sua provenienza come tangente dalla OAS costituirono le prove chiave dell’accusa di corruzione passiva e riciclaggio di denaro. In un momento oramai famoso Dallagnol fece una corposa presentazione in powerpoint che mostrava il nome “Lula” scritto in un”cerchio blu, circondato da altri 14 cerchi che contenevano qualsiasi cosa riguardante Lula, da “La reazione di Lula” ad “espressività” ad “arricchimento illecito” e a “tangentocrazia”. Tutte le frecce puntavano su “Lula”, che loro definivano la mente dietro a un’impresa criminale tentacolare. La presentazione fu ampiamente parodiata e criticata come prova della debolezza delle accuse dei procuratori di “Lava Jato”.

Due giorni dopo Dallagnol inviò messaggi a Moro e, in privato, spieo di aver fatto di tutto per caratterizzare Lula come il “leader maximo” dello schema corruttivo, in modo da collegare il politico agli 87 milioni di Reales (26,7 Milioni di dollari) pagati in tangenti dalla OAS per contratti in due raffinerie della Petrobras, un’accusa senza una prova materiale -ammise-, ma essenziale per far ricadere il caso e svolgere il processo sotto la giurisdizione di Moro a Curitiba.

L’accusa si basa su numerose prove indirette di paternità, ma non sarebbe opportuno affermare che nell’incriminazione e nelle nostre comunicazioni abbiamo evitato la questione”, scrive Dallagnol. “Non è stato compreso che la lunga esposizione al potere dello schema era necessaria per imputare la corruzione all’ex presidente. Molte persone non hanno capito perché lo abbiamo considerato la mente a capo di un guadagno di 3,7 milioni in riciclaggio di denaro, quando invece non era per quello, ma per 87 miloni di corruzione”.

Moro rispose due giorni dopo: “Sicuramente, le critiche alla tua presentazione sono sproporzionate. Resta saldo.” Meno di un anno dopo, il giudice condannò l’ex presidente a 9 anni e sei mesi di carcere. La sentenza fu rapidamente confermata all’unanimità da una corte d’appello e la sentenza fu prorogata a 12 anni e un mese. In un’intervista, il presidente della corte d’appello definì la decisione di Moro come “giusta e imparziale”prima di ammettere in seguito che non aveva ancora ottenuto l’ accesso alle prove soggiacenti al castello accusatorio. Uno dei tre giudici del gruppo era un vecchio amico e compagno di classe di Moro.

Perfino i critici più veementi di Lula, compresi quelli che credono nella sua colpevolezza, hanno espresso dei dubbi sulla consistenza di questa particolare condanna. Molti hanno sostenuto che è stato scelto come primo caso perché era abbastanza semplice da sottoporre a processo rapidamente, in tempo per raggiungere il vero obiettivo: impedire a Lula di essere rieletto.

Fino ad oggi, la maggior parte delle prove necessarie per valutare le motivazioni e le convinzioni interne della task force di “Lava Jato” e di Moro sono rimaste segrete. I resoconti di questo dossier permettono finalmente all’opinione pubblica, in Brasile e a livello internazionale, di valutare sia la condanna della condanna a Lula sia la correttezza di coloro che hanno lavorato tanto alacremente per ottenerla.

The Intercept ha contattato immediatamente gli uffici di della task force di “Car Wash”e Sergio Moro dopo la pubblicazione e aggiornerà la storia con i loro commenti se e quando li forniranno.

 

Aggiornamento del 9 Giugno 2019, ore 20.13

La task force di “Lava Jato” non ha smentito l’autenticità delle informazioni pubblicate da The Intercept.
In un comunicato stampa pubblicato domenica sera, hanno scritto, “probabilmente tra le informazioni copiate illegalmente ci sono documenti e dati sulle strategie e le indagini in corso e sulle routine personali e di sicurezza dei membri della task force e delle loro famiglie. E’ pacifico che tutti i dati ottenuti riflettano attività sviluppate nel pieno rispetto della legalità ed in modo tecnico e imparziale, negli oltre cinque anni dell’operazione.

  

Aggiornamento del 9 Giugno 2019, ore 21.53

 Il Ministro della Giustizia Sergio Moro ha pubblicato una nota in risposta alla nostra relazione:
Circa i presunti messaggi che mi coinvolgerebbero, pubblicati dal sito web The Intercept domenica 9 giugno, lamento la mancanza di indicazione della fonte della persona responsabile dell’invasione criminale nei telefoni cellulari dei pubblici ministeri. Così come la posizione del sito che non mi ha contattato prima della pubblicazione, contrariamente alla regola base del giornalismo. Per quanto riguarda il contenuto dei messaggi da loro menzionati, non vi è alcun segno di anomalie o che io abbia dato indicazioni dalla mia posizione di magistrato, nonostante siano stati estrapolati dal contesto e il sensazionalismno degli articoli, ignorano il gigantesco schema corruttivo svelato dall’operazione Lava Jato.

 

Traduzione di Renato Nettuno per www.Attivismo.info

 

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