I DIRITTI UMANI E LO STATO DELLA CIVILTÀ Articolo 18. Diritto al libero pensiero, anche religioso

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La nostra coscienza deve andare oltre le barriere

Ciao, eccoci al nuovo articolo sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che verte su un punto di primaria importanza. Vediamone il testo.

Articolo 18

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Come possiamo vedere l’articolo ci restituisce un “triangolo” di assoluto valore: quello formato da “pensiero, coscienza e religione”.

Questo triangolo si interfaccia con quello ancor più fondamentale del punto 1 che, come sintetizzavo nel relativo articolo, ritengo rappresentato da “libertà, dignità, responsabilità”, e che di fatto permette la possibilità di “tutti i diritti umani per tutti”.

Se osserviamo senza riserve la reale situazione relativa a questi due articoli e se lo facciamo con l’intenzione di arrivare a concepire politiche di vera attuazione pratica, possiamo giungere facilmente a delle necessarie conclusioni.

Innanzitutto dovrebbe apparirci chiaro che spetta all’azione “politica” della comunità  la responsabilità di creare e mantenere tutte le condizioni che favoriscano una piena libertà nello sviluppo del pensiero, in ogni direzione.

Devono esserci delle chiare scelte atte a favorire la libertà, l’integrità e la totalità della cultura nell’istruzione pubblica, nei media e negli spazi virtuali di interazione sociale.

Le istituzioni devono preservare il ventaglio culturale più ampio, senza che si privilegino particolari segmenti e interessi, dato che solo l’individuo ha il diritto di scegliere le sue “affinità” culturali.

Il pensiero, la coscienza, la religiosità di ognuno, e ovviamente la sua mancanza o rifiuto della religione, si dovranno estrinsecare e “praticare” in assoluta libertà, delimitata solo dalla salvaguardia della dignità di ogni altro, cioè con assoluta responsabilità, individuale e collettiva.

Dobbiamo invece riflettere profondamente sulla moderna “separazione dei saperi”, che ci ha portato una civiltà virata alla “tecnica”, senza che la politica abbia riflettuto in maniera adeguata sulle conseguenze dell’imperante “tecnicismo”.

La tecnica sembra dotata di “vita propria”, inconsapevole del fatto che è essa stessa un prodotto di precedenti e superiori conoscenze filosofiche; sembra ormai incapace di riflettere su se stessa e sull’opportunità di ricalibrare i suoi ambiti ed obiettivi per accogliere le perplessità e le ragioni del resto della cultura e delle specifiche sensibilità etiche.

Nell’articolo prende più spazio la religiosità e non può essere altrimenti, dato che l’ambito religioso è di fondamentale importanza, non solo individuale o storica: lo sviluppo della comunità è da sempre una questione anche religiosa, l’etimo della parola conferma che la religione “lega” le persone sui valori che ritengono più sacri.

Di conseguenza, lo sviluppo del pensiero e delle dinamiche sociali è andato sempre di pari passo con la questione religiosa, o con il suo rifiuto, e con la necessità di convivenza fra le diverse fedi.

Oltre a ciò, la religione implica necessariamente una concezione globale della realtà, dell’uomo, dei rapporti sociali e della vita, che si riflette in scelte che investono la sfera pubblica e l’esistenza di ognuno di noi, diventando quindi anche questione “politica”.

La moderna laicità trova nei diritti umani il punto di arrivo più alto, capace di far intersecare la pluralità della cultura, dei sentire e delle direttrici di vita di ognuno, nel dignitoso rispetto di quelle altrui.

La politica laica deve perciò essere una conquista collettiva e responsabile: deve giungere a regole e soluzioni che preservino la libertà e la coscienza di ciascuno, con il solo limite della libertà e dignità altrui e senza che questa libertà metta in pericolo il futuro delle “istituzioni antropologiche” dell’uomo, come la famiglia e le sue comunità.

Ecco allora che dovremmo capire come ogni tentativo di escludere dal dibattito politico visioni ed istanze religiose o non religiose od altre, sia da fermare decisamente: ognuno ha diritto ad esprimere la sua visione e tutti hanno il dovere di trovare soluzioni che non ledano i diritti di qualcuno, in un quadro di libertà, dignità e responsabilità dell’essere umano e delle sue espressioni individuali e sociali.

La scuola pubblica sarebbe, naturalmente, il primo ambito in cui la comunità dovrebbe mostrare tale equilibrio, certo senza privilegiare alcuna confessione ma inserendo nei programmi di studio la storia di tutto il pensiero, anche religioso.

I “poveri” dibattiti sul crocifisso in classe e simili, dovrebbero risolversi o con l’assenza di ogni riferimento religioso o con la presenza, ove richiesta, di tutti i riferimenti necessari a rappresentare le varie sensibilità.

Anche gli ostacoli relativi alla costruzione o all’acquisizione di nuove chiese per le varie religioni, dovrebbero essere superati dalla semplice constatazione dell’effettiva esistenza sul territorio di una consistente comunità di fedeli, che abbiano i diritti di cittadinanza relativi.

La costituzione italiana preserva la libertà religiosa ed esorta lo Stato, in questo ambito assai carente, a raggiungere intese con i rappresentati di ogni religione presente sul territorio, per garantire pari dignità e diritti ad ogni confessione religiosa, senza riserve.

Da queste considerazioni dovremmo vedere le attuali ingiustizie, insite nel non creare le condizioni per una vera libertà e parità religiosa: si devono lasciar liberi di operare i Ministri di Culto delle varie chiese, in ogni ambito sociale in cui dei fedeli ne richiedano l’aiuto.

Parimenti non si dovrebbe discriminare ogni contenuto culturale volto all’ateismo o all’agnosticismo, vigilando e impedendo però che si traduca in attività ed incitamenti a commettere reati anti-religiosi e illiberali: è bene ribadire che il pensiero dell’uomo si arricchisce dal confronto, dal dubbio, dalla comprensione e dalla sintesi, la guerra culturale ha già fatto troppe vittime nel pensiero.

Laicità vuol dire appunto diritto per tutti, nel rispetto di tutti e nella ricchezza che deriva dalla molteplicità, senza prevalenza di alcuno, senza irrigidimenti dogmatici di sorta, variamente integralisti, come possono esserlo anche quelli “scientisti” o anti-religiosi.

Al contrario e oltre la montante tendenza anti-religiosa, spesso vediamo prevalere un più subdolo laicismo intento a silenziare le istanze e le sensibilità etiche: tale laicismo pretende di annullare la cultura dell’uomo sull’altare di un “materialismo tecnicista”, travestito da “scienza”, che sta invadendo ogni ambito pubblico e privato.

È questo un fenomeno che ha radici lontane, nella frattura della storia in cui sembrava uscire “vincente” un pensiero “positivista”, come antidoto e reazione alle religioni fattesi potere.

A questo proposito si deve segnalare come la cultura propagata dai principali media sia intrisa di un mix letale di “verità” che si pretendono “scientifiche”, quindi indiscutibili e “superiori” ad ogni altra, e di affermazioni di punti di vista tendenti a relegare in second’ordine qualsiasi istanza “filosofica”, o derivante da “semplice” ragionamento che non abbia la parvenza della “scienza”, o che non sia corroborata da dati di una qualche fonte “autorevole”, di ordine “scientifico” e/o “istituzionale”.

Purtroppo la scuola è particolarmente soggetta a questo fenomeno, tende a seguire il “tecnicismo” imperante restringendo sempre più gli spazi per la cultura umanistica.

Oltre a ciò la scuola moderna è soggetta a delle prassi che ledono fortemente la possibilità di uno sviluppo libero e consapevole del pensiero: da troppi anni si sono privilegiati contenuti e consuetudini di stampo psicologico nell’insegnamento e nell’istruzione, che hanno portato ad un progressivo disuso di basilari livelli e metodi di apprendimento del linguaggio, come quello “alfabetico-fonetico”.

Sempre più esperti del settore collegano a questa deriva il proliferare dei cosiddetti Disturbi Specifici dell’Apprendimento, della dislessia e dell’“analfabetismo funzionale”.

Non sarà certo la moda delle catalogazioni e “diagnosi” psicologico/psichiatriche a salvare la scuola dalla sua deriva che sta anche annullando la professionalità e l’autorità dei docenti.

Oltre alle problematiche sin qui evidenziate relative alla prevalenza di una certa cultura, si dovrebbe riflettere su un ulteriore punto: la lotta per stabilire chi detenesse la “verità” ha sempre portato devastanti conseguenze in un campo ben preciso, quello del “mentale”.

Un tempo chi “soffriva mentalmente” subiva violazioni di ogni genere, anche con il beneplacito e la complicità della “religione istituzionale”, intenta al “controllo” dell’essere umano.

La modernità si caratterizza dall’aver demandato il controllo del pensiero e della vita dei più deboli alla psichiatria, e di riflesso all’industria farmaceutica.

Questo anche se, a ben vedere ed escludendo i paraocchi “meccanicisti”, “materialisti” e “scientisti”, senza che la “scienza” abbia mai dimostrato che la sofferenza mentale derivasse da una ben precisa malattia, da una patologia a carico di un organo.

L’osservazione non può andare oltre ad una visualizzazione di energie che si muovono nel cervello, energie biochimiche necessarie alla trasmissione del “pensiero” e delle percezioni: nessuno ha mai visto un’“idea” in un cervello o in un sistema nervoso.

La cultura ha sempre affermato che ogni essere umano è unico e la plasticità cerebrale è la determinazione biologica di questo dato.

Ecco allora che vediamo come la psichiatria, pretendendo di equipararsi alla medicina, sia diventata la moderna, apparentemente accettabile, “perfetta” e “sobria” “guardia armata” del sistema di potere che si vuol civile perché presume di essere “scientifico”: armato di pillole che interferiscono con la plasticità cerebrale, cioè con l’“integrità psico-biologica” e la salute di un sempre più elevato numero di “malcapitati”.

L’inopportuna accettazione della psichiatria nei tribunali chiude il cerchio della negazione della libertà di pensiero e di coscienza, foss’anche quella del reo, del “mentalmente sofferente” o del “diverso”.

Da una parte l’etichetta del “male” lo obbliga ad una dannosa “cura” sintomatologica, senza che la sua “realtà” e “verità” abbia più alcuna “ragione”, senza che gli sia data una chance di tranquillo confronto con se stesso, culturale, religioso o di altro tipo, o con un “terapeuta olistico” non istituzionalizzante ma finalmente rispettoso dei diritti umani.

Dall’altra il suo “male”, se connesso ad un reato, diventa oggetto di “valutazione” determinante attenuanti che trasformano “magicamente” il reato in qualcos’altro: senza che il reo abbia una vera chance di miglioramento tramite l’opportunità di riscatto, per il tempo ritenuto necessario, che potrebbe avere dall’assumersi responsabilità dedicando la sua vita al servizio della comunità che ha “danneggiato” con il suo reato.

Come possiamo vedere i temi della libertà di pensiero e di coscienza hanno varie ramificazioni, molteplici sfaccettature: dobbiamo essere consapevoli della profondità di tale problematica, ne va della nostra libertà e della nostra vita.

Anche le varie obiezioni di coscienza devono assolutamente trovare dignità, ispirando necessariamente, la cultura della comunità e la “politica di governo”: dobbiamo tutti obiettare coscientemente ad ogni violazione o non attuazione del complesso dei 30 diritti dell’uomo.

 

Massimo Franceschini, 11 luglio 2018

Questo il bellissimo video relativo all’Art. 18 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

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