Gli sprechi, le riforme ed un paese morto

Stop alle riforme, stop al debito.
Contro quelli dell’opzione “paese morto”

di Marco Manfredini

Nel sistema c’è qualcosa che non funziona. Sì, gli sprechi , l’evasione, la corruzione…
Tutte cose pessime, ma per dire questo basta un Travaglio. In mancanza persino un Saviano. Noi vorremmo dire cose un po’ meno banali , e magari un po’ più scandalose, forse persino utili.
Perciò è vero, tutte cose pessime quelle sopra, fino a quando non diventano necessarie per la sopravvivenza ; allora significa che c’è qualcosa di ancora peggiore. In chi ancora preferisce non “trovarsi già tutto pensato” si può insinuare l’oscena idea che la triade esposta non costituisca il reale problema di base, ma ne rappresenti solamente un ventaglio di sintomi.
Qualche grossolana domanda retorica per cercare di intenderci.
È preferibile uno Stato super efficiente e braccino corto che stia attento a non buttare un centesimo a costo di un elevato tasso di disoccupazione e di indigenza, oppure uno che per tenere oliato il sistema è consapevole che, come in tutti i meccanismi umani (quindi imperfetti), qualcosa andrà sprecato?
È preferibile un’azienda la quale, trovandosi in temporanee condizioni di scarsa liquidità, scelga con i soldi rimasti di pagare i dipendenti o l’Agenzia delle Entrate (e magari chiudere)?
La più sconvenevole: è preferibile un Paese morto, soffocato dalla burocrazia, dalle leggi, dai veti e dai divieti, o uno vivo anche se grazie a qualche “escamotage”.
Chi ci governa, dagli scranni romani ed europei, evidentemente preferisce l’opzione paese morto, aziende morte, cittadini morti, come ampiamente dimostrato dalla gestione pandemica. Defunti sì, ma in piena regola, con la mascherina, il gel, i guanti, il profilattico, i conti in ordine, niente pendenze col fisco. Almeno quelle a debito, per le altre ovviamente non c’è fretta
Tagliare gli sprechi, combattere l’evasione, eliminare la corruzione: le tre virtù teologali dello Stato democratico liberale al servizio del libero commercio di merci, capitali e anime . Il mantra di un giornalismo talmente sintonizzato col potere da non rendersi più nemmeno conto di esserne il portavoce. I nuovi dogmi di un clero che pare non desideri altro che “essere gettato via e calpestato dagli uomini”, avendo perso qualsiasi sapore . Le inutili e noiose parole d’ordine di una politica che al massimo sa concentrarsi
sui sin tomi. Ma se la diagnosi rimane oscura, i sintomi non possono che peggiorare.
Gli sprechi ci sono in un’azienda di sessanta persone, figuriamoci quant’è velleitario pretendere che non ve ne siano in un organismo da sessanta milioni. Come accade nell’azienda, però, spesso è più conveniente chiudere un occhio su qualche presunto spreco oggi per evitare danni ben maggiori domani.
Abbiamo visto nell’articolo precedente a quanto ammonta la tassazione nel nostro paese . Con un po’ di sano realismo, ci si può stupire se con metà stipendio (per i dipendenti) o due terzi dell’utile (per le piccole aziende) che vanno all’Erario qualcuno cerchi qualche scappatoia?
La corruzione poi è una cosa odiosissima, certo. Che può stupire solo chi non sa che l’animo umano porta in sé quella ferita che sta all’origine di tutte le corruzioni, non solo quelle pecuniarie.
Gli sprechi, l’evasione, la corruzione… per combatterli “questo paese ha bisogno di riforme”, dicono da una vita i riformisti . Il guaio è che le riforme sono state sempre fatte, e ogni volta è stato peggio. Il mercato del lavoro? Riformato. Le pensioni? Riformate. Il rapporto tra Tesoro e Banca d’Italia? Riformato. La famiglia? Riformata. La riproduzione della specie? Riformata. La chiesa? Riformata (per la seconda volta in
mezzo secolo). La scuola? Beh, questa poveretta rappresenta la personificazione del massacro riformistico, un vero martirio ai danni dei più piccoli.
Le riforme sono quelle che ci ha sempre “chiesto l’Europa”, e si presume che continuerà a farlo, in cambio di… in cambio di… (qualcosa doveva pur esserci).
Ah! ora ricordo! In cambio di debito.

L’immagine è presto fornita: da una parte viene stretto al collo il cappio usurario del debito, dall’altra viene allontanato l’unico sgabello capace di tenerci in vita, costituito da una società fondata sulla famiglia naturale e istituzioni non ancora completamente ostili alle leggi eterne (e alla sanità mentale). L’ atteggiamento delle classi governanti euroentusiaste, da Prodi in giù, è sempre stato:
Ti preghiamo cara Europa, se ci stringi a modo il cappio noi saremo ben contenti di liberarci da soli dello sgabello che ci sorregge.

E lo facevano davvero.
Ma era ciò che volevano Prodi & friends (Ciampi, Andreatta, Amato, Draghi). Il popolo voleva altro. O forse è meglio dire il popolo, se avesse saputo, avrebbe voluto ben altro. Oggi molti danni sono stati fatti , moltissimi ne stanno ancora facendo, ma tra la gente la consapevolezza dell’assurdità di questo giochetto sembra aumentata.
La consapevolezza che sarebbe ora di dire stop.
Stop alle riforme, stop al debito.

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