Dai “giornali di sinistra” alle “fake news”

di Todd Gitlin

Condividiamo questo articolo pubblicato il 12.02.2018 sul sito internet
http://prospect.org/article/liberal-media-fake-news
che parla dei gravi danni portati al sistema dell’informazione dalla diffusione dell’espressione “fake news” (notizie false).

Si tratta di una situazione che conosciamo bene anche in Italia, in cui la “posizione di parte” definisce la verità a cui la gente intende credere, avendo molta poca fiducia nel servizio di informazione dei mass media e molta fiducia nelle affermazioni del proprio leader politico o del giornale di proprio riferimento culturale, che si ritiene affidabile per definizione.

Il risultato, negativo, è l’impossibilità del dialogo e l’incapacità di guardare alla verità dei fatti.

Buona lettura


La guerra contro la stampa è scesa al di sotto del livello delle argomentazioni razionali.

Negli ultimi due anni, l’obiettivo degli attacchi “da destra” ai giornalisti si è spostato dai “giornali di sinistra” alle “fake news” (le notizie false).
Si tratta di un cambiamento significativo, ma sottovalutato, che rivela una verità inquietante sul nostro momento storico.

Non c’è nulla di nuovo nell’accusa di “pregiudizi” rivolta ai mass media, di solito riguardo a “pregiudizi di sinistra”, anche se in certi casi anche verso “pregiudizi di destra”.
L’accusa che i media siano spostati a sinistra è stata un punto fermo della Destra per più di cinquant’anni.
La conseguenza dell’accusa è che siano necessari dei “media di destra” per contrastare i “media di sinistra”

Di solito l’accusa ha come livello di comunicazione uno spirito di risentimento sprezzante, come, ad esempio, nel 1964, quando l’addetto stampa di Barry Goldwater distribuì spilloni d’oro ai giornalisti che leggevano la “Eastern Liberal Press” (un tipico giornale di sinistra).

Ma i pregiudizi, di per sé, non erano, almeno non sempre, considerati un tabù. Durante la campagna di Goldwater, ad esempio, la newsletter Human Events, amata da Ronald Reagan, cercò di distinguersi dal giornalismo mainstream proclamando che “Guardiamo gli eventi attraverso occhi pregiudiziali a favore di un governo costituzionalmente limitato: un autogoverno locale, imprese private e libertà individuale“.
La teoria sottostante era semplice. La cattiva ideologia produceva distorsioni, che a loro volta modificavano il giudizio del pubblico e minavano la leadership della Destra.
Il portale ideologico era già stato aperto Rupert Murdoch e Roger Ailes. Fox News “equi ed equilibrati“.

Gli attacchi della destra ai pregiudizi di sinistra si intensificarono durante la guerra del Vietnam. Nell’autunno del 1969, la Destra fu travolta dalla convinzione che una delle principali ragioni per cui l’America non riusciva a vincere la guerra era che i giornalisti, specialmente quelli della televisione, avevano mal rappresentato la guerra.
Il vicepresidente di Richard Nixon, Spiro Agnew, si scagliò contro “l’analisi troppo immediata e le critiche negative e lamentose” che “arrivano da una piccola banda di commentatori televisivi e da sedicenti analisti” e la poca attenzione ai grandi sforzi di Nixon in favore della pace.

Agnew aveva una teoria sull’origine di questi pregiudizi.
La stampa – sosteneva – era gestita da una malvagia confraternita elitaria, un piccolo gruppo di uomini “…che hanno mano libera nel selezionare, presentare e interpretare le grandi questioni della nostra nazione….Un piccolo gruppo di persone, forse non più di una dozzina di conduttori, commentatori e produttori esecutivi, che si accontenta di 20 minuti circa di filmati e commenti destinati al pubblico. …Un’élite piccola e non eletta è responsabile di un’immagine ristretta e distorta dell’America.”

Sempre nel 1969, un economista della Federal Reserve di nome Reed Irvine fondò “Accuracy in Media”, con l’obiettivo di mettere in evidenza i pregiudizi di sinistrai
Irvine ottenne l’appoggio del miliardario, forte sostenitore della Destra, Richard Mellon Scaife (la cui Pittsburgh Tribune-Review in seguito sostenne la falsa notizia che i Clinton erano responsabili di quello che sosteneva essere l’omicidio del vice consigliere della Casa Bianca Vince Foster).
Nel 1971, la direttrice della TV e l’accolita di Ayn Rand, Edith Efron, pubblicarono un libro pseudo-accademico, “The News Twisters”, che pretendeva di dimostrare che le notizie televisive seguivano “la linea elitaria di sinistra in tutte le questioni controverse“.

L’accusa contro i “media di sinistra” aiutò la destra a spiegare a se stessa perché non doveva prevalere nell’opinione pubblica – non ancora, almeno.
Avendo cominciato a comparire nei libri nel 1964, secondo il database di Google Ngram, la frase “media di sinistra” (“liberal”) si diffuse durante la presidenza Reagan. Dal 1985 al 2006, l’aumento della frequenta della frase fu di 10 volte, prima di ridursi. Nel frattempo, l’espressione “fake news” ha iniziato ad essere più frequente. (Sfortunatamente, non ci sono dati oltre il 2008.)
I “media di sinistra” erano ancora predominanti. “Equi ed equilibrati” fu l’intelligente risposta di Fox News, una duplice pretesa di obiettività. Se non sei d’accordo con la presa di Fox News, sei di parte.
Ma il termine “fake news”, che era comparso qua e là nella stampa americana degli anni ’90 del XIX secolo, prese il volo.

Arriviamo rapidamente ad oggi con la campagna di Trump e le sue conseguenze.
Secondo le rilevazioni di Politifact, Trump ha parlato o twittato di “fake news” 153 volte durante i primi 11 mesi del 2017.
Addirittura Trump afferma di essere stato lui stesso ad avere inventato il termine “fake news”.
Ecco un tweet tipico: “Le discussioni sulla Russia sono delle FAKE NEWS inventate dai Democratici, e diffuse dai media, al fine di mascherare la loro grande sconfitta elettorale ed i loro legami illegali!”

Ciò che Politifact intende per “fake news” è “un contenuto inventato che si maschera intenzionalmente nella copertura giornalistica di eventi reali“.
Al contrario, “Trump usa il termine per descrivere la copertura di notizie controproducenti per la sua amministrazione ed i suoi risultati politici, anche quando le notizie sono in realtà accurate.”

Lo stesso si può dire degli ammiratori di Trump che governano nelle Filippine, in Venezuela, Russia, Siria, Myanmar, Cina e altre autocrazie. Tutto quello che hanno bisogno di dire per escludere i fatti spiacevoli è si tratta di “fake news”, notizie false. Punto e basta.
Per i loro sostenitori la discussione finisce lì.

In questo consiste il grande problema della questione delle “fake news”.
Di fronte ad un’accusa di pregiudizi “di sinistra” o “di destra” o di qualunque altro tipo è possibile discutere. E’ possibile provare che l’accusatore è fazioso, o che sta ponendo delle domande sbagliate, o interpreta dei dati in modo distorto e discutibile.
In linea di principio è possibile procedere con una discussione aperta.
E’ possibile portare delle prove, usare la logica conta, mettere in gioco dei valori.
Se delle persone ragionevoli non si trovano d’accordo, possono almeno, in linea di massima, concordare sulle le ragioni per cui non sono d’accordo.

Ma contro l’accusa di “fake news false” non è possibile arrivare ad una confutazione.
Non è possibile impegnarsi in una discussione né esprimere dei pensieri.
Lanciare un’accusa di “fake news” significa che l’affermazione sul fatto in questione non ha un’esistenza autentica. E’ “falsa”, è qualcosa che non è mai accaduto in alcun modo. ”
Accusare di “fake news” pone fine ad ogni conversazione, a meno che non si consideri una conversazione dire “Sì, lo è!” / “No, non lo è!”.

Il fatto profondamente inquietante è che una parte sostanziale dei cittadini americani è ora disposta a respingere come “fake news” le dichiarazioni che non vogliono sentire.
Ovvero, hanno preso casa in un universo tutto loro. La loro bolla protettiva non consente controversie o modifiche.
Attraverso la persona di Donald Trump o Sean Hannity o Alex Jones o Mike Cernovich, la verità è stata proclamata una volta per tutte.
I seguaci non hanno bisogno di porre ulteriori domande.

Quanta parte della popolazione è colpita dall’accusa di “fake news”?
Non esistono molti sondaggi in merito; sondaggi diversi fanno domande diverse; i risultati sono molto diversificati. Ma non si tratta di una piccola parte.
Un sondaggio di Fox News del febbraio 2017 ha chiesto agli elettori registrati “Quanto ti preoccupa che le fake news facciano male al Paese?”
Le risposte: molto preoccupate (61%); un po’ preoccupato (23%).
Un mese dopo, un sondaggio dell’Università di Monmouth ha chiesto: “Pensi che alcune delle principali fonti di notizie tradizionali come TV e giornali riportino mai notizie false o no?
Lo fanno regolarmente o solo occasionalmente?”
Il 27% ha risposto” Sì, regolarmente “. Il 36%:” Sì, occasionalmente”.

In ottobre, un sondaggio di Politico/Morning Consult ha rilevato: “Quasi la metà degli elettori, il 46%, ritiene che i mezzi di informazione inventino notizie sul presidente Donald Trump e sulla sua amministrazione.” Questo 46% corrisponde al voto popolare di Trump del 2016 ed ha superato la sua percentuale di consenso, che in ottobre si attestava a circa il 38%.
Inoltre, secondo Politico/Morning Consult, “Fra gli elettori che approvano con fermezza l’azione politica di Trump nel sondaggio, l’85% è convinto che i media inventino storie sul presidente e sulla sua amministrazione“.

Sulla base di tutti questi sondaggi, le persone che credono all’accusa per cui le notizie indesiderate sono per definizione “false” sono molte.
Stanno bene con le loro certezze, impermeabili al disaccordo, fortificati per aggirare o evitare ogni opposizione.
Il cambiamento climatico è una “fake news”.
La collaborazione di lungo termine di Trump con gli interessi russi è “fake news”.
I veri credenti che polverizzano la ricerca della verità sono un elemento fisso della vita americana.
Il loro attaccamento ai loro eroi è assoluto e inespugnabile. Si sono costruiti un grande, bellissimo muro. Hanno posto i capisaldi dell’assolutismo.
Possono, forse, essere contenuti. Ma di certo non se ne andranno.

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