Cosa dobbiamo intendere per “filosofia” ed “economia”? Che cos’è la giustizia?

di Domenico Cortese

Cos’è la filosofia? Cos’è la giustizia? Come può la filosofia dare una risposta a cosa sia la giustizia in una materia complessa come l’economia? La filosofia può essere intesa come un tentativo di razionalizzare la realtà allo scopo di renderla adeguata al nostro vissuto. Condividendo il nostro ambiente con altri soggetti ciò si può fare solo progettando reciprocità. Ma quest’ampia definizione può essere applicata alle altre discipline, soprattutto all’economia.

Se ammettiamo che il nostro interesse per l’economia, sia come scienza che come pratica, proviene dal considerare i desideri degli altri come essenziali per costruire un sistema di scambi reciproci per aumentare la nostra ricchezza, allora l’economia è un altro nome della filosofia in quanto è un tentativo di riconoscere ed influenzare il desiderio dell’altro e di trovare una razionalità nelle regole che muovono gli incentivi e le aspettative che hanno tutti nel produrre qualcosa di desiderato da scambiare. Perciò più ci si avvicina a riconoscere il desiderare dall’altro –inteso sia nel suo contenuto sia nella sua natura di incentivo a negoziare per uno scambio – più ci si avvicina alla piena realizzazione del nostro vivere sociale. Per Hegel l’idea di filosofia è l’identità del pensare e dell’essere, cioè l’armonia del nostro vissuto “interiore” (speranze, bisogni, desideri, convinzioni) con ciò in cui ci imbattiamo ogni giorno. La “verità” che la filosofia porta è questa armonia. Ma allora nell’incentivo economico a realizzare i desideri dell’altro per negoziare una reciprocità, e nelle istituzioni sociali che assicurano il miglior funzionamento di tale incentivo si trova la realizzazione materiale sia dell’idea di filosofia per Hegel, sia dell’idea di giustizia se questa corrisponde alla più alta libertà per tutti: la libertà per cui ogni individuo ha gli strumenti per determinare la sua piena soddisfazione all’interno dei vincoli sociali.

Ma oltre a realizzare i fondamentali concetti filosofici hegeliani, non c’è dubbio che la massimizzazione dell’incentivo a riconoscere il desiderare dell’altro possa dare un indirizzo preciso alle riflessioni etiche portate avanti da ambienti post-strutturalisti e neo-pragmatisti. Per Derrida, ad esempio, la giustizia sta nell’onorare la richiesta di ogni individuo singolo, tramite un calcolo ogni volta reinventato che non tiene conto delle regole morali contestuali. Nel calcolo pragmatico – non predeterminato da valori assoluti – dell’accordo tra diversi individui che posseggono gli strumenti per ottimizzare l’aspettativa dell’altro e quindi la volontà di quest’ultimo di ottimizzare qualcosa da offrire in cambio al fine di essere percepito come il più utile possibile dal primo sta il meccanismo che permette di rendere il più possibile giustizia alla singolarità dell’individuo umano all’interno delle costrizioni (e delle opportunità) del vivere in comunità1 . Il riferimento all’efficacia degli strumenti da utilizzare strizza l’occhio, come accennato, anche alle filosofie neo-pragmatiste. Esse vedono il rapporto tra soggetti e tra natura e soggetto come un rapporto tra strumenti che si implicano a vicenda (e non tra essenze), lo scopo dei quali dovrebbe essere il benessere delle entità che in questo scenario cercano benessere. Infine, l’accento sulla necessità che ognuno possegga i mezzi (e quindi le potenzialità) utili a massimizzare le aspettative dell’altro agisce come un accorgimento per evitare di applicare la dialettica Hegeliana alla maniera di una serie di stadi arbitrari poiché “prodotti” dalla sintesi di valori arbitrari precedenti.

Ma come si applicano alla realtà delle interazioni sociali queste concezioni generali della filosofia, della giustizia e dell’economia (le quali, abbiamo visto, possono tutte essere considerate filosofia, attuata con diversi strumenti e linguaggi)? Si possono isolare almeno tre punti. Tre assiomi, se si vuole usare questa parola.

Se un atto di reciprocità è uno scambio di beni o servizi in vista di un miglioramento della qualità della vita attesa da parte di entrambi i soggetti coinvolti,

1–         Il motore di crescita del benessere sociale è la spinta alla creazione di potere di negoziazione da parte di un soggetto al fine di essere percepito il più possibile utile da parte dei suoi pari.

2–         L’incentivo a incrementare questo potere tramite innovazioni e investimenti è in funzione dell’esistenza di una concorrenza che deve essere sia ampia sia sostenibile (la polarizzazione del potere commerciale in forti oligopoli può essere regressiva, in quanto atrofizza le aspettative di guadagno della maggioranza che detiene in un certo periodo meno potere di negoziazione).

3–         Ogni abbassamento degli incentivi a migliorare o mantenere un certo potere di negoziazione in qualche punto del “circuito” può portare ad una percezione di un abbassamento dell’utilità reciproca. La portata del contagio causato da tale percezione non può essere calcolato a priori vista l’enorme complessità delle interazioni commerciali umane, per cui è possibile che un certo abbassamento di aspettative da parte di un gruppo di agenti economici può portare ad una generale diffusione di aspettative reciproche negative e ad un generale abbassamento della qualità della vita.

La conseguenza di questi punti è la preferenza per una società in cui il potere di negoziazione sia eguale tra gli agenti oltre che massimizzato in aggregato. L’uguaglianza in tale potere serve ad evitare la tendenza all’impoverimento di alcuni gruppi dovuta all’“estorsione” ricevuta dal maggiore potere di negoziazione di altri (si pensi all’abbassamento dei salari sotto implicita minaccia di licenziamento), con tutte le conseguenze in incentivi ed aspettative reciproche che questo potrebbe comportare. Appare fallace l’obiezione per cui in una situazione di diseguaglianza si dovrebbe tener conto anche del possibile aumento di potere di negoziazione e di ricchezza all’interno del circuito dei “fortunati”, che bilancerebbe costi e benefici umani. Infatti, una concentrazione in pochi punti della ricchezza non assicura equivalente probabilità di aumento di qualità della vita in aggregato, in quanto non assicura la valorizzazione di più combinazioni di scambi possibili e quindi di più potenzialità e caratteristiche innovative umane possibili: è la tutela delle potenzialità ciò che ci dovrebbe stare a cuore, come condizione dell’ottimizzazione delle aspettative reciproche.

Se il doppio obiettivo appena richiamato è da considerarsi la massima espressione di etica e giustizia – e di benessere – dentro una società, allora esso dovrebbe essere perseguito con ogni mezzo e metodo possibile, il quale sarebbe razionalmente giustificato dal suo impatto positivo sulla massimizzazione o equalizzazione dei poteri di negoziazione degli individui.

Nelle nostre ipotesi sulla forma più eticamente sostenibile di decisioni economiche quali la distribuzione del credito, della moneta, la svalutazione o la rivalutazione, l’uso dei titoli finanziari, eccetera non è presentata alcuna scoperta empirica o teoria macroeconomica “innovativa”. Ciò che viene attuato, invece, è l’implicito riconoscimento di come importanti modelli ed economisti – come BagnaiMinskyStiglitzMazzucatoKeynesThirlwallHa-Joon Chang, ecc.. – siano coerenti con la descrizione filosofica della struttura del comportamento umano qua delineata. Essi sono, però, spesso ciechi o indifferenti alle conseguenze generali sul concetto di giustizia sociale che sono implicate nelle strutture che utilizzano. Questo perché essi sono legittimamente interessati a problematiche “regionali” dove dominano valori e scopi specifici e predeterminati, che non lasciano spazio alla riflessione sulla generale massimizzazione delle aspettative e della soddisfazione reciproca.

Note:

1. E’ vero che Derrida sottolinea la necessità che il “dono” all’altro sia incondizionato, ovvero non spiegato da uno schema riconoscibile di do-ut-des. Ma una volta ammessa l’inevitabilità dell’esistenza di una logica dell’aspettativa del compenso in ogni atto umano, compresa nelle aspettative relazionali e culturali che possono incentivare l’atto del “donare”, questa incondizionatezza deve essere interpretata “soltanto” come l’essere svincolati dalla necessaria applicazione di schemi esistenti, in favore di un calcolo ogni volta singolo.


Tratto da:
https://www.filosofiadeldebito.it/cosa-dobbiamo-intendere-per-filosofia-ed-economia-che-cose-la-giustizia/

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