Come un pessimo governo intende stravolgere l’ottimo provvedimento economico del Bonus 110%.

Perché Draghi otterrà effetti contrari a quelli annunciati.

di Davide Gionco
26.02.2022

Le truffe sui bonus del 110% e le correzioni proposte da Mario Draghi
Siamo ancora assordati dai cori mediatici di beatificazione di “San Mario Draghi”, nonché dalle continue emergenze e paure che incombono sul popolo italiano, per cui quasi nessun commentatore si prende la briga di analizzare in modo critico le recenti prese di posizione del presidente del Consiglio Draghi nei confronti del famoso “Bonus fiscale 110%”, che probabilmente ha rappresentato l’unica misura governativa significativa per la crescita dell’economia italiana degli ultimi 10 anni.
Più ancora degli indicatori statistici ne è prova la rapida saturazione del settore dell’edilizia, con imprese che non riescono a rispettare le scadenze pattuite, nonostante le assunzioni di personale e gli aumenti dei prezzi nel settore. Qualcosa che nessuno ricordava almeno dagli anni 1980.

Nelle ultime settimane Draghi ha denunciato numerose truffe (pari oltre 4 miliardi) da parte di soggetti senza scrupoli, che hanno portato alla concessione di bonus fiscali in cambio di lavori mai realizzati, dopo di che i bonus fiscali, ceduti alle banche, sono stati convertiti in euro ed investiti (o imboscati) nella solita finanza speculativa.
Per evitare il ripetersi di queste truffe, nonostante tutta la burocrazia necessaria per la concessione dei bonus fiscali, Draghi propone di limitare la cedibilità dei crediti ai soli soggetti “finanziari” ovvero alle banche. Secondo Draghi questa misura dovrebbe evitare le truffe e, quindi, rendere i bonus fiscali sostenibili per le casse dello Stato e fare sì che il lavori di ristrutturazione energetica vengano effettivamente realizzati.
Ma siamo sicuri che la risposta di Draghi otterrà questi obiettivi?

Il meccanismo della cessione dei crediti
Per capire come stanno le cose è innanzitutto necessario comprendere i meccanismi di funzionamento dei bonus fiscali (del 110% energetico o altri) cedibili a terzi.
La grande novità introdotta dal governo Conte II e poi mantenuta da Draghi non è stata tanto la concessione di sgravi fiscali, cosa a cui gli italiani erano da tempo abituati, ma la possibilità di ottenere dei bonus fiscali che possono essere ceduti a terzi per il pagamento di prestazioni lavorative.
In passato gli sgravi fiscali venivano coperti da altre entrate fiscali, da nuovi tagli alla spesa pubblica o, al limite, da un aumento del debito pubblico (copertura tramite emissione di nuovi titoli di stato). Ad esempio, se venivano concessi 10 miliardi di sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie, il governo doveva mettere in conto un aumento di altre entrate fiscali per 10 miliardi di euro (o 10 miliardi di tagli in altre spese o 10 miliardi in più di debito o una combinazione fra queste soluzioni).
Gli esperti di macroeconomia mi faranno notare, giustamente, che il conto non è corretto, in quanto esiste il famoso “moltiplicatore keynesiano”.
Infatti dando degli incentivi fiscali, le famiglie o le imprese andranno a commissionare lavori che senza incentivi non avrebbero fatto. Queste commesse aggiuntive portano ad un aumento dei redditi, quindi della capacità imponibile delle imprese del settore dell’edilizia, quindi un aumento dei loro versamenti tributari che, senza incentivi, non ci sarebbe stato. Quindi quando lo stato concedeva sgravi fiscali di 10 miliardi per le ristrutturazioni edilizie, in realtà andava a spendere di meno. 10 miliardi in meno di entrate dai contribuenti “sgravati”, ma anche 4 miliardi in più (ad esempio) incassati da parte delle imprese beneficiarie delle commesse aggiuntive. Quindi, al netto, lo Stato “pagava” solo 6 miliardi.

La proposta originaria dei bonus del 110%, quella a cui si sono ispirati i promotori del Movimento 5 Stelle, era quella dei CCF, certificati di compensazione fiscale, promossa dal Gruppo della Moneta Fiscale (economisti Marco Cattaneo, Giovanni Zibordi, Biagio Bossone ecc.) e rilanciata a marzo 2020 con la proposta del Piano di Salvezza Nazionale (www.pianodisalvezzanazionale.it), trasmesso a tutti i parlamentari e tutti i ministri, con il corredo di oltre 35 mila firme di cittadini, la quale prevedeva la creazione di una piattaforma di scambio dei crediti fiscali fra soggetti privati e la possibilità di usarli come sgravi fiscali solo a partire da 2 anni dopo la data di concessione dei bonus.
Con questo meccanismo il condominio, per fare un esempio, avrebbe ottenuto dallo Stato, una volta eseguiti i lavori, un “bonifico” in bonus fiscali direttamente sul proprio “conto corrente” della piattaforma di scambio. Da lì il condominio avrebbe pagato alle imprese le fatture dei lavori eseguiti usando quei bonus fiscali. Le imprese, a loro volta, avrebbero potuto usare quei crediti fiscali per pagare i loro fornitori, compresi i propri dipendenti. Alla fine, dopo 2 anni, chi si fosse trovare proprietario dei bonus fiscali, li avrebbe potuti usare per pagare le proprie tasse in sostituzione degli euro.
L’esistenza della piattaforma di scambio avrebbe facilitato la cessione dei crediti. E ad ogni cessione sarebbe corrisposta una fatturazione (o una busta paga), che avrebbe generato un aumento dell’imponibile fiscale.
Chiedendo venia agli esperti di macroeconomia, semplifico i numeri per rendere chiaro il concetto ai meno esperti. Se ai tempi dei classici sgravi fiscali l’emissione di 10 miliardi euro di sgravi allo stato costava in realtà 6 miliardi, con la novità del meccanismo dei bonus cedibili a terzi tramite piattaforma pubblica, con una estrema facilitazione di fare pagamenti direttamente in crediti fiscali offerta ad una economia caratterizzata dalla mancanza di credito e di liquidità, nel giro di 2 anni avrebbe trasformato l’emissione di 10 miliardi di bonus fiscali in un incremento dell’imponibile almeno di 25 miliardi, quindi consentendo introiti fiscali aumentati di 12 miliardi. Il che significa per lo Stato una perdita di 10 miliardi compensata da un maggior incasso di 12 miliardi ovvero un utile netto di 2 miliardi per le casse dello Stato.
Queste cifre sono puramente indicative, per aiutare la comprensione del meccanismo.
Chi volesse approfondire la conoscenza dei meccanismi ed i calcoli effettuati dagli economisti citati, è invitato a farlo sulle fonte originali.

Una volta compresa l’importanza del meccanismo della cessione dei crediti fiscali nel bilancio complessivo della manovra, ora possiamo giudicare a ragion veduta l’operato dei governi Conte II e, soprattutto, di Mario Draghi.

I veri costi e le vere coperture
Come abbiamo compreso sopra, il “costo” per lo Stato di una manovra finanziaria in cui si prevedono dei bonus fiscali non si misura al momento della emissione dei crediti fiscali, ma al momento in cui quei bonus fiscali verranno utilizzati per pagare le tasse (quindi pagando meno euro) e tenendo conto degli effetti della crescita economica indotta da quella manovra, i quali portano ad un contemporaneo aumento delle entrate fiscali.
Questo significa che il “costo di emissione” di 10 miliardi di bonus fiscali non è di 10 miliardi, come sostengono erroneamente troppi giornali e troppe trasmissioni televisiva, ma è pari a zero. Lo Stato non spende nulla nel momento in cui concede ad una impresa o ai proprietari di un condominio un bonus fiscale. Quello che conta è la contabilità d’insieme al termine del processo macro-economico che l’emissione di quei bonus fiscali ha innescato.

Quindi la copertura di una manovra fiscale che prevede la concessione di crediti fiscali non dipende da un bilancio “statico”, come siamo abituati a fare nei conti di una famiglia o di una azienda, ma dipende molto, moltissimo, dalla crescita economica che verrà innescata negli anni a seguire da quella manovra.
Se vogliamo giudicare l’efficacia delle modifiche che Draghi intende attuare alle disposizioni previste per i bonus del 110% dobbiamo porre l’attenzione molto poco sulle cifre (comprese quelle delle truffe) e molto di più sui meccanismi economici, i quali sono influenzati dalle norme e dalla burocrazia che disciplinano la manovra.

L’imposizione fiscale futura, quella che consentirà di compensare le future mancate entrate fiscali, dipende dal “fatturato” futuro delle imprese e dal reddito futuro dei lavoratori. Il fatturato ed il reddito aumentano ogni volta che dei soldi, ma anche dei bonus fiscali, vengono spesi in cambio della produzione di beni o servizi.
Il meccanismo previsto nella proposta originaria, quello della piattaforma pubblica per la cessione fra privati, era tale da facilitare al massimo, con burocrazia ridotta al minimo, la cessione dei crediti fiscali in cambio di prestazioni lavorative, non solo nel primo passaggio, ad esempio per il pagamento dei lavori di ristrutturazione, ma in ogni passaggio successivo. Ad esempio l’impresa, una volta incassato il pagamento in crediti fiscali, li userà per pagare i mattoni, il produttori di mattoni li userà per pagare l’energia, il venditore di energia per pagare i propri tecnici e quei tecnici per pagare una parte della spesa del supermercato, il supermercato per pagare i contadini, ecc.
Molti passaggi = molto fatturato = molte entrate fiscali = maggiore copertura al momento di sconto dei bonus fiscali, dopo 2 anni. Perché è necessario lasciare il tempo affinché gli scambi avvengano.
E’ fondamentale sottolineare come in ogni passaggio non sia necessaria la conversione in euro del credito fiscale. I bonus, infatti, consentirebbero di pagare i beni e servizi acquistati, senza bisogno di euro.

Gli errori del governo Conte II
Già nella prima versione, modificata rispetto a quella originaria, il governo Conte II aveva deciso di modificare il meccanismo “originario” mettendoci di mezzo le banche. Fin dall’inizio è esistita la possibilità di convertire subito i bonus fiscali in euro, cedendoli alle banche in cambio di euro. Probabilmente questo processo sta alla base della cifra “110%”, 10% per le commissioni delle banche e 100% per pagare i lavori di ristrutturazione.
Qui mi sento di denunciare un primo grave errore commesso dal governo Conte II.
Se è vero che i bonus fiscali valgono come gli euro, non è vero che sono la stessa cosa.
I bonus fiscali hanno valore di “sconto fiscale” solo per coloro che pagano le tasse. Hanno valore solo in Italia e quindi verrebbero usati soprattutto per pagare fornitori italiani. Un fornitore estero, infatti, dovrebbe successivamente preoccuparsi di trovare un fornitore italiano per ri-spendere quei bonus.
Gli euro, invece, hanno valore sia per i fornitori esteri, sia per coloro che guadagnano usando gli euro per investimenti puramente finanziari.
La possibilità concessa da Conte di convertire subito in euro i bonus fiscali ha fatto sì che fra i beneficiari vi siano state in parte anche delle imprese estere, riducendo le potenziali entrate fiscali future.
La conversione in euro da parte delle banche ha inoltre fatto sì che i “soliti furbi” abbiano trovato il modo di investirli in prodotti finanziari (azioni, criptovalute, fondi esteri, ecc.), anziché spenderli per pagare imprese e lavoratori.
E sappiamo bene che i “prodotti finanziari” generano molta poca crescita del fatturato nazionale e molte poche entrate fiscali.
Il fatto di metterci di mezzo le banche ha trasformato, in parte rilevante, i bonus fiscali nell’ennesimo meccanismo di rendita finanziaria di pochi, anziché in uno strumento di crescita dell’economia del paese, che avrebbe garantito la copertura economica del provvedimento.
Il coinvolgimento attivo delle banche da parte del governo Conte II, ovviamente confermato da Draghi, è stato un “dettaglio” che ha reso meno certa la copertura finanziaria della misura proposta.

Gli errori di Draghi
Nelle ultime settimane Mario Draghi ha denunciato le truffe legate ai bonus fiscali.
In realtà tali truffe hanno riguardato unicamente il processo di emissione dei bonus fiscali ovvero i bonus sono stati emessi a fronte di lavori mai effettuati.
Stendiamo un velo pietoso sul fatto che, oltre a pretendere tanta carta inutile e tanta burocrazia, il Governo avrebbe potuto mandare delle persone con un minimo di competenze tecniche a verificare sul posto l’effettivo svolgimento dei lavori, evitando questo tipo di truffe, ma non lo hanno fatto. Sappiamo che in Italia la carta prevale sulla sostanza.
Da come abbiamo spiegato sopra in realtà lo Stato non spende nulla al momento della emissione del bonus fiscale. Quindi, dal punto di vista del bilancio dello stato, è assolutamente irrilevante che i lavori siano stati fatti o meno.
Per intenderci: nella proposta originaria di Marc o Cattaneo era previsto di “regalare” dei bonus fiscali ai lavoratori a basso reddito. In cambio di nulla, con il solo obiettivo di  accrescere la loro capacità di spesa e, quindi, il fatturato aggiuntivo che quella spesa avrebbe generato per l’intera economia italiana.
Nelle truffe riscontrate, è invece molto rilevante e molto grave che i bonus siano stati ceduti alle banche in cambio di euro (e neppure le banche hanno controllato la loro origine), dopo di che quegli euro sono usciti dall’economia reale italiana e sono finiti nei circuiti della finanza. In questo modo non verranno ceduti ad altre imprese ed altri lavoratori, per cui non genereranno alcuna crescita dell’imponibile futuro e lo Stato si troverà di fronte ad una ridotta (rispetto al potenziale) crescita economica, quindi a mancate entrate fiscali, mentre dovrà accettare che le banche usino i bonus fiscali per pagare meno tasse in futuro. Il gioco rischia di essere in perdita, non per colpa dei bonus fiscali, ma per colpa della loro trasformazione in euro ad opera delle banche.
Di fronte a queste truffe qual è la proposta di Mario Draghi?
Draghi propone sostanzialmente di limitare la cedibilità dei crediti fiscali solo alle banche, mentre non è chiaro se proporrà qualcosa di concreto, tipo ispezioni sui cantieri, per verificare che i bonus vengano emessi a fronte di lavori reali. Ovvero: se fino ad oggi, pur con qualche difficoltà. Il condominio poteva saldare il conto pagando l’impresa direttamente con i crediti fiscali, la quale impresa poteva a sua volta usarli per i propri pagamenti, con la riforma Draghi i crediti fiscali saranno cedibili solo alle banche in cambio di euro, dopo di che le banche li trasformeranno in un prodotto finanziario di propria convenienza.

A questo punto lascio ai lettori giudicare se Mario Draghi sia incompetente o in mala fede.
Se la cessione dei crediti fiscali sarà possibile solo alle banche, convertendo i bonus fiscali in euro, una parte maggiore dei benefici andrà ai fornitori esteri (che non pagano le tasse in Italia) o a soggetti del mondo delle rendite finanziarie. E sarà impossibile innescare la catena del “moltiplicatore keynesiano”, la sola capace di assicurare la copertura finanziaria del provvedimento.
Il risultato inevitabile sarà una ridotta crescita attuale dell’economia italiana e, in futuro, minori entrate fiscali per lo Stato, con conseguenti problemi di bilancio.

Altri errori di pianificazione economica
Vorrei concludere evidenziando altri 2 gravi errori commessi già nel corso della prima proposta dei bonus fiscali da parte del governo Conte II e poi, ovviamente, confermati da Mario Draghi.

Un primo errore è stato quello di voler concentrare gli stimoli fiscali principalmente nel settore delle costruzioni. Dopo oltre 10 anni di profonda crisi del settore, di licenziamenti, di pensionamenti di lavoratori anziani esperti senza assunzioni di giovani, di mancata formazione professionale, di mancati investimenti, come si poteva pensare che nel giro di un solo anno il settore fosse in grado di fare fronte a nuove commesse per decine di miliardi di euro?
Il risultato, ovviamente, è stata una rapida saturazione del settore, con aumenti esagerato dei prezzi, mentre altri settori in crisi, come ad esempio il turismo o la piccola distribuzione commerciale, sono rimasti in profonda crisi come e peggio che nei 10 anni precedenti.
Non a caso la proposta originale di Cattaneo & c. prevedeva di assegnare i bonus fiscali in modo graduale e in molti settori dell’economia, portando una crescita economica diffusa, fermo restando il meccanismo di copertura finanziaria sopra illustrato (senza l’intermediazione delle banche).
Molto bene investire sul risparmio energetico degli edifici privati (e quelli pubblici?), ma tutta l’economia italiana ha bisogno di crescere, non solo l’edilizia. Sarebbe stata molto meglio una crescita equamente distribuita nei vari settori.

Il secondo errore è stato quello di non dare un respiro pluriannuale all’iniziativa. Sono anni che ci parlano delle famose “riforme strutturali” richieste dagli economisti “quelli che sanno”. Ma cosa c’è di strutturale in una misura che non si sa se l’anno successivo verrà rinnovata? Come si fa a pretendere che una impresa edile (o di altri settori) assuma dei giovani, investendo sulla loro formazione, che acquisti dei macchinari, che sviluppi competenze, se l’orizzonte delle commesse è al massimo di 1-2 anni?
Solo una iniziativa con una prospettiva certa di almeno 10 anni può dare alle imprese lo stimolo per investire in assunzioni a tempo indeterminato, in formazione professionale, in assunzione di macchinari per migliorare la propria efficienza produttiva.
Anche in prospettiva di un piano nazionale per il risparmio energetico, che certamente è fondamentale per un paese che importa dall’estero una parte molto rilevante del proprio fabbisogno, non ha alcun senso un piano che non abbia come minimo una prospettiva decennale, considerando il pessimo stato energetico del patrimonio edilizio italiano.

Pur essendo chiaro che la misura dei bonus fiscali del 110% è in grado di assicurare da sé la copertura finanziaria, se non ostacolata dall’inserimento di meccanismi che bloccano la cedibilità dei crediti fiscali, chi ci governa ha deciso di renderla ulteriormente inefficace, prima relegandola ad un solo settore dell’economia, poi rendendola una misura “una tantum” e totalmente non strutturale, in modo da non offrire al Paese delle prospettive di crescita.
Con queste argomentazioni mi sento di dare un pessimo giudizio sulle competenze economiche di chi ci governa. E se non si tratta di incompetenza, si tratta di mala fede, che sarebbe ancora peggio.
Questo nonostante il coro unico delle televisioni non perda occasione di osannare “San Mario Draghi”. Che Dio ce ne liberi quanto prima.

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