Caro Bonomi, per evitare la fine dell’industria italiana serve un cambio di paradigma.

di Davide Gionco

Le richieste di Confindustria al Governo sono giuste, ma inattuabili senza un cambio di paradigma economico-finanziario. La messa in atto degli strumenti proposti dal Piano di Salvezza Nazionale è la strada che anche Confindustria dovrebbe percorrere.


Lo scorso 20 maggio 2020 Carlo Bonomi è stato designato come nuove presidente di Confindustria. Bonomi ha richiesto al Governo un cambio radicale delle politiche economiche: il taglio dell’IRAP, il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica Amministrazione, lo sblocco dei cantieri per le opere pubbliche già finanziate.
Quello che Bonomi non dice al Governo è dove trovare le decine di miliardi necessari per finanziare queste misure. Tagliare l’IRAP, significa diminuire le entrate dello Stato; pagare i debiti arretrati e sbloccare i cantieri significa aumentare le spese. E’ del tutto evidente che queste misure andrebbero a beneficio degli industriali e di chi lavora per loro, ma è anche evidente che questo può avvenire solo aumentando in modo importante il deficit pubblico, cosa che normalmente l’Unione Europea non ci permette di fare, fatta eccezione per i momentanei sforamenti legati alla crisi del coronavirus.
Affinché il Governo possa tagliare l’IRAP, pagare i debiti arretrati e finanziare le opere pubbliche bloccate, senza aumentare il deficit di 100-150 miliardi, si dovrebbero tagliare altre voci importanti della spesa pubblica, tagliando servizi essenziali (abbiamo recentemente apprezzato le gravi conseguenze dei tagli alla sanità messa alla prova dal covid-19) e licenziare centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. Oppure si dovrebbero tassare ulteriormente altre categorie non legate a Confindustria. Il risultato sarebbe un ulteriore crollo della domanda interna, mettendo ulteriormente in crisi i settori industriali che operano sul mercato interno.

La realtà è che la coperta è corta, ogni anno più corta. E Confindustria non se ne è ancora resa conto.
Il modello economico che ci viene imposto dall’Unione Europea, fatto di aumenti di tasse e di tagli alla spesa pubblica (servizi e investimenti) accorcia ogni anno di più la coperta, spingendo gli attori economici ad una guerra fra poveri.
I primi ad essere stati colpiti sono state le piccole e medie imprese che, insieme ai lavoratori autonomi, sono dotati di meno peso politico. Ma una volta fatte fallire le piccole e medie imprese non potranno che aumentare la disoccupazione e la povertà, mentre l’aggressione fiscale non potrà che andare a colpire anche le grandi imprese. Se poi anche queste, per sfuggire al sistema-Italia, si delocalizzeranno all’estero, sarà la morte economica del nostro paese.
Senza un cambio di paradigma, senza un cambio di modello economico che consenta nello stesso tempo allo Stato di ridurre la pressione fiscale, indubbiamente ben oltre i limiti di tollerabilità, e di aumentare gli investimenti (opere pubbliche, ma anche migliori servizi pubblici), la morte economica del paese è qualcosa di inevitabile.

Un altro aspetto che Confindustria non considera è l’evoluzione della distribuzione commerciale. La liberalizzazione delle licenze per i grandi centri commerciali ha già portato alla morte di centinaia di migliaia di piccoli esercizi commerciali in Italia, ma ha anche ridotto enormemente le possibilità di commerciare beni senza passare per i pochi attori della grande distribuzione organizzata.
Questo significa che chiunque in Italia voglia vendere qualche cosa è sempre più obbligato a vendere a questi pochi soggetti, i quali sono gli unici a poter raggiungere i 60 milioni di consumatori italiani.
Il passaggio successivo è già in corso: il “modello Amazon” si sta rivelando ancora più competitivo della grande distribuzione organizzata, per cui assisteremo nei prossimi anni ad una progressiva chiusura dei grandi centri commerciali, con i consumatori che saranno obbligati a rivolgersi unicamente ad Amazon o suoi 2-3 concorrenti rimasti per fare acquisti. A quel punto questo ristretto oligopolio di distributori potrà imporre prezzi e qualità dei prodotti, senza temere altri concorrenti.
Ma anche gli industriali saranno obbligati a passare da Amazon per poter vendere i propri prodotti, alle condizioni che verranno loro imposte dagli oligopolisti.
L’economia viene sottratta a chi produce e consuma, portando ricchezza unicamente a chi monopolizza la distribuzione.
E sappiamo bene che Amazon sostanzialmente non paga tasse in Italia, dato che gli utili vengono trasferiti nei paradisi fiscali e andranno a beneficio di Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo: ricco lui e poveri tutti gli altri.

Se il dott. Bonomi pensa di risolvere i problemi di Confindustria e dell’Italia chiedendo unicamente al Governo di tagliare le tasse e di aumentare gli investimenti, senza tenere conto degli aspetti macroeconomici (fine delle politiche di austerità) e senza tenere conto del “modello Amazon” (fine della libera circolazione dei capitali), non potrà che danneggiare ulteriormente le industrie italiane, spingendo al fallimento quelle che operano sul mercato interno ed alla delocalizzazione quelle che operano sui mercati internazionali.
Il cambio di paradigma è possibile, le alternative esistono. Un gruppo di economisti ha elaborato un insieme di proposte denominate Piano di Salvezza Nazionale (https://pianodisalvezzanazionale.it/) le quali consentirebbero al Governo del paese di disporre di 350 miliardi di euro (ma potendo arrivare senza problemi fino a 1000, se fosse necessario) per fare fronte alla crisi economica del coronavirus, per assicurare il rilancio dell’economia italiana ed un solido sviluppo per gli anni a venire.
Il cambio del paradigma è rimettere al centro il lavoro, la capacità di produrre beni e servizi, elaborando strumenti finanziari innovativi che consentano di mettere in circolazione nuova liquidità, consentendo allo Stato di ridurre la pressione fiscale, di saldare i propri debiti, di fare investimenti, rilanciando in modo particolare il mercato interno: opere pubbliche, ma anche servizi pubblici più efficienti e 60 milioni di consumatori con un reddito più alto da spendere. E strumenti per fare in modo che chi fa utili li reinvesta in Italia, senza portarseli nei paradisi fiscali.
Il tutto senza aprire contenziosi con l’Unione Europea (le proposte sono tutte compatibili con gli attuali trattati europei), in attesa che le assurde regole delle politiche di austerità vengano superate.

Caro dott. Bonomi, se Confindustria intende dare il proprio contributo alla salvezza economica del Paese e delle proprie imprese, si renda portatrice del necessario cambio di paradigma economico-finanziario, anziché limitarsi a richieste che non tengono conto della situazione macroeconomica del Paese. Gli strumenti economici “classici” sono inattuabili, solo il Piano di Salvezza Nazionale sa offrire delle reali alternative. Prendetelo in considerazione.

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