VINCENZO VISCO: “L’EURO NON FUNZIONA”

Intervista di Fabio Del Ponte per “La Stampa”

29.12.2017

 

«Mi ricordo tutta la dinamica dei mesi in cui dovevamo entrare nell’ euro, con Ciampi che faceva l’incantatore dei serpenti con il ministro tedesco Theo Waigel. C’era il collega olandese Gerrit Zalm che non ci poteva vedere e si dovette ammansire pure lui. Ma quando andavamo alle riunioni a Bruxelles ci guardavano tutti con molto rispetto.

E’ stato forse uno dei pochi periodi in cui l’Italia non suscitava riserve».

Vent’ anni dopo quel fatidico 1997, in cui il governo Prodi varò la manovra che valse all’Italia l’ingresso nell’euro, l’allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco, uno dei grandi protagonisti di quella stagione, ricorda quei giorni con nostalgia. Il Tesoro era nelle mani di Carlo Azeglio Ciampi, che poi sarebbe diventato presidente della Repubblica. La manovra consentì di agganciare un rapporto deficit/Pil al 2,7%, al di sotto della soglia del 3% prevista dai trattati di Maastricht.

 

Eravate sicuri di farcela?

«Ripensandoci adesso, la situazione era strana. Non eravamo ovviamente sicuri, perché bisognava vedere se tutto andava per il verso giusto. Però non eravamo neanche preoccupati, né ansiosi o angosciati. Avevamo fatto tutto quello che si doveva fare».

 

Qual era la strategia?

«Ci fu una gestione molto consapevole e anche, se vogliamo, astuta. Il nostro punto, in particolare di Ciampi e mio, era quello di rendere chiaro ai mercati che l’Italia stava facendo ogni sforzo per entrare nell’euro subito e che ci sarebbe entrata.

Questo automaticamente avrebbe provocato una convergenza dei tassi di interesse verso i tassi tedeschi. Avevamo allora uno spread di oltre 500 punti base. Con una manovra abbastanza modesta, a parte l’eurotassa che poi restituimmo, e senza sacrifici spaventosi siamo riusciti a fare un aggiustamento una tantum in cambio di una riduzione permanente dei tassi di interesse».

 

A distanza di vent’anni molto è cambiato.

«Sì, l’Europa è andata tutta da un’altra parte. La Germania doveva fare da traino a tutta l’operazione e invece si è messa a fare politiche mercantiliste, nazionaliste e isolazioniste a scapito della crescita dell’Europa».

E questo cosa ha provocato?

«Quella che è avvenuta negli ultimi dieci anni, dopo la crisi, a causa delle politiche della Germania in qualche modo avallate dalla Bce, è una artificiosa rinazionalizzazione dei diversi euro, e quindi dei diversi tassi di interesse. E quindi la moneta unica funziona male e a scartamento ridotto».

 

Loro però restano la locomotiva d’ Europa.

«La Germania continua a crescere a spese nostre, perché c’è un marco svalutato che è l’euro. E loro invece di espandere l’economia continuano ad accumulare avanzi sull’estero».

 

Cosa dovrebbero fare?

«Per esempio non hanno mai voluto risolvere il problema delle banche, con l’assicurazione dei depositi. Insomma insieme con la moneta unica ci si sta se si condividono i rischi. La condivisione dei rischi è l’unico modo di evitare i rischi.

Prenda il “Whatever it takes” di Draghi. Quello fu un messaggio agli speculatori. Fece capire che avrebbe messo su una linea di fuoco talmente forte da spuntarla su ogni speculatore. La speculazione si fermò. E Draghi non ha speso una lira. Quella è una forma di condivisione dei rischi».

 

Oggi si parla anche di un referendum sull’euro che potrebbe promuovere il M5S. Che ne pensa?

«Non ci credono nemmeno loro. Ma il problema c’è, nel senso che per come si è venuta costruendo la politica monetaria ed economica dell’UE è autolesionistica. Non funziona. Funziona parzialmente solo per la Germania».

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