Ugo La Malfa e il segreto del boom economico italiano degli anni ’60

Condividiamo con voi un estratto della famosa “Nota aggiuntiva” presentata da Ugo La Malfa alla Camera del Deputati nel mese di maggio del 1962.
In essa troviamo gli indirizzi politici che furono la chiave del successo economico dell’Italia negli anni ’60:

  • Ruolo attivo dello Stato nell’economia, in concertazione con l’imprenditoria privata edi sindacati
  • Nazionalizzazione dei servizi pubblici, per consentire un’adeguata programmazione economica nel paese, cosa impossibile da farsi tramite l’impresa privata
  • Investimenti pubblici finalizzati a valorizzare il capitale umano ed attenti alle conseguenze sociali
  • Indirizzo degli investimenti privati, sia delle imprese che delle famiglie
  • Una politica non ideologica, ma equilibrata, non schiacciata sugli interessi del “proletariato” (secondo la visione di Trogliatti), ma neanche piegata agli interessi dei poteri economici (secondo la visione liberale)

La visione politica di Ugo La Malfa fu politicamente determinante per la nazionalizzazione delle aziende private produttrici di energia elettrica, che avvenne sempre nel 1962.
La motivazione fu che le che imprese private erano appiattite sul business a breve termine della vendita di energia elettrica, senza la visione necessaria per la programmazione delle politiche economiche dell’interna nazione. Fu la nascita dell’ENEL.

Oggi più che mai sarebbe fondamentale ritornare ad una visione politica d’insieme del paese, mettendo al centro il capitale umano e la responsabilità sociale.

Buona lettura.

 


Funzione essenziale di qualsiasi tipo di programmazione è la scelta, per un dato periodo, del volume e della direzione degli investimenti. Nel definire il volume desiderato degli investimenti occorrerà tener conto dell’assorbimento di tutta la manodopera in eccesso — quella disoccupata e quella sottoccupata — nel settore agricolo (dove il fenomeno è di impressionante evidenza, se si pensa che in molte zone i braccianti non lavorano più di 100-120 giorni all’anno) e in parte nel settore terziario. La direzione di essi deve essere stabilita in relazione al conseguimento di una migliore composizione di occupazione e di consumi, e non semplicemente in relazione all’estrapolazione delle tendenze spontanee in atto. L’aumento di occupazione non deve risultare in uno spreco di manodopera in settori che tradizionalmente costituiscono un rifugio per i sottoccupati e che esercitano una funzione ritardatrice sullo sviluppo economico. L’esempio che in proposito solitamente si cita è quello dell’agricoltura. Ma farse più importanti, ai fini dello sviluppo del sistema, sono gli effetti negativi della sottoccupa­zione nel settore terziario. Non sempre una rapida espansione del settore terziario è sintomo di crescente ricchezza, potendo essa derivare in parte da un sovraffollamento motivato dalla relativa facilità di accesso, che il settore stesso presenta, del capitale escluso dalle industrie oligopolistiche e di manodopera non qualificata. Una espansione di questo secondo tipo delle attività commerciali può risolversi in un aumento del costo della vita, in seguito all’aumento di prezzi derivante dalla capacità in eccesso: e quindi in una sorta di disordinata tassazione imposta alla collettività per il mantenimento dei sottoccupati. Avviene in questo caso che l’aumento delle remunerazioni del lavoro, pur provocando un aumento del costo del lavoro per le imprese, non si traduca in corrispondenti miglioramenti dei redditi reali dei lavoratori, a causa degli aumenti dei prezzi al consumo. Neppure del tutto positiva è la valutazione che può farsi di altre forme e modalità di espansione del settore terziario: lo straordinario incremento di quello che viene definito «marketing» ossia dell’organizzazione dei mezzi impiegati per vendere i prodotti (dalla pubblicità ad altre forme di concorrenza, allo stesso sistema di vendite rateali) non sempre appare consona al grado di sviluppo del Paese ed alle alternative possibilità di impiego dei mezzi che in tal modo vengono impiegati.

Come abbiamo detto, la programmazione dovrà anzitutto riguardare gli investimenti pubblici, che in tanto possono essere giustificati in quanto ne siano chiari i fini e definiti i benefici netti sociali: e i benefici saranno maggiori se al criterio delle iniziative sporadiche si sostituirà quello degli interventi organici e coerenti. E‘ evidente che nel calcolare costi e benefici si dovrà adottare non un metro strettamente finanziario, ma un metro economico, che tenga conto degli effetti dei singoli investimenti sull’economia nel suo complesso: in questo con­testo occorrerà prendere in attenta considerazione i moniti che nel nostro ed in altri Paesi si levano contro la tendenza ad esagerare gli investimenti in capitali materiali a scapito di quelli in capitali personali.

Ma la programmazione dovrà anche riguardare gli investi­menti privati. Negli stessi ambienti imprenditoriali si comincia a riconoscere l’opportunità che lo Stato persegua una politica capace di garantire un certo tasso di sviluppo del reddito, uno sviluppo sostenuto essendo condizione essenziale per attenuare i rischi e correggere rapidamente gli eventuali errori di valutazione delle iniziative private. D’altronde la storia della grande industria moderna è in gran parte la storia di investimenti attuati grazie alla possibilità di controllare il mercato e di influenzare con vari mezzi la domanda pubblica e privata, garantendosi contro i maggiori rischi delle iniziative. Queste forme di vera e propria pianificazione privata degli investimenti e della espansione dei consumi sono un argomento decisivo contro la contrapposizione fra uno sviluppo lasciato alle forze dell’iniziativa privata e risultante da decisioni singole prese in obbedienza alle indicazioni spontanee dei consumatori ed uno sviluppo risultante da decisioni programmate.

La concentrazione delle decisioni è ormai una caratteristica del settore privato non meno che del settore pubblico. Appare pertanto evidente l’opportunità di ricondurre le maggiori decisioni di investimento sotto una forma di programmazione che garantisca un ritmo regolare di sviluppo a tutti gli operatori e che rimedi alla deficienza di una crescita attuata senza tener conto delle esigenze della collettività e dei costi sociali. La programmazione per lo sviluppo è probabilmente lo strumento più efficace per difendere le piccole e medie iniziative, che per ragioni tecnologiche e di struttura, si trovano in posizione precaria e instabile. La programmazione per lo sviluppo può inoltre ridurre la persistente sottovalutazione da parte dei privati della convenienza ad investire, sottovalutazione dovuta a ragioni note da tempo alla teoria economica: forzata limitazione dell’orizzonte economico dei privati, che non hanno né i mezzi né la possibilità di operare con visioni più vaste, quali quelle che spettano allo Stato; esistenza in alcuni settori di rischi per il privato e non per la collettività; impossibilità che i privati contabilizzino i vantaggi di investimenti che non consistano in immediati profitti, ma creino beneficio all’intera collettività.

Predisporre le indagini e gli accertamenti necessari alla fissazione in concreto degli obiettivi della programmazione economica generale, redigere in altri termini, il piano che dovrà proiettare la sua efficacia in un lungo spazio di tempo, non è opera che si possa intraprendere senza preparazione tecnica e politica adeguata. Ciò comporta da una parte, la predeterminazione del modo come i problemi della politica economica «a breve» saranno affrontati, perché non ne risulti una contraddizione con le linee di fondo che la programmazione generale esige; dall’altro la predisposizione di tutti gli strumenti necessari alla più rapida redazione del «piano», ed alla sua concreta attuazione.

[…]

Ma chiudendo con questa prospettiva l’esposizione fin qui fatta ed auspicando che i pro­positi manifestati diano presto luogo non soltanto a decisioni concrete, ma ad ampi ed illuminati dibattiti, sembra utile an­cora una volta sottolineare, se fosse ancora necessario, che dello sviluppo del sistema economico costituirà, in ogni caso, componente essenziale, non solo l’attività dello Stato e degli Enti pubblici in genere, ma quella, assai più estesa e decisiva dei privati, senza la quale la programmazione democratica non avrebbe senso alcuno.

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