Spesa pubblica, il PIL e la crisi di domanda interna

di Marco Cattaneo

Rapporto fra spesa pubblica e Prodotto Interno Lordo

 Leggo su twitter – “Possibile che nel 2018 non ci sia ancora risposta unanime alla domanda: la spesa pubblica si somma o si sottrae dal PIL ?”
In realtà la risposta c’è, semplicemente è un po’ più articolata rispetto al semplice “si somma” o “si sottrae”.
Sul piano contabile, il PIL è la somma di consumi privati, investimenti privati, spesa pubblica, ed esportazioni nette (esportazioni meno importazioni).
Non c’è quindi alcun dubbio che a parità di ogni altra condizione, l’incremento di spesa pubblica incrementi anche il PIL.
Chi afferma che non è (necessariamente) così, dice qualcosa di sensato solo se fa riferimento agli effetti indotti.
Esiste un limite fisico di capacità del sistema economico, in un determinato momento storico, che deriva dalle persone e dagli impianti che possono essere messe al lavoro per produrre beni e servizi, e dalla qualità dell’apparato produttivo (qualità dell’organizzazione, della tecnologia, dei prodotti).
Il limite nel tempo si sposta, per effetto di innovazioni tecnologiche, miglioramenti organizzativi, investimenti che incrementano la base produttiva del paese (al netto del deterioramento fisico e dell’obsolescenza che invece la diminuiscono), variazioni demografiche. Ma in un determinato momento, il limite di capacità esiste.
Allora, se la capacità produttiva del sistema economico è sottoutilizzata, e la spesa pubblica ne incrementa l’utilizzo, la spesa pubblica incrementa il PIL.
Se invece le risorse produttive (risorse fisiche) sono già pienamente utilizzate, la spesa pubblica avrà l’effetto di riallocarle. Ci sarà meno produzione di beni e servizi da parte di operatori privati, e più produzione da parte del settore pubblico.
Poi ci sono valutazioni più complesse e incerte sulle conseguenze successive delle variazioni di spesa pubblica: a seconda di come avvengono le riallocazioni tra un tipo di spesa e un altro, ci possono essere effetti indotti, positivi o negativi, sulla capacità produttiva futura del sistema economico.
Ma se la domanda “la spesa pubblica si somma o si sottrae dal PIL ?” si riferisce all’impatto immediato, la risposta è chiara. Se mette al lavoro risorse fisiche che altrimenti restano inattive, incrementa il PIL. Altrimenti di per sé è neutrale.

Quindi l’effetto non è mai di decrementare il PIL. Mentre è di incrementarlo quando esiste un significativo sottoutilizzo delle risorse fisiche (forza lavoro e impianti). E oggi in Italia ci troviamo, senza alcun dubbioin quest’ultima situazione.

La crisi di domanda dell’economia italiana

 L’economia italiana soffre di un pesante deficit di domanda aggregata, che determina livelli di attività economica nettamente inferiori al potenziale produttivo del paese. Il confronto tra PIL 2007 (anno in cui è stato raggiunto il massimo storico di PIL reale) e 2016, disaggregati nelle loro principali macrocomponenti, lo rende evidente.
Confronto 2016 vs 2007 a euro costanti 2016
Dati 2007 riportati a potere d’acquisto 2016 sulla base del deflatore PIL – Fonti: ISTAT, MEF
2007
2016
Variazione
Variazione %
PIL
1.801
1.672
-129
-7,2%
Consumi
1.408
1.330
-78
-5,5%
Investimenti
389
284
-104
-26,8%
Domanda interna (C+I)
1.797
1.614
-183
-10,2%
Export
494
502
7
1,5%
Import
500
444
-57
-11,4%
Saldo commerc. estero
-6
+58
A nove anni di distanza, il PIL reale italiano è (nonostante il timidissimo recupero iniziato nel 2014) inferiore di circa 130 miliardi, pari a oltre il 7%. E la caduta è interamente dovuta al crollo della domanda interna: l’export è l’unica componente che evidenzia un segno positivo. Modesto fin che si vuole (+1,5% in nove anni) ma comunque un segno più.
Le importazioni sono cadute in misura simile e anzi un po’ più accentuata (-11,4%) rispetto alla domanda interna (-10,2%), il che ha portato il saldo commerciale estero da un leggero deficit (-6 miliardi) a una forte eccedenza (+58 miliardi). Il surplus italiano 2016 è stato in effetti il terzo al mondo per dimensione assoluta (dopo Germania e Cina) tra i paesi “trasformatori” (tra quelli, cioè, non significativamente dotati di materie prime e risorse naturali).
A volte si legge che questo andamento dell’economia italiana rifletterebbe lo scollamento tra aziende esportatrici, che hanno saputo vincere o quantomeno reggere la “sfida della globalizzazione”, e il resto del sistema produttivo, che non si sarebbe adeguato al nuovo contesto. Ma è una spiegazione che non tiene, appunto perché ancora più della domanda interna sono, come visto, crollate le importazioni: il che significa che nel complesso non si è verificato un fenomeno di perdita di quota nel mercato interno a vantaggio di importatori “globalizzati”, o comunque più efficienti. Molto più banalmente, il minor potere d’acquisto indotto prima dalla crisi finanziaria mondiale, e poi dall’euroausterità, ha fatto calare la domanda italiana di beni e servizi – a danno dei produttori italiani così come, in misura analoga e anzi leggermente più accentuata, degli stranieri.
E’ del tutto inverosimile che, se le aziende italiane vendono più di prima (poco, ma comunque di più) a San Francisco, a Shanghai o a Sidney, abbiano subito uno scadimento qualitativo o competitivo tale da produrre un calo a due cifre a Treviso, a Pesaro o a Cosenza. Si vende di meno in Italia perché, banalmente, girano meno soldi. Punto.
L’altro dato da evidenziare è che la discesa della domanda interna (-10,2%) risente di un calo dei consumi (-5,5%) ma ancora di più di un autentico crollo degli investimenti (-26,8%). Niente di sorprendente, perché la depressione della domanda crea pesantissimi disincentivi a investire: meno soldi per fare ricerca e aggiornamento tecnologico degli impianti, meno necessità di espandere la (fortemente sottoutilizzata) capacità produttiva. Ma quando si dice che le aziende italiane devono recuperare produttività e competitività – quanto vi sembra plausibile riuscirci in un sistema paese che investe in impianti e infrastrutture oltre 100 miliardi all’anno in meno rispetto al 2007 ?
Il recupero di un adeguato livello di circolazione interna di potere d’acquisto, e quindi di domanda, è imprescindibile per risolvere la crisi dell’economia italiana. La Moneta Fiscale permette di ottenerlo.

Tratto da:

http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2018/02/spesa-pubblica-e-pil.html
e
https://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2017/05/la-crisi-di-domanda-delleconomia.html

Lascia un commento