Se non siamo capaci a liberarci dagli schemi mentali che ci hanno imposto, resteremo schiavi e moriremo da schiavi

L’aquila e le galline.

Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini.
Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro.

Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita.
«Chi è quello?» chiese. «E’ l’aquila, il re degli uccelli», rispose il suo vicino.
«Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.»
E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale.
(Tratto da un racconto di Anthony de Mello)


Lo pseudo-ambiente nella nostra mente

Naturalmente nessuno di noi ritiene di essere un’aquila che vive da pollo.
Siamo convinti di essere liberi di decidere della nostra vita, di sapere ciò che è bene per noi stessi e per gli altri, di avere una cultura sufficiente a comprendere il mondo in cui viviamo, la quale ci permette di conoscere i confini entro i quali è possibile e sensato muoversi.

In realtà tutti noi siamo soggetti, chi più chi meno, a pesanti condizionamenti del nostro immaginario, quell’insieme di “conoscenze” e di “evidenze” che vanno a costituire quelli che Walter Lippmann chiamava gli stereotipi che vanno a costituire lo pseudo-ambiente che la nostra mente utilizza per interpretare la complessità del mondo che ci circonda.

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Walter Lippmann

Probabilmente proprio chi è convinto di avere capito tutto del mondo in cui viviamo è in realtà più di altri soggetto agli effetti distorsivi dei filtri ideologici che abbiamo assimilato e che ci portano, con assoluta convinzione e certezza a leggere i fatti della nostra vita in modo illogico e irrazionale, in modo particolare quelli sociali, economici e politici.
La difficoltà a riconoscerlo è quello che è stato anche definito “effetto Dunning-Kruger“.

Rileggiamo il racconto dell’aquila nel pollaio: l’aquila era cresciuta insieme ai polli, aveva sempre e solo visto dei polli, che vivevano nel recinto del pollaio e che cercavano vermi nel terreno.
Se avesse avuto il coraggio di guardare le proprie ali, riconoscendo che non erano da gallina, se avesse avuto il coraggio di guardare le altre aquile in cielo, avrebbe capito che poteva facilmente spiccare il volo e lasciare quello squallido pollaio. Ma per farlo avrebbe dovuto prima di tutto andare contro quello che tutti gli altri polli dicevano di essere, avrebbe dovuto constatare che i fatti e la logica dimostravano che le sue convinzioni di prima erano sbagliate.
Il vero recinto che tratteneva l’aquila a terra non era quello del pollaio, ma era il recinto delle proprie idee, della visione del mondo “da pollaio” che aveva assimilato crescendo e che usava per leggere la realtà in cui viveva.

Non è un caso che i grandi governi del mondo investano moltissimo nelle tecniche di controllo dell’opinione pubblica, mediante i mass media, come spiegava Edward Bernays.


Un caso concreto: come vediamo l’economia

Proviamo a fare un caso molto concreto, parlando di come oggi molti italiani vedono l’economia del paese, di come ci viene presentata dai mass media e di quali sono i fatti concreti.

Gli italiani sono come l’aquila cresciuta nel pollaio.
La visione che hanno dell’economia è costruita sulle opinioni che hanno sentito ripetere migliaia di volte sui giornali e in televisione.
Ci dicono che siamo un paese fatto di persone che hanno poca voglia di lavorare, che siamo poco produttivi, che c’è la corruzione, che siamo un piccolo paese incapace di competere nell’economia globale.
Ci dicono che abbiamo un enorme debito da pagare, a causa del quale dobbiamo fare sacrifici e le famose “riforme strutturali”.
Ci dicono che non c’è lavoro per tutti, che non ci sono soldi per la sanità, per le scuole, per riparare le buche delle strade, per le famiglie, per i disabili, pe ridurre le tasse.
Ci dicono che il lavoro non può essere garantito per legge e ci fanno intendere che è sostanzialmente inevitabile avere oggi in Italia milioni di disoccupati e milioni di poveri.
Tutto questo perché “mancano i soldi“!
E i soldi non crescono sugli alberi!

Ecco.
Tutto questo è lo scenario del pollaio: ali piccole che non ci consentono di volare, sguardo a terra per cercare i vermi nel fango e attendo a quando i padrone, benevolo, ci butta il becchime la mangiare.
Noi apparteniamo alla terra, perché siamo polli“.
E i polli non possono determinare il proprio destino.

Ed ora facciamo lo sforzo di guardare alla realtà dell’economia.
Alziamo la testa e guardiamo fuori dal pollaio.

Il primo dato è che il denaro, effettivamente, non cresce sugli alberi.
Il denaro che viene stampato.
Ce lo fanno vedere ogni giorno in tv proprio mentre ci dicono che lo Stato non ha soldi per far quadrare il bilancio.
E il denaro stampato assume valore ai sensi di leggi che ne rendono obbligatoria l’accettazione.
Ad esempio l’art. 1277 del Codice Civile “Debito di somma di danaro. I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.

Quindi il denaro non manca se abbiamo carta e inchiostro per stamparlo (o dei computer su cui scrivere nunmeri, come fanno le banche) ed una legge che gli conferisce valore.
Certamente è necessario che ci siano anche dei cittadini e delle imprese che lo accettino.
Ma ad accettarlo saranno proprio cittadini a imprese, oggi senza lavoro per mancanza di soldi per pagarlo.
E se qualcuno di quelli che “dettano le regole del pollaio” vi dirà che stampando denaro si crea inflazione, aprite gli occhi ed usate il cervello.

Ed il lavoro è tutto lì che attende di essere svolto.
Ci mancano forse buche nelle strade per assicurare a migliaia di futuri lavoratori il lavoro per ripararle?
Ci mancano forse gli architetti, gli ingegneri, gli operai per realizzare le scuole e gli ospedali di cui l’Italia a bisogno?
Ci mancano forse giovani talentuosi da occupare in laboratori di ricerca scientifica?

Ci fanno credere che il denaro è un vero valore e che si tratta di una risorsa scarsa, mentre in realtà si tratta solo di uno strumento per attivare il lavoro e che può essere prodotto secondo necessità d’uso.
Ci fanno credere che il debito pubblico è qualcosa da pagare, mentre è evidente che se uno Stato ha la “macchina che stampa i soldi” non avrà mai il problema della mancanza di soldi per saldare i titoli di stato in scadenza.

Alziamo lo sguardo al cielo, siamo aquile: possiamo creare il denaro che ci manca per i pagamenti, abbiamo il lavoro da fare per produrre cose utili per il paese, abbiamo milioni di lavoratori disponibili a fare questi lavori.
Possiamo garantire nel giro di poco tempo un lavoro per tutti, porre fine alla povertà ed avere un paese più prospero.
E’ qualcosa che storicamente è già stato fatto.
Non è fantascienza, si tratta solo di renderci conto che non siamo galline, che possiamo spiegare le ali ed alzarci in volo.
Dobbiamo solo imparare a guardare la realtà liberi dagli stereotipi che ci hanno inculcato.

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