Comprendere il bilancio dello Stato: le politiche per la piena occupazione

di Davide Gionco

 

Il bilancio dello Stato
Comunemente si crede che il bilancio dello Stato italiano sia più o meno strutturato nel modo seguente:

Ovvero che lo Stato si finanzi mediante le tasse (entrate tributarie), mediante entrate extratributarie (pagamenti per servizi pubblici, ecc.) e tramite la vendita di beni dello Stato.
E si pensa che le spese siano costituite dalle spese correnti e dagli investimenti.

I dati sopra riportati sono il bilancio previsionale di competenze per l’anno 2017, tanto per utilizzare dei dati realistici.

In realtà il bilancio dello stato, senza entrare troppo nei dettagli, è composto dalle seguenti voci:

Ogni anno abbiamo da pagare gli interessi sul debito pubblico.
La spesa totale è quindi di 486+41+79 = 606 miliardi di euro.
Le entrate, invece, sono 491+75+3 = 569 miliardi di euro.
Il bilancio risulta in deficit di 37 miliardi, che l’Italia si procura emettendo 37 miliardi di titoli di stato in più rispetto a quelli già in circolazione.

Facciamo ora il bilancio rispetto alle tasche degli italiani.
Gli italiani hanno pagato 491+75 = 566 miliardi fra tasse e servizi pubblici a pagamento.
Lo Stato restituisce agli italiani, sotto forma di stipendi e retribuzione di fornitori esterni 486+41 = 527 miliardi di euro.
Importante: se lo Stato non restituisse questi soldi, gli italiani non disporrebbero di questo denaro per pagare, l’anno successivo, le tasse e le tariffe pubbliche.

Stante questa situazione il bilancio netto sarebbe 527-566 = -39 miliardi di euro. Ovvero gli italiani avrebbero pagato in tasse e tariffe 39 miliardi in più di quanto avrebbero ricevuto sotto forma di pagamenti pubblici. Si tratta di 650 euro a testa ovvero di 2’000-2’500 euro l’anno che ogni famiglia riceve in meno rispetto a quanto ha pagato.

Per fortuna abbiamo fatto 37 miliardi di deficit. In TV ci dicono ogni giorno che fare deficit non va bene, perché fa crescere il debito pubblico.
Senza i 37 miliardi di deficit sarebbe stato necessario tagliare la spesa corrente e/o gli investimenti (ci dicono che non si possono tagliare gli interessi…) di altri 37 miliardi.
A quel punto il bilancio diventerebbe:

Ovvero, facendo il bilancio nelle tasche degli italiani: entrate (la spesa pubblica che va in favore degli italiani) 449+41 = 490 miliardi; uscite (tasse e tariffe) 491+75 = 566 miliardi; bilancio netto 490-566 = -76 miliardi.
Questo significa che se lo Stato non avesse fatto i 37 miliardi di deficit, alle tasche degli italiani sarebbero stati sottratti ben 76 miliardi di euro, pari a 1’267 euro a testa ovvero pari a 4’000-5’000 euro a famiglia sottratti ogni anno dal nostro reddito o dai nostri risparmi (chi ancora ne ha).

Questo denaro sottratto dove va a finire?
Ovviamente va a finire nel pagamento degli interessi. E gli interessi vanno ai detentori di titoli.
Ma chi sono i detentori dei titoli?

Diciamo che si tratta in piccola parte (6%) di risparmiatori italiani, quei pochi che ancora si permettono di acquistare dei titoli di stato.

In sostanza facendo un deficit di 37 miliardi nel 2017, pari al 2,2% del PIL, il governo è riuscito a limitare l’esborso dalle tasche degli italiani a 39 miliardi di euro.
Se avessimo fatto pareggio di bilancio, come “responsabilmente” inserito nell’art. 81 della Costituzione, non sarebbe stato possibile limitare l’esborso degli italiani a 39 miliardi di euro, ma sarebbe salito a 76 miliardi.

 

Il concetto di bilancio primario
I dati sopra riportati sono rappresentativi di come è strutturato il bilancio dell’Italia da almeno 25 anni a questa parte.
Ogni anno gli italiani pagano in tributi e tariffe più di quanto ricevano indietro dallo Stato sotto forma di spesa pubblica.
Ogni anno si fa deficit, ma senza che il nuovo denaro preso in prestito sia sufficiente a pagare gli interessi sul debito pubblico.
Quindi ogni anno viene sottratto denaro dalle tasche degli italiani per farlo arrivare nelle tasche dei ricchi detentori (investitori finanziari) dei titoli di stato.

Tecnicamente parlando il bilancio dello Stato è ENTRATE-USCITE, il quale risulta in deficit di 37 miliardi. Questo bilancio tiene conto del pagamento degli interessi sui titoli di stato.
Ma se vogliamo fare il bilancio senza tenere conto del pagamento degli interessi (che solo in piccola parte ritorna agli italiani) ovvero se vogliamo fare il bilancio “nelle tasche degli italiani”, allora parliamo di BILANCIO PRIMARIO dello Stato, che si calcola come ENTRATE-USCITE (senza gli interessi).

Se lo Stato fa deficit primario di 20 miliardi, significa che gli italiani hanno pagato in tasse e tariffe 20 miliardi in più di quello che hanno ricevuto indietro sotto forma di spesa pubblica.

La spesa pubblica, infatti, va a beneficio dei dipendenti pubblici e dei fornitori di enti pubblici, ma poi questi soggetti, a loro volta, spendono quel denaro nel settore privato, dando beneficio anche agli italiani che non lavorano direttamente per lo Stato.
Alla fine lo Stato rientrerà in possesso di quel denaro, sotto forma di tributi e tariffe.

In realtà in questo bilancio (tecnicamente chiamato “saldi settoriali”) dovremmo anche includere la bilancia dei pagamenti verso l’estero. Se, infatti, l’Italia realizza un attivo commerciale di 30 miliardi di euro, questo metterà in circolazione in Italia 30 miliardi di euro in più a beneficio dell’economia. Non intendiamo affrontare questo discorso nel presente articolo, per non perdere di vista l’obiettivo di chiarire il ruolo della spesa pubblica nell’economia di una nazione.

 

Il ruolo della spesa pubblica
Vogliamo ora confrontare i diversi risultati delle politiche di spesa pubblica negli USA e in Italia, analizzando dei dati che abbiamo tratto dalle statistiche del Fondo Monetario Internazionale.

In questa immagine vediamo in nero il bilancio primario del governo degli USA.

Per migliore comprensione è stato messo in evidenza il bilancio visto dalla parte dei cittadini. Ovvero: nel 2001 il governo USA ha fatto attivo di bilancio primario, il che corrisponde (area in rosso) ad un passivo di bilancio per le tasche dei cittadini americani.
Dal 2002 al 2004 gli USA fecero deficit di bilancio ovvero un attivo di bilancio per le tasche dei cittadini (area in verde).
Negli anni della crisi finanziaria del 2008 (Lehmann Brothers) e negli anni successivi il governo americano ha fatto molto deficit, in modo da iniettare molto denaro nel settore privato, prima per fare fronte alla crisi del sistema bancario, in seguito (sotto la presidenza Obama) per far ripartire l’economia interna.

L’andamento del PIL, in marrone, è in genere positivo, grazie alle continue iniezioni di denaro pubblico, con la sola eccezione della crisi del 2008-2009. Il PIL reagisce agli stimoli monetari sempre con una inerzia di 1-2 anni, come si vede.

Il tasso di disoccupazione, stabile negli anni pre-crisi, registra una impennata con la crisi di Lehmann Brothers, dopo di che diminuisce gradualmente grazie ai perduranti investimenti pubblici (sempre area in verde).

 

Vediamo ora lo stesso tipo di grafico per l’Italia

L’Italia ha quasi sistematicamente fatto deficit di bilancio primario, ovvero quasi sistematicamente ha sottratto denaro (aree in rosso) dalle tasche dei cittadini (contrariamente agli USA).
I risultati sono opposti a quelli ottenuti dagli USA.
Il PIL ristagna intorno allo zero.
La disoccupazione tende ad aumentare, a causa del perdurare dei tagli agli investimenti pubblici.

 

La differenza nei risultati economici si nota maggiormente comparando gli indicatori degli USA e dell’Italia.
A partire dal 2002 il PIL negli USA è costantemente cresciuto di più che in Italia.

Gli USA hanno costantemente mantenuto una spesa pubblica al netto degli interessi (bilancio primario) superiore a quella dell’Italia.

Fatta eccezione per gli anni della crisi di Lehmann Brothers, gli USA hanno costantemente avuto un tasso di disoccupazione più basso dell’Italia.

Conclusioni
Questi dati dimostrano come gli aumenti di deficit pubblico, che consentono di mettere nelle tasche dei cittadini più denaro di quanto ne abbiano pagato allo Stato sotto forma di tributi e tariffe, consentono di fare crescere il PIL e di ridurre la disoccupazione.

L’Italia dal 2001 ad oggi ha fato esattamente il contrario: ha tagliato gli investimenti pubblici, togliendo dalle tasche dei cittadini più di quanto essi avessero versato come tributi e tariffe.

Come si può vedere da questo diagramma i migliori anni dell’economia italiana si sono avuti quando lo Stato faceva deficit di bilancio primario (in rosso), iniettando nel settore privato più denaro di quanto ne incassava.
Da quanto, a seguito del Trattato di Maastricht (limite al deficit/PIL al 3%), l’Italia ha iniziato a fare degli attivi di bilancio primario (in verde), l’economia italiana è peggiorata.

Ovviamente vi sono anche altri fattori che contribuiscono al buono o cattivo andamento dell’economia, come le già citate esportazioni, ma anche la distribuzione della spesa pubblica. Se spendessimo meno in interessi e di più in opere pubbliche, l’economia andrebbe meglio.

Tuttavia il ruolo attivo dello Stato nello spendere più di quanto incassa risulta spesso determinante per l’esito dell’economia reale.
Le “riforme strutturali” che ci propongono l’Unione Europea, la BCE, il Fondo Monetario Internazionale, Confindustria, ecc. hanno dato ampia prova di non funzionare.
Chi, come USA, fa esattamente il contrario, vede l’economia crescere. Chi, come l’Italia, le mette in pratica, vede l’economia peggiorare.

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