Ritardi e insuccessi: svelato il bluff sul “sacro” vaccino

di Paolo Gulisano
28.01.2021

Ora che i vaccini anti-covid sono arrivati, risulta sempre più evidente che la narrativa “semplificata” dei mass media è molto distante dalla reatà

Per mesi i vaccini sono stati annunciati come la soluzione, l’unica soluzione, al problema della pandemia. Col passare del tempo e l’annuncio degli imminenti arrivi dei vari prodotti la fede nel culto del vaccino è cresciuta a dismisura, una fede che non ammetteva obiezioni e scetticismi, tanto da far minacciare sanzioni e punizioni a chi avesse osato mettere in dubbio il ruolo salvifico del prodotto farmaceutico.

Ora però davanti ai primi dati delle reazioni avverse, alle prime analisi del post marketing, alle prime pubblicazioni scientifiche che mettono in dubbio la reale efficacia dei diversi prodotti, emerge sempre più chiaramente che siamo di fronte ad una vera e propria guerra commerciale tra aziende produttrici, tra le istituzioni europee e quelle nazionali.

Niente di più lontano dalla verità. Che la “corsa al vaccino” fosse da sempre una grande gara per mettere le mani su immensi profitti è stato detto da tempo. Che un vaccino si fa in 5-6 anni e non in pochi mesi, è stato più volte ripetuto dalle voci scientifiche prudenti ed equilibrate, ma il fronte vaccini ha sempre respinto seccamente queste preoccupazioni.

Ora la situazione che abbiamo di fronte agli occhi è quella di uno screditamento reciproco tra molte aziende, e in più diversi prestigiosi istituti di ricerca che stanno gettando la spugna nei confronti di un virus molto particolare come il Covid-19: un virus a Rna, un virus che muta in continuazione, un virus appartenente ad una famiglia di patogeni, i Coronavirus, per i quali mai era stato realizzato un vaccino.

L’Istituto Pasteur, il più importante ente francese per la ricerca, ha annunciato che fermerà il suo progetto principale per lo sviluppo di un vaccino anti-Covid, portato avanti in collaborazione con la società farmaceutica americana Merck, un autentico gigante di Big Pharma, dopo che i primi test clinici si sono dimostrati “non sufficientemente efficaci”. Nella somministrazione all’uomo, “il vaccino candidato è stato ben tollerato, ma le risposte immunitarie indotte sono risultate inferiori a quelle osservate nelle persone guarite da un’infezione naturale, nonché a quelle osservate con i vaccini autorizzati contro il Covid-19”, ha dichiarato l’Istituto Pasteur in una propria nota.

Mentre dunque l’Istituto Pasteur si prende tempo per approfondire le proprie ricerche, e quindi si chiama fuori dalla corsa forsennata ad immettere un vaccino a tutti i costi sul mercato, sui vaccini già esistenti si moltiplicano le perplessità.

Nei prossimi giorni l’Ema, l’agenzia per il farmaco europea, dovrebbe concludere l’iter per l’approvazione del preparato dell’azienda britannico-svedese AstraZeneca, ma intanto in Germania sono uscite pubblicazioni che sostengono che il vaccino avrebbe un’efficacia sulle persone anziane di età superiore ai 65 anni non superiore all’8%. Considerato che l’età media dei deceduti in Europa Occidentale è di 80 anni, e che pertanto questa dovrebbe essere la popolazione da proteggere maggiormente, ci si chiede se i rapporti costi-benefici di questo prodotto non siano assolutamente negativi.

Gli esperti tedeschi hanno manifestato hanno perplessità su come è stata progettata la sperimentazione del vaccino per un’apparente mancanza di partecipanti più anziani negli studi clinici, e sottolineano che Ema ha chiesto ad AstraZeneca di fornire ulteriori dati, al momento non disponibili. Se il vaccino AstraZeneca non potesse essere usato sugli over 65 ci sarebbero enormi conseguenze sui piani di vaccinazione in tutta Europa. Avremmo un vaccino “per giovani”, dove il tasso di mortalità è infinitesimale, che sarebbe di ben poca utilità per l’eradicazione dell’epidemia.

C’è poi la questione dei contratti:  stiamo assistendo alle indadempienze contrattuali di Pfeizer, la quale, evidentemente, aveva fatto male i suoi calcoli, il che sarebbe comunque un errore molto grave, oppure ha giocato bleffando, aggiudicandosi una enorme fetta di mercato senza neppure avere la merce pronta o programmata da consegnare. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen  durante il World Economic Forum di Davos ha bacchettato i produttori di vaccini, ricordando loro  che “devono rispettare le consegne”.

In realtà l’Europa avrebbe dovuto stipulare contratti che non fossero delle concessioni totali nei confronti delle aziende farmaceutiche, fino a sollevarli dall’impegno di risarcire i danneggiati dai vaccini. Quello che è stato concesso a Pfeizer e Moderna ora lo si vorrebbe rivedere per i prodotti imminenti e futuri, a partire anche qui dall’AstraZeneca alla quale viene chiesto da Bruxelles di togliere la clausola di segretezza dal contratto.

In Gran Bretagna qualcuno sospetta che questo improvviso rigore morale richiesto negli accordi contrattuali trovi spiegazione nel fatto che l’azienda è inglese, e che quindi – dopo la Brexit – questa possa essere una forma di ritorsione da parte dell’Unione Europea. Infine, uno dei più promettenti vaccini in via di sviluppo, quello del colosso francese Sanofi (che è la stessa ditta che produce l’Idrossiclorochina) sta subendo ritardi nella preparazione, e non potrà essere pronto che nell’autunno.

Un vero peccato, dato che quello di Sanofi sarà un vaccino tradizionale, e non una terapia genica che utilizza mRna. Più sicuro, e anche più etico, dal momento che non vengono utilizzate cellule di embrione umano. Insomma: con buona pace di chi si illudeva di un grande sforzo collettivo della comunità scientifica, quella dei vaccini è una corsa dove i concorrenti non si risparmiano colpi bassi. Ci sarebbe da augurarsi che l’opinione pubblica si rendesse conto di essere stata ampiamente illusa, e che il vero modo di sconfiggere l’epidemia è quello di puntare anzitutto sulle terapie.

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