Recuperiamo la privata salvezza del libero “dire”. Altrimenti riappicheranno i roghi – Francesco Carraro

Per rilanciare il tema della liberta’ di informazione , proponiamo questo articolo tratto da www.byoblu.com:

La libertà di espressione artistica ci ha messo secoli interi a liberarsi dai lacci e lacciuoli della morale. Il fatto che l’estetica sia una riserva inespugnabile dall’etica, è un concetto relativamente recente.

Nel Rinascimento, per capirci, il capolavoro assoluto di Michelangelo (il giudizio universale della Cappella Sistina) era pieno di nudi. E quelle nudità espresse con ineguagliata finezza artistica furono considerate ben presto provocanti a sufficienza da meritare una lodevole “mascherina” sulle vergogne dei beati e dei dannati: i famosi “braghettoni” di Daniele da Volterra.

Poi, i pietosi veli furono rimossi, ma non tutti. Alcuni, i più antichi, sono stati lasciati al loro posto, proprio per la paradossale valenza storica (e, in qualche modo, artistica).

Sta di fatto che la libertà creativa di esprimersi ha trionfato, ma a prezzo di sforzi immani. E non certo una volta per tutte, e nemmeno una volta per sempre; nonostante Benedetto Croce, per intenderci.

Se è vero, com’è vero, che i capolavori artistici sono tutt’ora nel mirino dei fanatici islamici. Che barbari, i talebani, nevvero? Non hanno ancora inteso che l’arte vive e prospera solo nella misura in cui la si svincola da ogni preoccupazione deontologica, pedagogica, didascalica.

Ma ragioniamoci sopra. Siamo così diversi da loro? O siamo, piuttosto, abbastanza vicini allo stesso ardore puritano, sia pure in un campo (per ora) differente da quello squisitamente artistico?

Consideriamo, ad esempio, la libertà di espressione del pensiero. Non parlo dell’istigazione a delinquere, né delle ingiurie, né della diffamazione, né dell’esercizio abusivo di una professione riservata, come quella dei medici. Parlo della pura, semplice, elementare manifestazione del pensiero. La quale, cari miei, ebbe anch’essa i suoi problemi per guadagnarsi di che sopravvivere, al pari degli stracci pudichi sui poveri ignudi del Buonarroti.

La Santa Inquisizione la censurava in nome di un “bene pubblico superiore”. E Giordano Bruno finì in fumo in Campo de’ Fiori. Nell’Unione Sovietica e nel Reich di novecentesca memoria, per il solito “bene pubblico superiore”, gli scrittori “strani” finivano nei gulag e i libri “eccentrici” sul rogo.

Ora, torniamo all’oggi. E riflettete su quante volte –  sempre più spesso, con sempre più insolente e sfacciata prevaricazione –  la sacrosanta libertà di cui sopra viene conculcata.

Viviamo un’era di totem, ma soprattutto di tabù. In primis, ovviamente, per la “Rivelazione” (accettata e filtrata dai media di regime) sui fatti della pandemia. Chi si espone, ragionandoci, su lockdown, mascherine, vaccini, eccetera eccetera rischia grosso.

Ed è ormai quasi più probabile essere censurati anzichenò; soprattutto sul web, specialmente dai big delle piattaforme “social”. E sapete qual è la ricaduta peggiore? Che una maggioranza via via più estesa e convinta di persone lo giudica “normale”, anzi addirittura “giusto”.

Dopotutto, è una questione di “salute”, c’è di mezzo il “nostro bene”. Siamo, precipitevolissimevolmente, avvitati in un viaggio nel tempo al contrario, verso i secoli bui dell’oscurantismo del “Bene”.

Un ritorno in grande stile all’Impero dell’Etica. Urge recuperare, da parte di tutti, la coscienza di quanto sia più importante (persino di una malintesa “salute” pubblica) la privata salvezza del libero “dire”. Altrimenti riappiccheranno i roghi.

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