Questo “triangolo nucleare” in Piemonte è uno dei posti più pericolosi d’Italia

Condividiamo questo articolo di Giorgio Ghiglion, pubblicato sul sito internet Vice.com il 17.12.2015.

Il 96% delle scorie nucleari esistenti in Italia sono stoccate in un unico sito a Saluggia (VC), a pochi metri dalla confluenza fra la Dora Baltea ed il Po, a rischio esondazione.
In caso di incidente grave, causa straripamento dei fiumi, si rischierebbe di rendere inabitabile per millenni una parte importante della Pianura Padana, con la necessità di abbandonare completamente intere città lungo il corso del Po e del Mar Adriatico.

Secondo il premio Nobel Carlo Rubbia nell’anno 2000 dichiarò che “se il livello del fiume fosse salito ancora di pochi centimetri avremmo inquinato la Dora, il Po e l’Adriatico, con un disastro di proporzioni assai maggiori rispetto a Chernobyl”.

Stupisce come i vari governi si succedano senza mai affrontare questo gravissimo problema.

Buona lettura


“È difficile trovare un posto più pericoloso”: Saluggia ospita da anni il 96 per cento delle scorie nucleari italiane, in un’area a forte rischio.

Saluggia è un piccolo centro fra Torino e Vercelli, famoso per la coltivazione di un tipo di fagiolo nano molto apprezzato da buongustai e gourmet, e per ospitare circa il 96 per cento delle scorie nucleari italiane.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Saluggia queste scorie non le ha prodotte, perché non ha mai ospitato una centrale nucleare (l’unica della zona è quella di Trino Vercellese, a circa 20 chilometri di distanza).

Come una pacifica “capitale del fagiolo” sia diventata la discarica nucleare d’Italia è una storia che risale alla breve era atomica italiana.

In quell’area c’era solo il reattore Avogadro, il primo reattore nucleare sperimentale mai costruito in Italia e spento nel 1971. Oggi è utilizzato come deposito per conservare il materiale radioattivo, destinato a essere spedito in Francia per il riprocessamento.

Nel 1970 però viene aperto l’impianto di riprocessamento Eurex, acronimo che sta per Enriched URanium Extraction, destinato a riprocessare il combustibile nucleare utilizzato nelle altre centrali per ricavarne materiali utili.

“Qui si faceva il lavoro più contaminante, il riprocessamento: consiste nel tagliare a fette le barre per estrarre il plutonio, che può essere utilizzato anche per applicazioni militari,” spiega a VICE News Giampiero Godio, di Legambiente Vercelli.

E così che a Saluggia arrivano sia le barre dalle quattro centrali italiane (Trino, Caorso, Montalto di Castro, Latina e Sessa Auruca) che materiali radioattivi provenienti da altri paesi—come le lamine della centrale olandese di Petten (ora spedite negli Stati Uniti) o le barre canadesi provenienti dalla centrale nucleare di Pickering, sul lago Ontario.

Le attività di Eurex si fermano nel 1984, qualche anno prima del referendum che sancisce l’addio al nucleare italiano. L’impianto chiude ma le scorie rimangono: ad oggi la struttura di Saluggia ospita circa 2.886 metri cubi di rifiuti radioattivi, da quelli di prima categoria – la cui radioattività decade in qualche anno – fino a quelli di terza, ossia i rifiuti liquidi risultato del riprocessamento, la cui radioattività decade solo dopo centinaia di migliaia di anni.

Per trovare queste scorie bisogna uscire dal paese e recarsi in aperta campagna, in un’area chiamata “La Suta” (in dialetto piemontese “di sotto”) nella golena della Dora Baltea, cioè l’area fra il fiume e il suo argine.

I depositi nucleari sono infatti circondati da tre corsi d’acqua: la Dora Baltea – appunto – e i canali Cavour e Farini, che rendono la zona un’isola di forma triangolare e uno dei posti più pericolosi d’Italia, in caso d’inondazione.

Come spiega Giampiero Godio: “Siamo a 30 metri dalla Dora Baltea e poco più in là c’è il Po, un eventuale rilascio di radioattività avvelenerebbe tutta la Pianura Padana e l’Adriatico.”

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Senza contare che in quest’area passa anche la falda acquifera più importante del Piemonte, che a un chilometro e mezzo dal deposito viene captata nei pozzi dell’Acquedotto del Monferrato—il più grande del Piemonte, che serve circa 150 comuni.

“È difficile trovare un posto più pericoloso, anche se uno ne sceglie a caso sulla cartina dell’Italia non ne trova uno così pericoloso.”

Che Saluggia abbia un grosso problema con le sue scorie nucleari non lo dice solo Legambiente. La zona è a forte rischio idrogeologico, e negli ultimi vent’anni ha subito tre esondazioni durante forti alluvioni.

L’ultima nel 2000 è stata così grave che il premio Nobel Carlo Rubbia, allora presidente di ENEA (Energia Nucleare e Alternativa, l’ente che ha gestito gli impianti nucleari italiani fino al 2003) ha parlato di “catastrofe sfiorata,”spiegando che “se il livello del fiume fosse salito ancora di pochi centimetri avremmo inquinato la Dora, il Po e l’Adriatico, con un disastro di proporzioni assai maggiori rispetto a Chernobyl.”

Negli anni successivi non sono mancati gli incidenti “minori.” Nel giugno del 2004 sono state individuate fessurazioni nella piscina dell’impianto Eurex, che hanno contaminato falda acquifera superficiale, e nel 2012 c’è stata una perdita di acqua radioattiva dalla vasca WP 719, che raccoglie le acque contaminate. In entrambi i casi – per fortuna – si è trattato di fatti di lieve entità, con contaminazioni al di sotto dei limiti.

Secondo Giampiero Godio la scelta di mettere un impianto nucleare vicino a un fiume è dettata solo da esigenze di segretezza: “Per fare questo avevano scelto un luogo poco visibile, a Saluggia quando si parla di quest’area la si chiama la suta, là sotto, cioè fuori dalla vista.”

“Non c’era nessun altro motivo di metterlo vicino al fiume, dato che non serve acqua per il raffreddamento. Certo l’impianto scarica delle acque debolmente radioattive ma bastava fare un condotto, non c’era nessuna ragione per costruire così vicino a un fiume.”

Quando l’Italia ha deciso di abbandonare il nucleare “si è cristallizzata la situazione esistente e tutto è rimasto dov’era, tranne quel poco che nei decenni successivi hanno mandato all’estero,” spiega a VICE News Umberto Lorini, direttore-editore della Gazzetta di Vercelli. “Il sito di Saluggia, quindi, si è trovato, e ha mantenuto in loco tutto quello che era stato portato qui.”

Abitante di Saluggia e figlio di dipendenti dell’impianto di riprocessamento, Lorini rifiuta l’etichetta di catastrofista quando parla della pericolosità delle scorie di Saluggia. “Un’accusa che sovente si rivolge agli ambientalisti è: hai la sindrome Nimby, non lo vuoi nel tuo cortile. Beh, in questo caso si sbagliano: io sono di Saluggia, ma in caso di incidente e di contaminazione delle acque i problemi non sarebbero tanto nel mio cortile, quanto nei cortili dei miei vicini: tutti i territori che stanno a valle e, in caso di contaminazione della falda profonda, anche di quelli che attingono l’acqua dall’Acquedotto del Monferrato.”

“Siccome il centro abitato di Saluggia è a monte degli impianti nucleari, paradossalmente il mio paesello sarebbe meno toccato: ad essere più colpiti sarebbero tutti i territori a valle di Saluggia.”

Per evitare disastri la soluzione migliore è quella di trasportare i rifiuti in un’altra area meno a rischio. Ancora meglio sarebbe un deposito nazionale delle scorie radioattive, ma è più facile a dirsi che a farsi.

Fino ad oggi però l’unico paese ad aver ideato un deposito per le scorie ad alta radioattività è la Finlandia che, ad Onkalo, ha creato una struttura a 450 metri di profondità dove ospitare i rifiuti nucleari per i prossimi centomila anni—mentre esistono depositi nazionali per scorie a bassa e media attività in diversi paesi europei.

In Italia dopo il tentativo del governo Berlusconi di creare un deposito nazionale a Scanzano Jonico nel 2003 (che ha portato a dieci giorni ininterrotti di proteste e al frettoloso ritiro del decreto legge) non è stato individuato nessun altro sito.

In mancanza di un deposito nazionale, la soluzione sembra essere quella di costruire nelle aree già esistenti, anche se sono a rischio idrogeologico. Così la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), la società pubblica che si occupa dello smantellamento dei siti nucleari, sceglie di consolidare la sua presenza a Saluggia, costruendo nuovi depositi temporanei, sempre nell’area de “La suta” e potenziando le misure di sicurezza con un muro anti-alluvione di 5 metri d’altezza.

L’idea di nuovi depositi però non è mai piaciuta ai locali, che già nel 2005 sono scesi in piazza per protestare contro il nuovo deposito D2, destinato alle scorie solide.

La costruzione però viene approvata lo stesso, grazie a un ordinanza del commissario straordinario al nucleare—l’allora presidente Sogin Carlo Jean, un militare di lungo corso già consigliere militare di Francesco Cossiga.

Nonostante la partenza dei lavori ritardi per ben 3 anni, il comune di Saluggia concede una proroga; a firmare l’ordinanza è l’assessore all’Urbanistica Ravetto, che secondo diverse fonti avrebbe lavorato anche con Sogin. Eppure, nonostante le accuse contro un potenziale conflitto di interessi fra controllati e controllori, e un tentativo di bloccare le betoniere, oggi i lavori del deposito D2 sono quasi terminati.

Al deposito D2 sarà poi affiancato l”impianto Cemex, dove cementare e condizionare i circa 260 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi, i cui lavori procedono però a rilento, secondo alcuni anche perché intorno all’appalto è stato scoperto un giro di tangenti da parte della cosiddetta “cricca dell’Expo.” I rifiuti cementificati saranno poi ospitati nel deposito D3, ancora da costruire.

Di deposito nazionale si torna a parlare nel 2010, con un provvedimento da parte del governo Berlusconi che incarica la Sogin di stilare una mappa con i possibili siti idonei dove costruirlo entro il 2024. Il processo per arrivare al deposito nucleare prevede alcune tappe e il coinvolgimento delle comunità locali. Sulla base dei criteri di localizzazione redatti dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) la Sogin si incarica di creare una Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI).

A questo punto la palla passa prima all’Ispra che può accettarla o stravolgerla, e poi ai ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente. Dopo l’eventuale approvazione la lista diventa pubblica, dando il via ad una serie di consultazioni con i comuni idonei interessati ad ospitare il deposito nazionale e l’annesso parco tecnologico (l’opera porta una grossa quantità di posti di lavoro, quindi non sono escludere auto candidature), fino a trovare la sede definitiva per le scorie italiane.

A questo ne verrà aggiunto un altro, il D3 (ancora da costruire) dove, in barba alla pericolosità dell’area, verranno sistemati temporaneamente i rifiuti liquidi destinati all’impianto di cementificazione delle scorie chiamato Cemex, i cui lavori procedono però a rilento, secondo alcuni anche perché intorno all’appalto è stato scoperto un giro di tangenti da parte della cosiddetta “cricca dell’Expo.”

Da qualche anno però l’idea del deposito nazionale è tornata in auge, tanto portare la Sogin a creare una mappa dei siti idonei e a pensare di costruirlo entro il 2024.

Un bellissimo progetto che pero, nonostante le buone intenzioni, si arena quasi subito. Secondo Umberto Lorini: “La Sogin ha preparato una mappa chiamata CNAPI (Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il deposito), e mesi fa l’ha consegnata ai Ministero. Lì si è bloccato tutto: l’estate scorsa è stato chiesto al ministro dell’Ambiente Galletti quando sarà pubblicata la Carta; il ministro ha risposto che erano necessari ancora approfondimenti.”

“Il Governo e Sogin avevano preparato un programma: individuiamo il sito ed entro il 2024 costruiamo il deposito. Se tutto si blocca già a partire dalla Carta delle Aree Potenzialmente Idonee, è ben difficile che si riesca a costruirlo. La Sogin è l’unico caso al mondo di un’azienda che pubblicizza un prodotto inesistente. Perché il deposito nazionale non c’è,” è il parere di Lorini.

Oggi sono in molti a pensare che il deposito nazionale non arriverà nonostante le parole della Sogin, e che grazie ai nuovi depositi Saluggia potrebbe essere destinata a diventare di fatto il vero deposito nazionale delle scorie radioattive.

“Il deposito D2 ha delle caratteristiche edificatorie molto simili a quelle di un deposito definitivo,” dice Paola Olivero, il consigliere comunale di centrosinistra che nel 2012 ha denunciato uno sversamento dalla vasca WP19.

Il sospetto di Paola Olivero sembra trovare conferma anche nelle richieste della Sogin, che vuole raddoppiare il deposito D2 – ora a due campate – per farlo diventare a quattro campate per un totale di 40mila metri cubi—mentre il deposito D3 dovrebbe essere finito entro il 2019, cioè pochi anni prima dell’apertura del deposito nazionale prevista per il 2024.

“Il paradosso è che i criteri per il deposito nazionale dicono che Saluggia è inidonea, e mentre lo dicono costruiscono nuovi depositi – continua Lorini -, gli stessi criteri che sono adottati per il deposito nazionale non vengono rispettati qui,” è il parere di Olivero.

Sarebbe impreciso però dire che “gli scomodi vicini” nucleari sono stati imposti a colpi di ordinanze e conflitti di interesse: la maggior parte delle decisioni della Sogin sono state avvallate dalle amministrazioni comunali di Saluggia nella più assoluta legalità.

La parola chiave per evitare problemi è stata, secondo alcuni, “compensazioni,” ovvero i soldi che lo Stato dà ai comuni che ospitano impianti nucleari (e a quelli limitrofi). Saluggia riceve circa 1 milione di euro all’anno. Una cifra importante per un piccolo comune di soli quattromila abitanti, i soldi infatti non sono dati in relazione al numero di abitanti ma alla quota di radioattività presente e, dato che Saluggia ha quasi la totalità delle scorie radioattive italiane ha diritto a una grossa quantità di denaro.

Le compensazioni oramai sono entrate come una voce stabile del bilancio cittadino, tanto che – come spiega Olivero, la consigliera comunale – “per come è stato impostato il bilancio del comune dalle ultime due amministrazioni, nel momento in cui non avessimo più questo denaro il comune finirebbe in bancarotta. Le spese hanno oramai superato le entrate, quindi se non ci fossero le compensazioni non si pagherebbero neanche più le bollette.”

In teoria, infatti, le compensazioni dovrebbero servire per opere ambientali. Di fatto, però, sono utilizzate per gli ambiti più disparati, secondo Umberto Lorini: “Alcuni comuni li usano per attività che non potrebbero permettersi, ad esempio dimezzare la retta degli asili nido o non far pagare la Tasi, come ha fatto Saluggia quest’anno.”

“Questo però genera una sorta di sindrome di Stoccolma da parte delle amministrazioni, che sarebbero diventate ostaggio di questa entrata extra. Quando Sogin decide di costruire un nuovo deposito non troverai mai un comune che fa ricorso al Tar per negarglielo. Nessun sindaco dice li lasciamo stare qui perché ci danno soldi, ma di fatto è così.”

Stretto fra le compensazioni e i rischi portati dalle scorie nucleari, il comune di Saluggia ha scelto una terza via: ignorare il problema. Nonostante sia una zona a rischio il sindaco Firmino Barberis non ha divulgato ai suoi cittadini il piano di emergenza da attuare in caso di contaminazione nucleare.

“Le leggi europee, nazionali e persino regionali dicono che deve essere comunicato preventivamente alla popolazione che rischia di essere interessata da una eventuale emergenza,” spiega Godio di Legambiente. “Però lo conosce solo il sindaco che non lo fa vedere a nessuno, e ritiene che sia doveroso non farlo vedere come la prefettura gli ha consigliato”

Il sindaco Barberis, che contattato da Vice News non ha mai risposto alle richieste di intervista, trova invece più pericolosa la presunta infiltrazione di potenziali terroristi armati di droni fra i profughi ospitati in città—e, anche cercando sul sito web del Comune, l’impressione è che di nucleare se ne debba parlare il meno possibile—solo documenti, atti amministrativi e resoconti di consigli comunali ma nulla di organico.

Avere il deposito sul proprio territorio comunale infatti è uno svantaggio di immagine da cui però non ci si può liberare, quindi meglio cercare di far finta di nulla—come ci dice Umberto Lorini, il direttore della Gazzetta di Vercelli.

“Il sindaco dice: siamo il paese dei fagioli, dobbiamo esaltare questo e tacere sul resto, perché a forza di dire che siamo anche il paese dei depositi nucleari rischiamo di danneggiare il nostro prodotto agricolo d’eccellenza. Però avere il deposito sul proprio territorio costituisce un enorme vantaggio economico per il Comune, il cui bilancio ormai dipende in buona parte da queste compensazioni.”

La storia del nucleare di Saluggia è un insieme di omissioni, di scarsa sicurezza e di incidenti tenuti nascosti. Ma è anche una storia di scelte obbligate dettate dall’inerzia della politica che, dai livelli più bassi a quelli più alti, ha quasi sempre scelto d’ignorare il problema.

Individuare un deposito definitivo per molti è una scelta impopolare che rischia di far perdere consensi, quindi meglio passare la mano.

In un certo senso è una scelta facile: un sindaco può fare solo due mandati, le scorie invece hanno un tempo di dimezzamento che può arrivare anche a diecimila anni, e il problema può essere tranquillamente rinviato alle prossime generazioni. Il triangolo di terra fra la Dora Baltea e i due canali è destinato a rimanere la capitale italiana delle scorie nucleari ancora per lungo tempo.

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