Il covid e quelli del “potrebbe accadere”

di Giovanni Lazzaretti

Ritorno a Bergamo

Anna è ritornata a Bergamo, 5 mesi dopo: stessa sala riunioni, larga come un auditorium; stesse persone, una trentina; ma è cambiato tutto.

In febbraio stavano tutti vicini vicini nelle prime file, adesso stanno distanziati e parzialmente mascherati. Anna è delle nostre parti, e non ha preso il covid; invece gli altri, dopo la riunione di febbraio, si sono ammalati tutti. 

Tutti in ospedale, tranne Adele e Angela che sono state curate a casa (Adele ha il marito medico, Angela è moglie di un amministrativo dell’ospedale). Clorochina per Adele, “un antimalarico” per Angela. Effetto collaterale, uno solo: il bambino più piccolo si è pappato qualche pastiglia di antimalarico credendole caramelle. Poi si è presentato alla mamma con una colata di roba bianca dalla bocca, perché evidentemente non erano gustose.

Andrea, mentre era in ospedale, ha saputo della morte della mamma, del papà, e di 4 zii. Augusto è riuscito a blindare il padre in casa prima di finire lui in ospedale. Adesso il papà esce di casa ed è tornato al suo bar: è un po’ solo, perché i suoi amici sono tutti morti.

Le statistiche danno i numeri, importantissimi. Ma non sono in grado di descrivere i veri effetti del “colpo di maglio” che si è abbattuto su Bergamo e su altre province: la distruzione repentina della rete di relazioni unisce alla convalescenza fisica una elaborazione dei lutti in contesti davvero difficili.

Il politico però non può dare sostegno al dolore (se non nelle forme minimali del “mettere a disposizione uno psicologo”) e deve organizzare il futuro basandosi sui numeri. E, quando sono numeri facili, deve evitare di farseli mediare da diagrammi costruiti da “specialisti” o dai bla bla dei giornalisti.

 

Il decreto di Zaia

La visita-pellegrinaggio a Roma che organizzo da 12 anni dura 4 giorni, dal 3 al 6 gennaio. Per il singolo partecipante dura qualcosa in più: il giorno prima c’è la valigia da fare, poi per qualche giorno semmai si racconta agli amici qualcosa delle cose viste.

Per me invece il pellegrinaggio dura parecchio, perché organizzare richiede tempo. In più organizzare non basta, perché occorre trovare un minimo di partecipanti. E sempre col patema delle sorprese all’ultimo minuto.

Insomma sono scusato se il 7 gennaio la mia testa non è a San Martino in Rio, ma è ancora a Roma, e ci resta per un po’: contabilità, archiviazione ben fatta a futura memoria (memoria mia, non la consegno alla Storia), ipotesi di visite per l’anno successivo.

Luca Zaia è quindi scusato anche lui se, con l’emergenza covid finita, la sua testa continua a macinare covid ininterrottamente: l’ha fatto per 5 mesi, prosegue per inerzia, e io lo giustifico pienamente.

Non giustifico però che continui a sfornare decreti.

Il 3 aprile il Veneto aveva 335 persone in terapia intensiva, 1.714 altri ricoverati covid e 6.812 in isolamento domiciliare: il panico era legittimo e il pubblico guardava al lavoro di Zaia con attenzione e con rispetto.

Adesso il Veneto ha 3 in intensiva, 14 ricoverati, 377 in isolamento domiciliare. E quelli in isolamento, poveretti, non sono nemmeno più degli ammalati, ma quasi sempre degli asintomatici che attendono pazientemente un tampone negativo. 

Direi che si possono gestire serenamente 17 ammalati totali in regione Veneto senza inventare nuovi decreti: qualunque patologia vi venga in mente ha numeri ospedalieri più importanti da gestire. 

Zaia che fa un decreto con 17 malati in regione non suscita più rispetto, ma pena.

 

Quelli del “potrebbe accadere”, quelli delle certezze statistiche

Il metodo televisivo del “Andiamo bene, ma…” alla lunga fa ammalare le menti. 

Troverai sempre il “focolaio” da sbattere nei titoli dei TG: solo che ormai i focolai sono statisticamente costituiti da positivi asintomatici, arricchiti da cittadini negativi al tampone che vengono isolati ugualmente per “prossimità con un positivo”.

Ho provato a guardare la situazione globale italiana da quando il 3 giugno si è riaperto il “gigantesco luccicante lunapark” italiano (come lo chiama Luca Ricolfi).

Ospedalizzati: da 6.095 del 2 giugno, a 909 del 10 luglio. Di questi, 653 erano in intensiva il 2 giugno, mentre il 10 luglio sono 65.

Tamponi eseguiti nello stesso periodo: 1.892.329 – Positivi scoperti: 9.124; occorrono quindi più di 200 tamponi per trovare un positivo. Positivo che è poi normalmente un asintomatico, o con sintomi lievi gestibili a casa.

Doveva succedere una catastrofe quando il Napoli vinse la Coppa Italia e la città si scatenò in festa. In realtà non è successo nulla.

E’ inutile che io insista, do la parola a Matteo Bassetti, testo su Facebook.

Matteo Bassetti – 10 luglio 2020, 12.36

Buongiorno. Nonostante i numeri delle persone malate negli ospedali italiani abbiano toccato il punto più basso dall’inizio dell’epidemia con meno di 70 soggetti rimasti in terapia intensiva e poco più 800 in tutti gli altri reparti ospedalieri, la comunicazione sulla situazione del COVID in Italia continua ad essere negativa, allarmistica e catastrofista. Molti quotidiani sottolineano che ci sono ancora troppi focolai e che l’epidemia in molte regioni sembra incontrollata. Ma chi è che si assume la responsabilità di dare queste notizie?

NON E’ VERO!! 

Ci sono nuovi contagi che per la maggioranza riguardano casi di importazione dall’estero e moltissimi tamponi con bassissima carica (i cosiddetti debolmente positivi).

Anziché dire al mondo intero che in Italia abbiamo fatto e stiamo facendo un ottimo lavoro, avendo ridotto significativamente la mortalità dei nostri malati curandoli meglio grazie ai nostri protocolli di trattamento, [sottolineatura mia, NdR] dimettendone ogni giorno dagli ospedali al domicilio moltissimi e facendo il tracciamento con milioni di tamponi di nuove persone positive per isolarle ed evitare nuovi contagi, si continua a terrorizzare la popolazione e spaventare i nostri fratelli europei. 

Ogni giorno ricevo telefonate da amici e colleghi francesi, tedeschi, spagnoli, che mi chiedono come mai in Italia vada ancora tutto così male sul COVID……ma è possibile essere così masochisti? Servono i bollettini tutte le sere, creando l’aspettativa come per i numeri del lotto o le previsioni del tempo?

Continuare a dare numeri senza differenziare se si tratti di nuovi malati con sintomi, di nuovi ricoveri ospedalieri o di semplici contagiati asintomatici non ha alcun senso, se non quello di continuare con il grido “al lupo al lupo”.

Il rischio è che quando poi, magari in futuro, si tornerà a parlare di nuove emergenze vere (che ci auguriamo tutti non si presenteranno, ma non ne abbiamo la certezza) nessuno ci crederà più.

Questo per quanto riguarda l’ottimismo sul presente.

Per l’ottimismo sul futuro do la parola a Giulio Tarro. Poiché la sua intervista è uscita sul sito della Fondazione Nenni, non deve essere molto nota.

Prof. Tarro, alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni come considera la situazione in Italia relativamente alla diffusione del Sars CoV2?

Mi pare che il tutto stia andando bene. Le terapie intensive non sono più sovraffollate da malati di Covid-19 in seguito all’infezione di Sars CoV2. Ora i contagiati da questo virus non presentano, per la stragrande maggioranza dei casi, sintomi. Alcuni, invece, sintomi li hanno ma in forma lieve. Considerato tutto questo, non possiamo che guardare con ottimismo sia al presente che al futuro.

Gli esperti, però, ci dicono che nel prossimo Autunno ci sarà di sicuro una seconda ondata.

Quali esperti?

Per esempio Crisanti, oppure Ricciardi, Guerra, Pregliasco ed altri: tutti ci invitano alla cautela nei comportamenti quotidiani (indossare le mascherine e badare al distanziamento intrapersonale) perché, essi sostengono, fra Ottobre e Novembre prossimi – ma già a partire da Settembre – ci saranno nuovamente casi gravi di infezioni da Sars CoV2.

Intanto cominciamo col dire che tutti quelli che lei ha citato non sono dei virologi. Quindi discettano intorno ad argomenti sui quali non sono preparati. Rimasticano dei luoghi comuni che sono stati ampiamente smentiti dai fatti, anche se i maggiori mass-media non lo hanno riportato perché prediligono una narrazione terroristica piuttosto che aderente ai fatti. Lei ricorda quando Ranieri Guerra dall’alto della sua presunzione tuonò contro i festeggiamenti per la vittoria del Napoli di qualche settimana fa? Egli disse che nella situazione grave in cui l’Italia si trovava, con il virus ancora in circolazione, dare vita ad assembramenti come quello era da incoscienti e che ci saremmo dovuti aspettare decine e decine di casi positivi al Sars CoV2. Non ce n’è stato neppure uno.

Lei come fa ad essere sicuro che nel prossimo Autunno non ci sarà una recrudescenza di infezioni gravi da Sars CoV2?

Perché il Sars CoV2, come ho più volte detto, è un beta-coronavirus. Appartenendo a questa famiglia virale si comporta di conseguenza. Ciò vuol dire che o si adatterà a noi, andandosi ad aggiungere agli altri coronavirus che causano raffreddore e mal di gola; oppure scomparirà come avvenuto per il beta-coronavirus della prima SARS.

Non può, quindi, tornare?

Assolutamente no. Nel senso che se dovessero esserci delle infezioni nel prossimo Autunno, è stupido pensare che saranno gravi come quelle iniziali avute fra Marzo e Aprile 2020. I virus influenzali sono ciclici. I beta-coronavirus no. Per comprendere il Sars CoV2 occorre analizzare la famiglia virale a cui appartiene. Chiaramente sono questioni che sfuggono a persone come Guerra, Ricciardi, Pregliasco e Crisanti perché non sono propriamente dei virologi e quindi non possono padroneggiare in modo appropriato questa branca della scienza.

E allora i focolai che ci sono in Italia in questi giorni?

Si tratta di casi di ritorno. Persone che vengono dall’estero, magari da zone dove vi è una concentrazione maggiore di Sars CoV2, e che tornando o entrando in Italia lo portano sul territorio. Tuttavia nessuno di questi focolai dà luogo a epidemie diffuse né a malattie.

E questo perché il Sars CoV2 ha perduto la sua carica virale?

Certo. Ma anche perché da noi la maggior parte delle persone ha sviluppato le IgG, quindi è immune. Ci sono, ormai, molti studi che certificano quello che sto dicendo.

Si riferisce alla cosiddetta immunità di gregge?

Certo.

A tal proposito è uscito un articolo sulla rivista «Lancet» nel quale si dimostra che con il Sars CoV2 l’immunità di gregge è impossibile da raggiungere.

Questa è una colossale stupidaggine.

Perché?

Semplicemente perché se ciò fosse vero, tutti coloro che sono guariti dal Sars CoV2 e che hanno sviluppato le IgG, dovrebbero già essersi riammalati.

Alcuni hanno avuto una recidiva dell’infezione.

Se sono stati curati con farmaci immunosoppressori come il tanto decantato Tocilizumab sarebbe stato straordinario il contrario. Farmaci di questi tipo impediscono, per questioni legate a malattie autoimmuni come è l’artrite reumatoide, al sistema immunitario dell’uomo di sviluppare gli anticorpi.

Tecnicamente come funziona l’immunità di gregge?

Il nostro sistema immunitario dobbiamo immaginarcelo come la mano destra e la mano sinistra. Entrambe le parti funzionano parallelamente ma non simultaneamente. Supponiamo che la mano destra sia la risposta anticorpale umorale – vale a dire le IgG – mentre la sinistra sia l’immunità cellulare. La maggior parte dei beta-coronavirus sviluppa una risposta immunitaria cellulare in seguito a quella umorale, vale a dire le IgG. L’immunità di gregge va considerata tenendo presente entrambe queste risposte immunitarie.

Quindi possiamo stare tranquilli?

Certo!

Perché bisogna leggere Bassetti e Tarro e lasciar perdere gli altri?

Perché sono capaci tutti di dire che una cosa “potrebbe accadere”. 

Tanto, se poi non accade, non rischiano nulla, perché non hanno espresso certezze.

Quelli che ci servono sono coloro che, visti i numeri e vista la tipologia del virus, esprimono una certezza statistica. E i politici devono agire sulle certezze statistiche, non sui “potrebbe accadere”.

Altrimenti anche in Sardegna bisognerebbe fare dell’antisismica alla giapponese per il fatto che “potrebbe accadere”.

Ci sono in giro due tipi di personaggi: 

  • quelli che dicono “potrebbe accadere”, 
  • e quelli che dicono “i numeri sono quelli che sono e quindi l’emergenza è finita”. 

I primi operativamente non servono a nulla, perché inducono i politici a fare mosse esagerate (i decreti di Zaia) e controproducenti (le spese folli che si fanno e si faranno sulla scuola). 

I secondi dicono la verità, ma non vanno sui media se non occasionalmente; e quindi non riescono a scalfire il clima di terrore, che si mantiene inalterato.

 

Protocollo scuola

Se i politici fossero gente seria, accantonerebbero gli esperti e leggerebbero i numeri per conto loro: sono numeri semplici, non occorre una laurea.

Così potrebbero redigere un protocollo per la riapertura scolastica molto più sensato.

Quali sono i parametri statistici dei quali tenere conto?

1) In Italia ci sono state tre epidemie: epidemia lombarda, epidemia del nord (un nord leggermente corretto: togliere il Friuli, aggiungere le Marche), pseudo epidemia nel resto d’Italia (in diverse regioni ci sono meno morti nel 2020 che nel 2019).

2) L’epidemia è stata principalmente una questione geriatrica (63 morti per milione nella fascia d’età sotto i 65 anni, 2.221 morti per milione nell’età da 65 in poi); il mondo del lavoro si colloca nella fascia sotto i 65 anni; il mondo della scuola a maggior ragione.

3) Il mondo della scuola ha 2 caratteristiche: (a) contiene gli studenti, ossia quella fascia d’età che ha avuto ZERO morti da covid (b) gli insegnanti sono per l’82% circa delle femmine, e nella fascia d’età sotto i 65 anni tra i 63 morti per milione solo il 24% sono donne e il 76% sono uomini.

Di conseguenza.

1) Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli V.G., Lazio, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, riaprono le scuole come sempre, senza alcun intervento. Se infatti andate a prendere i morti 0-65 in queste regioni e li confrontate con qualunque altra causa di morte, i numeri farebbero sorridere; tanto più che la maggioranza dei morti sono morti per cattive cure, perché non c’erano ancora i protocolli citati da Bassetti. Quando hai detto a studenti e personale «lavatevi spesso le mani» (cosa che fa sempre bene) è tutto quello che devi fare.

2) Bolzano, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Piemonte, Trento, Valle d’Aosta, Veneto, riaprono le scuole con qualche cautela in più. Lavarsi le mani, non venire a scuola se ci sono sintomi (non piangerà nessuno per questa restrizione), tenere semmai i genitori fuori dalla scuola per un anno, abolire comunque i ricevimenti generali dei genitori, e cosette simili. Più che per reale necessità, per venire incontro al panico che si smorzerà solo pian piano.

3) La Lombardia invece è un convalescente importante. E qui i singoli sindaci e dirigenti scolastici potranno valutare caso per caso che cosa fare, in piena autonomia e dopo essere stati liberati dalla spada di Damocle della responsabilità penale (con la responsabilità penale addosso si esagera per forza, guidati dalla paura e non dal raziocinio).

4) Distanziare gli studenti (zero morti covid) è un non senso. Al massimo in Lombardia puoi pensare di distanziare gli insegnanti tra loro, e i genitori dagli insegnanti.

***

Volete fare un piano scuola nazionale? 

Allora non siete dei buoni politici, non siete dei buoni amministratori, e non sapete leggere i dati.

Vi toccherà modificare anche le 6 scuole di Positano che hanno visto il covid solo in TV (zero casi registrati).

Vento di follia percorre l’Italia.

«E se poi in autunno capitasse qualcosa?» Basta, vi prego. In autunno capiterà certamente qualcosa: l’esplosione della povertà e della miseria. 

Un meno 10% del PIL ci farà scordare presto le paure da covid. E i soldi spesi stupidamente per modificare la scuola diventeranno l’emblema del vento di follia che annebbia i cervelli.

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