Quella luce in fondo al tunnel

di Francesco Cappello

Piano di Salvezza Nazionale – tds a tasso negativo versus Mes e Recuvery Fund

Scegliere tra le possibilità offerte, da una parte dal piano di salvezza nazionale PSN, a cui si affiancano oggi i titoli di stato a tasso negativo (1), e dall’altra da MES e Recuvery Fund RF (Next Generation EU), non dovrebbe risultare difficile. Tutt’altro.

Statonote (una delle sei proposte del PSN)
Se aveste la possibilità di stamparvi la moneta che vi serve per concretare i vostri sogni/progetti senza incorrere in alcun effetto collaterale, di sicuro preferireste procurarvi così i soldi che vi servono piuttosto che farveli prestare, anzi, non avreste dubbi in proposito per il semplice motivo che in questo secondo caso sapete bene che i soldi ricevuti in prestito prima o poi dovreste restituirli, per di più maggiorati dagli interessi.
Ebbene, a trovarsi nella situazione precedentemente descritta è niente di meno che lo Stato di cui siamo parte. Lo Stato può immettere nel circuito economico, per tutte le esigenze di spesa del Paese, moneta di stato, legale entro i confini del territorio nazionale, o statonote come preferisce chiamarle Antonino Galloni, presidente del Comitato Nazionale Statonote (CNS), per distinguerle dalle banconote che hanno diversa origine. La prima è moneta non a debito a cui non siamo nuovi per averne già sperimentato l’uso sin dal 1966 (governo Aldo Moro con la consulenza di F. Caffè). La quantità di statonote o biglietti di stato da mettere in circolazione è relativa al fabbisogno dello Stato ossia quella necessaria a mobilitare quei fattori produttivi inespressi a cominciare dalla forza lavoro non più in grado di generare ricchezza perché sprecata nella immobilizzazione propria dello stato di disoccupazione, sottoccupazione inoccupazione ecc.
Usare moneta a debito (l’euro è moneta a debito) nel tentativo sempre frustrato di mobilitare tutte quelle energie e quelle risorse sprecate esistenti nel paese che sarebbero in grado di generare ricchezza reale affrontando finalmente quella enorme mole di lavoro che rimane incompiuto, indice di degrado crescente, corrisponde a stringere il nodo del debito con cui ci siamo lasciati incaprettare. Eppure sono in tanti, troppi, a insistere affermando che la scelta giusta per il Paese sia quella di continuare a far crescere il debito pubblico indebitandoci ulteriormente, scelta questa che se aveva un senso quando disponevamo della nostra valuta nazionale, e i titoli di debito li proponevamo solo a soggetti residenti (non anche esteri come oggi), risulta, nella condizione attuale, quanto meno masochista.

Un Quantitative easing a costo zero per finanziare gli stati
Una via d’uscita in grado di salvare, almeno nelle apparenze, l’economia di puro debito, è stata proposta da Von der Lyen, Lagarde e Draghi, i quali consci della instabilità travolgente che minaccia quel paradigma hanno suggerito per affrontare l’attuale contingenza della crisi economica, catalizzata ora da quella sanitaria, che la BCE acquisti i titoli emessi dalle amministrazioni pubbliche reinviandoli poi alle banche centrali nazionali perché li assorbano sottraendoli al mercato. Si pagherebbero in questo modo solo gli interessi e non il capitale. Oggi, gli stati nazionali, come Italia, Spagna, Portogallo, Francia, possono finanziarsi emettendo titoli che vengono di fatto acquistati dalla BCE e detenuti dalle rispettive banche centrali nazionali. Gli interessi, anche qualora fossero positivi, lo stato formalmente li pagherebbe alla propria banca centrale che a sua volta li rigirerebbe alle casse erariali. In pratica una partita di giro. La compagine governativa del nostro paese sembra però orientata verso scelte masochistiche se non suicide.

MESsi a mal partito

Conte comincia finalmente a dire qualche verità sul Mes (2). I soldi del MES sono dei prestiti, non possono finanziare spese aggiuntive… siccome li dovrò restituire vanno ad incrementare il debito pubblico quindi se dovessimo prendere i soldi del MES dovrò intervenire con tasse e tagli di spesa per tenere sotto controllo il deficit“. Subito dopo queste dichiarazioni si sono, però, levate le proteste di Italia viva e Pd.

Recovery fund
Se il Mes, di fatto, continua a minacciare il governo Conte, e soprattutto il paese, tutta la compagine governativa (esclusa, al più, una componente minoritaria dei 5s, quella del virtuoso 110%) insiste all’unisono sulla bontà del Recovery Fund mentre Spagna e Portogallo lo rifiutano e la Francia si mostra assai incerta. Tale rifiuto è facilmente comprensibile a fronte della possibilità di finanziarsi sul mercato piazzando titoli, sempre più spesso a tassi negativi (1); oltretutto il RF veicola condizionalità e tempi di elargizione insostenibili se si considera la drammatica situazione in cui il paese sta precipitando a velocità crescente. Le chiamiamo condizionalità ma comportano l’esautoramento sistematico del Parlamento e in generale della politica italiana che con il RF accetta di delegare all’Ue le scelte politiche ed economiche del paese. Bruxelles, infatti, potrebbe porre il veto su qualsiasi manovra economica che intendesse utilizzare quei fondi ma che non fosse di suo gradimento. Di fatto una sorta di commissariamento permanente del nostro paese.
Qualcuno potrebbe essere attratto dalla parte del RF che viene descritta quale sussidio/sovvenzione, pensando che si tratti di aiuti a fondo perduto. Essi sono però derivanti da un rifinanziamento del bilancio europeo (BE) del quale siamo sempre stati contributori netti. Se si considerano le nuove tasse necessarie a rifinanziare il BE e quanto già versato, si capisce che stanno cercando di renderci appetibile il pacco del RF adornandolo con una polpetta avvelenata di circa 20 miliardi di sovvenzioni nette che sarebbero rese disponibili in un tempo variabile da cinque a dieci anni.

SURE (3) e RF sono prestiti “a tassi agevolati” che dovranno, per fortuna, essere ratificati dai 27 paesi membri che dovrebbero accettare (cosa assai improbabile) le ‘eurotasse’ necessarie quale garanzia per consentire alla Commissione europea di reperire sul mercato le somme dei vari fondi con l’emissione di titoli comuni. Ovviamente non c’è agevolazione che possa superare il vantaggio di poter piazzare autonomamente nostri titoli a tasso negativo, senza alcuna condizionalità, ottenendo immediatamente la disponibilità delle risorse così conseguite (1).
La vera funzione di quei prestiti agevolati, a pensar male, sarà allora quella di depistarci ancora una volta facendoci perdere tempo prezioso nella direzione sbagliata proprio quando sarebbe vitale intervenire tempestivamente in soccorso del paese. Gentiloni, appare cosciente della impossibilità di ottenere quei prestiti e in piena coerenza con il patto di stabilità, seppure sospeso, e le politiche di austerity ha proposto di tassare la prima casa… Il commissario europeo per l’economia, da grande stratega quale è, sembra voler piuttosto agevolare la via verso la catostrofe.

MES, SURE, RF limitano la nostra audoterminazione e la nostra autonomia, ci impediscono di intervenire concretamente per risollevare le sorti del paese, peggiorano gravemente i nostri conti pubblici.
Ribadiamo allora la solita domanda: perché insistere con tali strumenti? Qualora le risorse del RF si concretassero dovremmo sperare che i piani di impiego di quei prestiti siano di loro gradimento. È per questo motivo che arruoliamo task force – che più che agli interessi del paese mirano a soddisfare quelli di grandi multinazionali – con il compito di stabilire eventuali programmi di spesa (30 mld previsti nel solo settore militare) in modo da assicurarci che possano essere confacenti a direttive di governance extra territoriali che scavalcano il Parlamento… condizionalità che somigliano a ricatti se non a veri e propri commissariamenti del paese, della politica nazionale, in ottemperanza ai due vincoli esterni che minano la nostra autonomia di scelta: la appartenenza alla Ue e alla Nato; essi ci costringono ad allineare rispettivamente le nostre politiche economiche e sociali alle ragioni dell’ordoliberismo tedesco e la nostra politica estera nel mediterraneo e nel mondo alle direttive USA. (vedi il mio Non c’è sovranità senza neutralità)

Fare presto e bene: conoscere e affrontare lo stato delle cose nel nostro paese
È a tutti chiaro che per chiudere parzialmente o integralmente le attività di coloro che si sono ulteriormente indebitati per continuare a sperare, a non dichiararsi vinti, falliti, si debba pensare a sostenerli integrando i mancati fatturati a fondo perduto, come hanno fatto, stanno facendo, altri paesi? Si è consapevoli del fatto che tenere aperta una qualsiasi attività con entrate parziali e spese invariate e spesso più gravose conduce inesorabilmente al fallimento? È a tutti chiaro che vanno sostenuti sia i lavoratori dipendenti che quelli autonomi? È a tutti chiaro che in una contingenza così grave ed inedita il motore della ripresa non possono che essere gli investimenti pubblici? A quanto pare no. Qualcuno pensa che i fallimenti generalizzati e i licenziamenti di massa siano salutari?
Piove sul bagnato
La condizione economica in era precovid era già tragica. Non dimentichiamolo (vedi il mio esuberi e rottamazioni. che fare?). Quasi 5 milioni in povertà estrema, circa 9 milioni in povertà relativa, 14 milioni gli inattivi che hanno rinunciato a cercare lavoro né si dedicano alla formazione, 2 milioni di disoccupati; il 12% di chi lavora è sulla soglia della povertà a causa di salari troppo bassi, 4,3 milioni di lavoratori part-time di cui 2 su 3 non per scelta ma perché costretti. Nel frattempo la produzione industriale si è quasi dimezzata. Il settore turistico e il suo indotto ridotti allo stremo. Le imprese a rischio default con il coronavirus sono il 65% delle Pmi italiane; Più di 8 milioni i lavoratori in cassa integrazione mentre, come si sa, il termine del divieto di licenziamento imposto dal governo avrà termine, a meno di proroghe, a fine anno. Secondo la CGIL un milione di disoccupati in più rispetto ai due milioni che già abbiamo. Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps nei primi sette mesi del 2020 si è registrato un crollo delle assunzioni del 38% rispetto all’analogo periodo del 2019. Nel frattempo cominciano i primi provvedimenti nel segno della ripresa delle riforme strutturali nel solco della nostra ormai triste tradizione: quota 100 è in corso di smantellamento (la legge Fornero non è mai stata abrogata) e cominciano i primi attacchi al cosiddetto reddito di cittadinanza. In prospettiva è prevedibile una recrudescenza delle politiche di avanzo primario ormai quasi trentennale. Blindare nuovamente il paese, nei modi in cui si sta facendo, senza adeguato supporto ai cittadini, alle famiglie, alle imprese, piccole o grandi che siano, equivale a condurlo al massacro.
Scriveva Karl Marx: “Se una nazione sospendesse il lavoro, non dico per un anno, ma anche solo per un paio di settimane, quella nazione creperebbe. Questo lo sa anche un bambino”

Viceversa, le grandi possibilità di finanziamento endogene, inscritte nelle sei proposte del piano di salvezza nazionale PSN, dicono forte e chiaro che non abbiamo bisogno di prestiti! Adottando tali strategie potremmo permetterci di finanziare virtuosamente la spesa pubblica con risorse che non ci indebitano ulteriormente: moneta di stato, certificati di compensazione fiscale, riattivazione di banche pubbliche (il sistema bancario è ormai privato e sempre più controllato da gruppi esteri), conti di risparmio pubblici e strategie come il sire o il baratto finanziario 4.0 ecc. (vedi interviste su PSN) anche perché sappiamo bene che quando il comparto privato è in crisi, gli investimenti nel pubblico e il sostegno alle attività economiche private è d’obbligo se si vuole la ripresa dell’economia reale.

La crisi era già strutturale
Il 70% delle attività produttive hanno una redditività continuamente decrescente anche a causa di una supertassazione che assottiglia i margini di profitto delle aziende. Sono sempre meno le aziende che possono contare su una redditività sicuramente positiva (30%).
I lavori di cura del territorio e di cura alla persona sono anch’essi a redditività negativa così come quelli di tutela, manutenzione e ricerca intorno al nostro grande patrimonio storico-artistico.
Sinora il sistema basato sull’economia di puro debito aveva retto perché le entrate delle aziende avevano permesso di ripagare gli investimenti effettuati nonché gli interessi alle banche e le tasse allo Stato. Tale sistema di cose basato sull’uso di sola moneta a debito è divenuto intrinsecamente instabile e perciò non più sostenibile da quando la redditività della maggior parte delle attività produttive è vicina o è addirittura scesa sotto quota zero. Urge perciò l’uso di moneta non a debito per ridare stabilità al sistema coinvolgendo nella creazione di ricchezza tutti coloro che ne sono stati esclusi remunerandoli con moneta non a debito. Non sono i soldi a debito che mancano. Manca l’uso di strumenti di finanziamento non a debito, gli unici in grado di valorizzare tutta quella forza lavoro non utilizzata, in grado di affrontare la produzione di beni pubblici seppure a redditività negativa.

La luce in fondo al tunnel
Perché la luce in fondo al tunnel non sia quella del treno, necessitiamo attivare investimenti verso una spesa pubblica quale risposta ai bisogni interni (vedi il mio Scopo dell’economia è la risposta ai bisogni interni).
La messa in opera delle strategie di finanziamento proposte dal piano di salvezza nazionale ci permetterà di reindirizzare quella forza lavoro che risulterà in eccesso man mano che l’intelligenza artificiale sarà applicata a quei settori della produzione anche intellettuale, verso la produzione di lavori di cura del territorio, delle persone, la formazione a tutti i livelli, la ricerca, il reintegro dei dipendenti pubblici che il blocco del turn over aveva impedito, consentendo un adeguato abbassamento della durata della giornata lavorativa e la riduzione dell’età pensionabile, innalzando nel contempo adeguatamente le retribuzioni medie di lavoratori e pensionati (4).

(1)
Da qualche tempo i titoli di stato, compresi i nostri, sono ritenuti un investimento relativamente sicuro, alla stregua di un bene rifugio. Chi li compra accetta di dare più di quanto riceverà in saldo. È questo l’effetto dei tassi negativi su alcune categorie di titoli di stato italiani. In pratica chi li compra sa di pagare per ricevere rifugio per i propri capitali (dai 100 ricevi 99…). In pratica più titoli piazziamo e meglio è dal punto di vista dei conti pubblici soprattutto se impiegassimo virtuosamente quelle risorse. Si tenga presente che la domanda dei nostri titoli è sempre maggiore all’offerta che ne facciamo.

(2)
Abbiamo contribuito a finanziare il MES con 14,5 mld ma dovremo arrivare a 125. Il MES è uno strumento di finanziamento previsto quale ultima spiaggia, quando un paese non riuscisse più a finanziarsi sui mercati finanziari. I finanziamenti del MES ce li daranno se richiesti prestandoceli a tassi positivi e con condizionalità di spesa in forma di piani di aggiustamento strutturale (tagli lacrime e sangue della spesa pubblica). Quali siano le conseguenze dell’indebitare ulteriormente il nostro paese ricorrendo ai finanziamenti del MES, e agli altri strumenti finanziari concepiti dall’eurogruppo, lo capiremo dolorosamente quando risulterà chiaro che l’adesione ad essi provocherà una perdita di fiducia da parte di chi compra i nostri titoli di stato sui mercati finanziari, divenuti più rischiosi in quanto subordinati e quindi più onerosi dal punto di vista degli interessi da pagare ai futuri detentori di tds. In pratica rischieremmo di rovinarci l’attuale congiuntura positiva che ci permette di piazzare tds a tasso negativo (restituiamo meno di quanto ci viene prestato)
I nostri sforzi di debitori prevedono, infatti, che saremo obbligati ad onorare, prima di ogni altro debito, quelli contratti con il MES e gli altri strumenti di finanziamento come ad esempio lo SUR (da 30 a 40 mld) che è stato già richiesto per disoccupazione e cig. Questi nuovi creditori saranno necessariamente privilegiati rispetto ai soliti mercati finanziari. In più il ricorso a tali prestiti sarà una esplicita dichiarazione di difficoltà del nostro paese che i mercati finanziari non perderanno l’occasione di sfruttare. Il Meccaninismo Europeo di Stabilità MES e le Outright Monetary Transactions OMT, sono armi di distruzione di massa della ricchezza e della sovranità dei paesi vittime della guerra economica. Essi sono stati predisposti per quei paesi che, in seguito a downgrading decretato dalle agenzie di rating, non riuscissero a continuare a piazzare i propri titoli sui mercati finanziari portando il paese in fallimento (default). Il MES, i soldi se li fa prestare dagli stati e siccome non saranno sufficienti, il resto arriveranno da prestiti internazionali – orditi dalla speculazione internazionale. In questo caso, infatti, sono previsti “aiuti“ consistenti nell’applicazione del memorandum del MES agito dalla Troika o dalla sola BCE nel caso delle OMT con annesso commissariamento e governo tecnico secondo i criteri dettati dalla BCE, dalla Commissione europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Se lasciassimo che si realizzasse questo scenario, cascando nella trappola che ci preparano da tempo, ci dovremmo aspettare di tutto: dai prelievi forzosi dai conti correnti (patrimoniali), al dimezzamento dei salari pubblici e delle pensioni, il blocco dei conti correnti, la smaterializzazione della moneta, la svendita selvaggia di beni pubblici, la drastica riduzione della spesa finalizzata ai servizi pubblici ecc. ecc.. Il luogo del contendere è perciò, oggi, sulla natura degli strumenti più opportuni per affrontare la crisi sanitaria e lo shock economico che ne sta emergendo mirando ad una ripresa in tutti i settori dell’economia che già prima della crisi sanitaria era già in evidente e conclamato stato di sofferenza.

(3) SURE Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency si tratta di prestiti che dovrebbero essere sbloccati per finanziare la cassa integrazione per un ammontare di 27,4 miliardi.

(4) il salario medio per addetto in Italia dal 2013 al 2018 è più basso rispetto alla media europea (27.283 euro) di ben 7.650 euro.
La spesa in ricerca e sviluppo è pari all’1,4% del PIL rispetto ad una media europea intorno al 2,5%.
Un lavoratore italiano lavora in media 1700 ore all’anno – 1500 ore in Francia – 1.400 ore in Germania.

https://www.francescocappello.com

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