Quando Standard and Poor’s copia il rating da Warren Mosler

di Massimo Bordin

Da quando che il Presidente della Francia Emanuel Macron si è fatto un selfie con i Village People credevo di aver ormai visto tutto nella vita. Fino a che…

Fino a che nella tarda serata di venerdi 26 ottobre non è uscito l’attesissimo report dell’agenzia americana Standard&Poor’s. Molti si aspettavano un doppio declassamento, che avrebbe fatto precipitare l’Italia tra i paesi il cui debito non è più ritenuto una forma d’investimento sicuro (“junk”). Come scritto più volte tra questi pixel, le agenzie si guardano bene dal fare una cosa del genere per il semplice motivo che il risparmio gestito americano (Blackrock, Pimco, JPMorgan, ecc) non può permettersi un rischio sistemico dell’Italia. Dunque, chi scrive si aspettava esattamente quello che è successo: un banale rimbrotto, con sottolineatura dei motivi che non hanno consentito all’agenzia di conferire un rating più generoso.

Ma tra i dettagli segnalati dagli analisti di SP, ecco la vera sorpresa, il fatidico coniglio che esce dal cappello del mago: l’Italia è a rischio perchè non è un paese sovrano!

Taaaak.

Da non crederci, neanche il più  sordido complottista poteva credere ai propri occhi  nel leggere una cosa del genere:

«I rating dei debiti sovrani emessi in valuta locale  tendono ad essere più alti di quelli dei debiti in valuta estera, poichè nel primo caso la solvibilità del debito emesso in valuta locale può essere supportata da una serie di poteri unici di cui dispongono gli Stati all’interno dei loro confini, compreso il potere di emissione della valuta locale.
Per questo motivo il rating degli Stati che appartengono ad una unione monetaria e che dunque hano ceduto l’emissione della moneta ed il controllo del tasso di cambio e una banca centrale sovranazionale, sebbene questi mettano debito in quella che formalmente può essere considerata una valuta locale, secondo i nostri criteri sono uguali ai rating degli Stati che emettono debito in una valuta estera»

Il testo sopra riportato, estratto dal rating di S&P non ha bisogno di traduzione. Ma siccome non mi fido di nessuno, neanche dei lettori, traduco lo stesso:

per l’agenzia americana l’Italia è indebitata con una  valuta straniera (l’euro) e quindi è più a rischio dei paesi che sono indebitati con una propria valuta nazionale, i quali, com’è ovvio che sia, godono di norma di maggior sicurezza perchè garantiscono il debito tramite banca centrale.

Chissà cos’ha ispirato Standard & Poor’s a servire su un piatto d’argento una simile chicca sovranista. Forse per lisciare il pelo a Donald Trump che odia il dumping della Germania sui cambi? Forse hanno pensato di anticipare “dolcetto o scherzetto” di Halloween?

Più probabilmente hanno copiato dal banco di Warren Mosler, fondatore della neokeynesiana MMT. Per Mosler, portato in Italia la prima volta da Giovanni Zibordi e poi in tour economico da Paolo Barnard:

“C’è una diffusa disinformazione circa il funzionamento della moneta moderna.  Anche negli Usa, per esempio, sono tutti convinti di non avere più soldi e li chiedono in prestito all’estero. Questa è una stupidaggine colossale. Mi meraviglio del fatto che non si sia ancora acquisito il fatto che le banconote non valgono nulla di per sé, tant’è vero che vengono triturate appena depositate in banca.”

Affermazioni di questo tipo, che pur nella loro sconcertante semplicità hanno bisogno di tempo per essere capite veramente ed accettate, si sono insinuate solo di recente nel modo di ragionare dei politici e dei loro spin doctor. Ma è accaduto, altrimenti non si spiegherebbero le parole messe nero su bianco dalla temutissima Standard and Poor’s.

Com’è stato possibile? Gli esponenti mosleriani della MMT, contrariamente a quanto accaduto in Italia, hanno fatto carriera politica. Il caso più noto è quello di Stephanie Kelton, oggi presente come democratica di minoranza dentro la commissione bilancio del Senato USA. Lo dico perchè i costrutti liberisti in  America stanno perdendo colpi persino tra gli accademici. Da questo punto di vista noi siamo ancora lontani anni luce (le università in Europa sono ancora strapiene dei dinosauri economici ordoliberisti). Dunque, senza dubbio vi è un ritorno sia del mercantilismo che di Keynes (pur nell’enorme differenza tra le due dottrine) con conseguente possibilità di produrre analisi diverse da quelle imposte per lustri dal pensiero unico.

Detto questo, nessuno riesce a togliermi dalla testa che la diplomazia italiana si è lavorata con discreta efficacia Donald Trump ed il suo cerchio magico. E le agenzie di rating vivono e prosperano in America.

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