QUANDO SORGERÀ DAL LETARGO DEMOCRATICO UN FRONTE ALTERNATIVO?

Qui la versione dell’articolo per YouTube

 

Parcellizzazioni tattiche e ideologiche, tematiche oltre-politiche e conflitti d’interesse impediscono la nascita di un sempre più necessario fronte unitario alternativo al blocco corporativo globale.

Non ci rimane altro che credere in “Q”?

 

Questo nuovo articolo è, per certi versi, una continuazione del precedente (a cui ho dedicato anche un video sul nuovo canale YouTube), nel quale evidenziavo 16 macro punti di questa crisi rimandando a quanto andrò qui a dire, più attinente al “cosa fare” da un punto di vista politico.

Credo debba ancora porre delle ulteriori premesse analitiche sul presente, tali da far meglio comprendere di quale “necessità politica” sto parlando.

Il primo fatto che dobbiamo penso debba essere il seguente: tutte le questioni messe sul tappeto dalla presunta emergenza sanitaria, tutte le contraddizioni, le ingiustizie, i crimini e le politiche intraprese dal governo sono state possibili perché, in ultima analisi, il “terreno democratico” del Paese era già pesantemente minato.

La paura indotta da politica e media mainstream ha avuto buon gioco a farlo saltare del tutto, non solo a livello formale-istituzionale, sul quale sembra che Mattarella abbia cercato di “mettere una pezza” non avallando il prosieguo dell’emergenza: con la paura si è prodotto anche un totale appiattimento del sentire di troppe persone, disposte a perdere diritti come niente fosse anche rivendicando gaiamente quanto si calava sulle loro teste; questo si è concretizzato fino al punto di generare atteggiamenti di “collaborazionismo” spicciolo nelle attività giornaliere e nei luoghi di lavoro, altrettanto devastanti per la libertà reale delle stesse ordinanze governative, come riportato ad esempio qui per quanto accade in Francia.

Per non parlare di alcuni Sindaci e Governatori, drogati di protagonismo, che riescono ad essere addirittura più duri del governo.

Gli “errori” e le misure ingiustificate e antidemocratiche, sono ormai diventati “protocolli” che sarà assai difficile rigettare del tutto: appare così giustificato prevedere che non torneremo mai alla “normalità”.

La paura indotta ha causato altri due problemi dal punto di vista democratico, a ben vedere del tutto ricercati dal sistema che realmente guida gli Stati moderni, sempre meno sovrani: da una parte la paura ha fatto sì che il “sistema” avesse spesso buon gioco nei confronti dei cittadini meno critici o democraticamente sensibili, anche promuovendo campagne di “verifica” sulle notizie “corrette” in modo da far sì che il cittadino stesso etichetti come “complottismo” qualsiasi pensiero o notizia divergente dal mainstream; in questo modo si è impedito il formarsi di un sano pensiero critico dovuto a pluralità di fonti e punti di vista, operazione questa rafforzata dalla censura operata dai social media e ben sostenuta dal nostro esecutivo, che ha addirittura istituito un’apposita orwelliana task force; veniamo al secondo problema dovuto alla paura indotta: l’ansia ha certamente contribuito a congelare ogni riflessione più “alta” e generale sul sistema politico in cui viviamo, un’opzione critica già da troppo tempo sostanzialmente inibita a partire proprio dalla scuola “moderna” e tecnicizzata, costretta sempre più nel “virtuale” ed in test buoni solo per cittadini-automi.

A conferma dell’assenza di pensiero critico, basta soffermarsi per un attimo a riflettere come la narrazione politico-televisiva, e di riflesso i commenti che sentiamo ogni giorno nella vita reale, vertano su polemiche relative alla cronaca politica senza mai, o quasi mai, mettere al centro del dibattito il sistema globale, la natura e la legittimità democratica del potere nella società moderna.

Al contrario, il tema “natura e legittimità del potere” è da sempre LA questione politica principale, da quando l’uomo inventò la stessa parola politica.

Chiedersi “chi comanda” e quali siano i “reali interessi del governo” sono così soggetti sostanzialmente “rimossi” dal sentire comune e dall’agenda “politica-spettacolo” da talk televisivo: tutto ciò  fa sì che lo spazio del “dibattito” pubblico sia compresso in discussioni di basso profilo, che non investono la vera natura ed attività del sistema politico in cui viviamo.

Certamente, questa “rimozione” è stata anche permessa da quello che possiamo ormai considerare il “sottinteso” popolare riguardo la politica: l’idea fondamentale che da questa niente possa giungere di realmente positivo, un mix di cinismo e rassegnazione, più o meno impliciti, che trovano sfogo nel disinteresse, nel qualunquismo, o nelle inutili e distraesti polemiche atte a dividere l’elettorato in parti apparentemente contrapposte al seguito di “leader”, che mentre discutono e strillano animatamente servono i medesimi interessi, pur con i diversi accenti necessari a mantenere una narrazione “di parte” ad uso e consumo elettorale.

L’opera di convincimento politico-mediatico del sistema è così profonda e pervasiva, da trasfigurare completamente l’idea di democrazia: in realtà siamo in mano a poteri forti, “stati profondi”, corporazioni, logge e famiglie, che determinano la storia in modi del tutto estranei alle sterili diatribe da salotto televisivo.

Il discorso è assai complesso, ma non possiamo non vedere, solo per fare un esempio, il reale accentramento di potere relativo ai grandi fondi di investimento e la conseguente sottomissione dell’economia e della politica alla finanza, come raccontato qui.

Stando così le cose, capirete bene come qualsiasi accusa di complottismo debba provocare solo un’ilare sarcasmo, oltre ad essere rigettata in toto: come si può parlare di complottismo quando, in effetti, la natura e le finalità del potere moderno sono del tutto celate e mistificate agli occhi delle società civili dal sistema politico-mediatico?

Proprio riguardo ai media non possiamo non tener conto del fatto che, come raccontato qui, la narrazione mondiale “ufficiale” fa capo, in buona sostanza, a 6 grandi gruppi controllati da poche famiglie, le stesse che controllano banche, fondi d’investimento e molto altro ancora.

Chi parla di complottismo è, di conseguenza, o ignorante o ipocrita, evidentemente interessato a mistificare la realtà delle cose, punto.

Quanto sin qui detto, credo sia più che sufficiente per vedere come, in effetti, dall’emergenza sanitaria in poi si siano immediatamente accelerati tutti i processi già da tempo suggeriti ed avviati, come ad esempio indicato qui, qui e qui, in un vortice di misure che in breve tempo stanno riscrivendo la nostra realtà e le varie relazioni sociali.

Come si può non vedere che la distopia si sta formando sotto i nostri occhi?

Provate a leggere Costituzione e diritti umani, poi alzate lo sguardo sulla realtà e vedrete che siamo in una galassia completamente diversa!

Il cinismo sugli ideali della politica, ormai profondamente sedimentato, ha fornito così il terreno ideale per quanto di più democraticamente orrendo si possa immaginare: il disinteresse anestetizzato e di fatto complice dello status quo, da parte della società civile.

E qui dobbiamo alzare ancora lo sguardo, per una riflessione sul fatto che la conformazione del potere globale rivela, clamorosamente, quella che potremmo chiamare sbilenca dicotomia utopia/distopia.

Quanto la prima sembra “naturalmente” irrealizzabile, buona solo a fungere da faro ideale, tanto la seconda, al contrario, ci appare sempre più fattibile e percepibile, sin negli aspetti più agghiaccianti.

La distopia penetra nella carne viva dell’uomo, nelle sue espressioni e relazioni in maniera fino a ieri impensata, ma che oggi appare del tutto possibile e senza ostacoli sin nei suoi più osceni e raccapriccianti dettagli: le persone accettano di buon grado il controllo sempre più profondo della loro vita, di ogni respiro.

Sembra quasi che il peggio che si pensa l’uomo possa produrre non abbia soglie di inattuabilità, al contrario degli ideali utopici che troverebbero il principale ostacolo, di fatto, proprio nell’irrisolta “natura” umana apparentemente incapace di equilibrio: un’umanità descritta da sempre, per fini di potere e controllo, in maniera sbilenca, quasi fosse capace solo di efferatezze sociali e sempre permeabile alle brame del potere.

La concezione dell’uomo fondamentalmente egoista ed opportunisticamente sociale, per mero istinto di sopravvivenza, guarda caso finisce, in un modo o nell’altro, per giustificare i più bassi ed eticamente discutibili fini di controllo, poi variamente “giustificati” a livello ideologico.

A ben vedere quindi, è proprio la presunta “imperfezione” etica dell’uomo, concetto assai superficiale e discutibile che meriterebbe uno spazio a parte, a sostenere uno degli aspetti più inquietanti del futuro assai prossimo: l’affidarsi progressivo della tecnocrazia alle “magnifiche” sorti dell’intelligenza artificiale, in ogni ambito.

Parte della distopia consiste, com’era ovvio, nell’accettazione di quanto confezionato tecnicamente, un acritico appiattimento della ragione da parte di cittadini che si auto riducono così al ruolo di sudditi.

Accogliamo la nuova realtà in maniera “indolore”, aiutati dalla precisa tattica comunicativa del “potere visibile”, che usa tutti i mezzi e metodi comunicativi della propaganda.

Un esempio emblematico di ciò è il linguaggio di Conte: il ripetere del “consentiamo” alternato a “permettiamo”, spesso usati al momento di illustrare i suoi decreti, non è solo paternalistico, ma nasconde un dato ancor più infido e inaccettabile del “paternalismo di Stato”: lo stesso Stato di diritto non sottende più l’ente amministrativo che la comunità ottiene per riconoscersi, per gestire se stessa e difendere i suoi diritti ma, al pari dei peggiori regimi, diventa entità “altra”, “dispensatrice di permessi”, presentandosi però nelle asettiche vesti del tecnicismo indiscutibile della teoscienza.

La “setta” della teoscienza sarebbe quindi formata da una parte di “scienziati” ammanicati con l’industria ed il potere, dediti ad escludere dalle loro “scritture” ogni dissenso, come in questo caso.

L’implicito piano di soggezione civile, da cui Conte tenta di “elevare” la sua comunicazione, tende perciò, addirittura, a ribaltare il “contratto sociale”: l’uomo non è più libero e dotato di quella dignità e diritti con cui aveva deciso di riconoscersi e riconoscere ogni suo simile, e che dal 1948 poneva a fonte principale del diritto stesso con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, per annullare la sua individualità sull’altare di un’apparente “responsabilità” collettiva.

Il cittadino di Conte, ma in generale del “potere moderno”, non è più padrone della sua storia e dei limiti che si è dato in funzione della comunità, pensati in virtù di una “libertà praticabile” nel diritto.

Conte incarna esattamente la filosofia tecnocratica, che istituisce le applicazioni tecnologiche per il dominio “perfetto”: prepara la nuova realtà in cui non siamo più liberi di essere, fare e pensare tutto, tranne ciò che abbiamo deciso di regolare altrimenti con la legge, ma siamo del tutto “incapaci” di agire, se non per ciò che la legge “consente”.

Siamo finiti in men che non si dica in una realtà completamente sottoposta a quanto previsto per legge, un bel cambio di paradigma, non c’è che dire!

Il tutto “permesso” dallo stato di emergenza, inteso come “situazione” tale da, di nuovo, modificare il significato stesso di Stato di diritto: da ente amministrativo garante dell’attuazione dei diritti umani e delle conseguenti libertà, si trasforma in “badante” che non si limita a garantire il diritto alla salute, ma pretende di sanzionare la “malattia”, qualsiasi essa sia, ed i comportamenti presumibilmente “irresponsabili”.

Il passo per raggiungere la Cina di cui parlavo qui più di un anno fa, sarà probabilmente più breve del previsto.

Giunti a questo punto, non resta che occuparci del punto principale con cui aprivo l’articolo, riguardante la necessità ed i problemi relativi ad una nuova azione politica, resa sempre più necessaria dalla situazione appena descritta.

Credo che l’assenza di politiche alternative, di cui parlavo già in questo di un anno fa – in cui svolgevo anche una breve analisi dei 3 livelli relativi al sistema di potere del mondo globale e delle 3 necessità per una politica che si possa chiamare veramente alternativa – debba essere la prima preoccupazione di tutti quegli intellettuali, giornalisti, economisti e filosofi che leggiamo in biblioteca ed ascoltiamo sul web e che tanto condividiamo ma che, all’atto pratico, sembrano far di tutto per parcellizzare continuamente quello che potrebbe essere, se unitario, un “fronte” di qualche rilievo.

Oltre a questo alcuni soggetti operano, a mio parere, un’inopportuna commistione fra impegno politico-culturale ed attività professionale; un fatto questo che si presterebbe, in caso di sensibile crescita in visibilità, ad attacchi del tutto controproducenti, però basati su un reale conflitto di interesse.

In ogni caso, tutto questo gran movimento non approda quasi mai in qualcosa che abbia una pur minima possibilità di incidere, anche dopo sporadici debutti che a volte fanno sperare in qualcosa di più operativamente “sostanzioso”.

Nonostante tutti affermino una totale lontananza della politica mainstream dai reali bisogni sociali, sembra che gli attori del “fronte alternativo” da un punto di vista operativo non traggano le necessarie conseguenze di ciò.

Addirittura, alcuni di loro sembrano far di tutto per finire nell’attrazione gravitazionale dei partiti esistenti più vicini al loro retroterra ideologico.

Sembrano tutti interessati a creare movimenti, comitati, associazioni, federazioni, pagine, forum e canali informativi, anche istituti privati che, come dicevo, mal si sposano con un impegno politico che deve restare libero da interessi particolari, senza però avvertire la necessità di un fronte comune veramente capace di includere tutti, aldilà delle differenze ideologiche, culturali e delle diverse estrazioni sociali.

Addirittura, spesso si dichiara subito di non voler costruire un partito: come si pretende di avere una pur minima possibilità di raccogliere consensi e numeri per entrare direttamente nei luoghi della politica? (Qui ricordo un mio articolo dalla serie che ho chiamato “un partito ideale”, in cui cerco di rispondere alle obiezioni sulla necessità di creare un nuovo partito).

Sembra quindi, in effetti, che i leader politico-culturali dell’area alternativa non avvertano quanto sia grande e pervasivo il sistema, quanto il “pensiero unico” contro il quale affermano di battersi necessiti di uno sforzo quasi sovrumano, un impegno totale che non può perdere il poco tempo che resta prima della completa affermazione della distopia tecnocratica.

Per farla breve: la costruzione di un partito che sia espressione di un fronte unico di liberazione dovrebbe essere la preoccupazione principale di ogni persona consapevole, data l’enorme sfida che democrazia, diritto, Stato di diritto, Costituzione, diritti umani, società civile, mondo del lavoro e corpi sociali, consapevoli o meno, hanno bisogno per restaurare le basi del vivere civile ora in mano a logge, famiglie e corporazioni private.

Non bastasse, ai problemi sin qui esposti il potenziale fronte alternativo deve aggiungere, a mio parere, la consapevolezza di altre due grandi questioni di ordine politico e culturale, che aggiungono un’ulteriore problema alla dispersione delle forze.

Parlo di due aspetti che incidono direttamente sulla possibilità del fronte stesso, in ordine all’esigenza di massima inclusione possibile: il primo ha a che fare proprio con l’ideologia che caratterizza l’impegno politico, il secondo con quello che potremmo chiamare “spettro culturale” necessario al coagularsi di una forza realmente coesa e massimamente inclusiva.

Riguardo al primo aspetto devo ripetere, per l’ennesima volta, quanto reputi inutile e dannoso perseguire una politica ideologizzata che di fatto fa perno, in un modo o nell’altro, sulla divisione in classi della società: cioè sulla questione su cui si basa il fondamentale divide et impera che impedisce di trovare una sintesi percorribile ed accettabile dalla maggior parte dell’elettorato.

Chi non riesce ad abbandonare le divisioni ideologiche, non sembra in grado di comprendere come i diritti umani siano più che sufficienti per fare da perno a qualsiasi politica di “giustizia sociale”, che non risulti però contemporaneamente dannosa per la libertà e la responsabilità della persona.

Ragionare attraverso le generalizzazioni delle ideologie classiste, che paradossalmente cementano i diversi interessi sociali rendendoli impermeabili ed incomunicabili, significa di fatto rimanere nel paradigma cui accennavo precedentemente, interessato a descrivere un’umanità divisa fra interessi egoistici inconciliabili, addirittura descritti come “strutturali” allo stesso vivere in comunità.

Non vedere che abbiamo nella Costituzione e nei diritti umani dei fari insuperabili sui quali fondare una comunicazione ed un’attività politica efficaci e massimamente inclusive, rimane a mio modo di vedere il fattore di maggior ostacolo ad una vera politica dalla parte dei cittadini.

A questo proposito, vorrei rivolgere una semplice osservazione a tutti quegli attivisti e “sovranisti” che parlano continuamente di Costituzione, ma “non riescono” a mettere da parte, senza arrivare ad un’ingiusta e improponibile abiura, i vari riferimenti ideologici: intanto vorrei ricordare che la Costituzione afferma che è con i partiti che si concorre alla determinazione della politica del Paese; oltre a questo, vorrei dire che se la Costituzione ci insegna qualcosa, lo fa a partire dallo spirito dei Padri Costituenti che esprimevano la necessaria pluralità costruttiva di una società civile che si rimbocca le maniche, per mettere le basi di una democrazia matura, socialmente dialogante e “fluida” nelle sue componenti; il solo metodo che può garantire una società aperta e trasparente nelle sue determinazioni amministrative è insito nella ricerca della sintesi operata dai Costituenti.

La Costituzione italiana non parla di ideologie, ma fa dell’Art. 2 la sintesi del suo “programma politico”, tirando in ballo “solo”, ed in maniera del tutto sufficiente, i diritti umani: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Veniamo al secondo aspetto, anche questo di carattere culturale, che a mio parere può impedire una grande inclusività nello sforzo politico.

Mi riferisco al problema delle “tematiche oltre-politiche” cui accennavo nel sottotitolo dell’articolo, una questione che investe solo in minima parte gli attivisti più preparati e coerenti, ma che diventa troppo spesso quasi centrale quando si naviga in contesti appena più allargati: mi riferisco a contenuti vari che vanno dalla spiritualità, all’enormemente ramificato mondo dell’esoterismo, alla ricerca interiore, alla “scoperta” di misteri della più varia natura e ad altri ancora, che esulano da questioni prettamente inerenti alla politica praticabile.

Credo che la politica debba essere potenzialmente comprensibile da tutti perché basata sul diritto, quindi in qualche modo “oggettiva”.

A scanso di equivoci: lungi da me sostenere che la politica debba essere “autosufficiente” e non tener conto della diversità di pensiero, di sensibilità e predilezione individuali di vario genere.

Intendo dire che qualsiasi diversità e pluralità, in ogni ambito, è di fatto “contenuta” e difesa da quegli stessi diritti umani che dovrebbero essere il paradigma di qualsiasi politica degna di rappresentare la società civile nel suo insieme, non interessi privati particolari, anche se attinenti ad un sensibilità potenzialmente comprensibile da tutti, ma non necessariamente tale.

Ciò su cui forse non si riflette abbastanza, è un fenomeno che sembra speculare al tanto giustamente osteggiato “pensiero unico dominante” propagato dal sistema, al quale personalmente aggiungo “di matrice scientista e progressista”: il “fronte alternativo” compie, di fatto, un’operazione per certi versi speculare al sistema, quando in qualche modo “obbliga” chi potenzialmente interessato, a passare attraverso tutta una serie di contenuti “diversi” dalla politica stessa, per certi versi “distraesti” e che possono non trovare corrispondenza nell’interesse di chi, altrimenti, potrebbe invece iniziare a considerare alternative alla solita politica.

Per capire che la democrazia è morta basta relativamente poco, sarebbe più utile spiegare in modo comprensibile la fallacia delle obiezioni di ordine economico e sociale propagate dai paladini del sistema, atte a sostenere come non sia possibile una realtà diversa e più giusta.

C’è un altro problema insito in tutto ciò: il sistema già accusa sempre più largamente di “complottismo” anche argomenti inoppugnabili, verificabili e di buon senso, non aiutiamolo con ambiti che per essere compresi e condivisi, e non è sempre detto che lo siano, richiedono comunque uno sforzo culturale importante, a volte anche una “sospensione dell’incredulità” data dalla difficoltà oggettiva di poter facilmente verificare e studiare argomenti assai controversi.

A mio modo di vedere il problema è semplice: se vogliamo essere costruttivi, inclusivi e comprensibili ad un numero sufficiente di persone, in modo di dare il via a qualcosa che abbia un “peso” politico, dobbiamo spingere sulla “semplice” comprensione delle innumerevoli violazioni del presente relative agli ambiti della democrazia, dello Stato di diritto, di ordine giurisprudenziale e sociale.

Non serve altro, ce n’è a sufficienza di argomenti forti e vitali!

Il “chi comanda” ed i “reali interessi del governo” devono tonare ad essere il riferimento cui guardare per rinnovare la “sensibilità politica” di un popolo assai distratto e disinformato che, ora come ora, “non può” vedere quanto di grave sta calando sulla sua testa, in ogni ambito.

Per concludere: il popolo alternativo che sul web è assai vivace non riesce a coagulare qualcosa di veramente incisivo, finendo spesso per cadere in vari tipi di divisioni, errori, prassi e “idee fisse” che impediscono di esprimersi politicamente in maniera unitaria, condizione oggi quanto mai necessaria.

Un’ultima riflessione, forse meno strana di quel che può sembrare, ad ulteriore dimostrazione di quanto il momento sia democraticamente carente.

Se quanto ho qui illustrato non troverà soluzione, e dando per scontato che i partiti esistenti non cambino miracolosamente dall’interno, rimarrà di fatto una sola speranza: che tutta la narrazione relativa a “Q” non sia una raffinata operazione psicologia delle stesse élite che governano gli stati profondi, ma un piano che, senza arrivare a tutte le mirabolanti promesse, almeno rimetta un minimo di etica fra le Nazioni e nel mondo produttivo globale, pur da un punto di vista presumibilmente “restauratore”.

Anche un ritorno all’Italia della “liretta”, con le sue vecchie contraddizioni, ma fra le prime potenze economiche e con poca disoccupazione, sarebbe certamente più auspicabile del prosieguo indefinito di questo “paternalismo tecnocratico sanitario-assistenzialista”, amministrato dalle corporazioni globali.

Diamoci da fare, altrimenti… buon futuro a tutti e che l’A.I. ce la mandi buona.

 

https://www.massimofranceschiniblog.it/, 29 maggio 2020

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

fonte immagine: Wikipedia

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