Quando gli ebrei apprezzavano Mussolini e sostenevano i nazisti.

di Dan Tamir
20.07.2019

Alcune componenti del fascismo ebraico sono ancora evidenti nella destra israeliana.

Un misto di repulsione e strana fascinazione è stata la reazione di molti alla pubblicità durante l’ultima campagna elettorale dove in cui il Ministro dell Giustizia israeliano ha creato un modello di boccetta di profumo immaginario, recante un’etichetta letteralmente ideologica.
E’ stata un’idea geniale, tutto sommato, e il messaggio era chiaro: ciò che i suoi avversari stavano odorando non era “fascismo” ma una corretta amministrazione e un governo solido.
Il videoclip, come sappiamo, non ha salvato la campagna elettorale di Ayelet Shaked: il suo partito, Hayamin Hehadash, non ha superato la soglia minima lo scorso aprile. Tuttavia, l’annuncio pubblicitario ha sollevato una serie di domande di interesse sia storico che contemporaneo:
Qual è l’ “odore” del Fascismo?
Può essere “annusato”?
C’è mai stato il fascismo in Israele, e se sì, sta ritornando?

Nella sinistra comunista, c’è una tendenza comune a vedere fascismo in ogni manifestazione di nazionalismo, o quantomeno a vedere il fascismo come una forma estrema del capitalismo moderno.
Nei circoli di destra, al contrario, “fascismo”è una maledizione che deve essere elusa, una sorta di persistente sospetto che va respinto, come esemplificato dalla tanto discussa clip sul profumo.

Ma cos’è il fascismo? Cosa lo distingue dalle altre correnti politiche di destra?
Nel 2004 Robert Paxton, nel suo libro “The Anatomy of Fascism” [Anatomia del Fascismo; chi scrive ha tradotto quel libro in lingua ebraica] ha elencato sette caratteristiche che nell’insieme potrebbero delineare la natura del fascismo come ideologia e pratica politica.

Queste sono:
1) La certezza della supremazia del gruppo etnico-nazionale su ogni diritto individuale e la subordinazione dell’individuo al gruppo;
2) La convinzione che il gruppo in questione sia vittima di altri gruppi, conseguenza di ciò è la giustificazione di qualsiasi azione nei confronti dei “nemici” (interni o esterni, reali o immaginari);
3) La paura che tendenze progressiste o influenze “straniere” provenienti dall’esterno possano nuocere al gruppo;
4) La necessità della stretta integrazione di una comunità nazionale “più pura”, sia tramite leggi che con la violenza;
5) Insistenza sul diritto del gruppo di comandare gli “altri” senza limitazioni, un diritto che spetta al gruppo per via della sua singolarità o abilità;
6) Il sentire l’esistenza di una grave crisi, non suscettibile di alcuna soluzione tradizionale;
7) La credenza che ci sia il bisogno dell’autorità di un solo e unico leader e dell’obbedienza a quel leader basata sulla convinzione che possieda intuito o capacità soprannaturali.

Un altro tratto che alcuni aggiungerebbero è la fiera opposizione al socialismo in tutte le sue forme, una caratteristica che era particolarmente evidente nella pratica dei movimenti fascisti attivi nella seconda metà del XX secolo, anche se non dichiaratamente nella loro ideologia.

I fenomeni più comunemente identificati come fascisti vengono associati ai regimi che ebbero a capo Benito Mussolini e Adolf Hitler: squadrismo (in Italia) o truppe d’assalto naziste che imperversano con la camicia nera o marrone, manifestazioni di massa, subordinazione dei media indipendenti al regime, l’eliminazione di fatto del potere legislativo del parlamento, la riorganizzazione dell’intera economia in apparente “armonia”, la persecuzione di nemici domestici reali o immaginari, campi di detenzione, esecuzioni di massa, mobilitazione della nazione intera, e infine una guerra esterna che porta allo sfascio completo, nel caso di Italia e Germania.

In effetti il partito fascista di Mussolini e il partito nazionalsocialista di Hitler furono le uniche due organizzazioni fascisti che ebbero successo nell’autoconsolidarsi, creando un pubblico di sostenitori ed un potere politico significativo, arrivando al governo, formando un nuovo regime e infine conducendo  i loro paesi, i cui apparati hanno minato e danneggiato dall’interno, in una guerra orribile.
Italia e Germania furono gli unici paesi in cui tali movimenti sono giunti al potere in modo indipendente: i regimi-fantoccio che gli occupanti insediarono in Europa sopravvissero solo grazie alla baionette delle forze armate italiane e tedesche e crollarono immediatamente dopo la loro cacciata.
Tuttavia nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale furono costituiti molti altri gruppi e movimenti che agivano seguendo il modello fascista, attivi principalmente in Europa, ma anche altrove, gruppi che cercavano di rispondere ad esigenze simili e di applicare modelli similari nella loro azione politica.

I Rexisti in Belgio sotto Leon Degrelle, il Raduno Nazionale di Vidkun Quisling in Norvegia, la Croce di Ferro Ungherese, la Legione dell’Arcangelo Michele di Corneliu Codreanu in Romania, la Falange di Josè Antonio Primo de Rivera in Spagna, l’Unione Britannica dei Fascisti fondata da Oswald Mosley, e il Partito Nazional-socialista Siriano fondato da Antoun Saadeh in Libano. Questi sono solo alcuni esempi di movimenti che non solo operarono con i metodi e lo stile di Mussolini e Hitler, ma cercarono altresì di istituire regimi simili nei loro paesi. Ognuno dei movimenti sopra menzionati presentava caratteristiche distintive e ognuno perseguiva una strategia politica leggermente differente, in conformità con il clima politico, la struttura del regime e i codici sociali in cui agiva. Nessuno di essi, tuttavia, ha avuto lo stesso successo dei loro omologhi in Italia e Germania. Eppure tutti condividevano le peculiarità di ciò che gli studiosi chiamano “fascismo generico”. In effetti, negli anni ’20 e ’30, il fascismo era un fenomeno politico che emergeva e operava in quasi tutte le moderne società di massa che in quel tempo attraversavano una profonda crisi.

 

Parliamo della Palestina?

Rispetto all’orrore protratto nel Fronte Occidentale della Prima Guerra Mondiale o alle battaglie sature del sangue di miriadi di persone nell’Europa dell’Est, sia in quella guerra che durante l’avvento dell’Unione Sovietica subito dopo, i confini estremi dell’ Impero Ottomano erano relativamente tranquilli. Tuttavia, la trepidazione derivante dalla Prima Guerra Mondiale, inclusa la dissoluzione del vecchio ordine politico e gli scompensi economici e sociali che ne seguirono, non risparmiò completamente la Palestina di quel periodo.
Si andava dalla mobilitazione di massa, dalla confisca di proprietà e dall’esilio di intere popolazioni, agli stenti ed alla fame, con l’aggiunta di uccisioni e azioni omicide su larga scala, culminavando con il collasso totale di un ordine politico vecchio di generazioni, il quale fu soppiantato da una nuova amministrazione britannica imperialista, che preservò certe caratteristiche del vecchio ordine, ma al contempo accelerò i processi di modernizzazione che ebbero un effetto sulla società, l’economia e la politica.

I cambiamenti locali in Palestina si sovrapposero a significative ondate di immigrazione, compresi gli immigrati europei che giunsero nello Yishuv, la comunità ebraica pre-1948 in Palestina. Come tutte le comunità di immigrati, questi europei arrivarano con il bagaglio culturale e le idee politiche che erano prevalenti nei loro paesi d’origine. Il sistema di comunicazioni, che fu migliorato in quell’epoca (telefono, telegrafo e giornali), insieme ai legami diplomatici tra Europa e Palestina e la relativa libertà di movimento tra le due regioni, tutto questo favorì e incoraggiò un flusso di idee tra le coste dell’Est e del Nord del Mediterraneo.
Inoltre un numero non trascurabile di migranti europei che arrivarono in Palestina dal centro e dall’est del continente negli anni ’20 erano i “laureati” della Prima Guerra Mondiale e dei successivi sconvolgimenti. Recentemente dimessi dall’esercito tedesco, austro-ungarico o russo, o magari fratelli minori di persone che avevano prestato servizio, come quelli della loro generazione che erano rimasti in Europa, erano anch’essi membri della generazione segnata dalla Grande Guerra.
La giustapposizione di un’economia vacillante, una società di massa che possiede una struttura di partito politico moderna (come lo era nel caso dello Yishuv), due comunità nazionali in competizione tra loro, la delusione per quella che sembrava essere l’inefficienza dell’establishment politico esistente e la scarsa fiducia nella capacità delle autorità britanniche di fornire protezione e supporto alla popolazione, diede il via alla ricerca di nuove risposte politiche.
Come in Europa, alcuni le trovarono nel fascismo; un gruppo fascista prese gradualmente forma all’interno del Gruppo Sionista Revisionista. L’inizio fu modesto. Come molti altri a metà degli anni ’20, Itamar Ben-Avi, il figlio di Eliezer Ben Yehuda, promotore della lingua ebraica ed editore del giornale Doar Hayom, espresse simpatia e perfino ammirazione per Mussolini e sue gesta.

Itamar Ben-Avi

Al contrario di altri giornalisti del tempo, desiderava un leader forte e deciso nello Yishuv e lo trovò nella persona di Ze’ev Jabotinsky. Un’altra figura del genere, un commentatore alle prime armi che iniziò la sua carriera politica e giornalistica nei circoli socialisti e al giornale dell’organizzazione di sinistra Hapoel Hatza’ir, e che alla fine degli anni ’20 scriveva regolarmente per Doar Hayom, una colonna dal titolo “Dal Quaderno di un Fascista”, fu Abba Ahimeir. Insieme ad un intellettuale deluso dai circoli socialisti, scrittore e poeta di nome Uri Zvi Greenberg e al fisico e saggista Joshua Heschel Yevin, Ahimeir costituì un gruppo di giovani chiamato Brit Habiryonim (Alleanza dei Fanatici), il cui obiettivo era quello di dare lumi alla gioventù del paese sul nazionalismo.

Le idee sposate dai tre, leader della fazione massimalista del movimento Revisionista, furono espresse a mezzo stampa. Dopo un periodo alla fine degli anni ’20 in cui amministrarono e curarono efficacemente Doar Hayom, nel 1930 fondarono Ha’am (Che divenne Hazit Ha’am, Il Fronte del Popolo, l’anno successivo).
La visione del mondo di questo trio implicava l’essere in costante cammino sull’orlo della crisi e la preoccupazione per una continua minaccia allo Yishuv e all’impresa Sionista. Vedevano gli Ebrei in generale e in particolare i sionisti come vittime storiche in Europa e anche nella terra di Israele. Nella loro percezione il loro movimento nasceva da “i campi di battaglia colpiti dal silenzio”della Prima Guerra Mondiale, nelle parole di Yeivin. Di conseguenza, provavano solo disprezzo per i progressisti, per i moderati e per chiunque aspirasse a raggiungere un compromesso con gli Arabi o i Britannici.
La loro glorificazione della violenza politica, principalmente usata contro comunisti e socialisti, ma anche contro liberali e gli avversari in generale, andava a braccetto con la loro passione per i circoli di estrema destra in Europa. Non fecero mistero della loro brama di un leader unico e adorato: in una riunione del Movimento Revisionista a Vienna nel 1932, un altro membro del gruppo, Wolfgang Von Weisl, propose che Jabotinsky fosse dichiarato leader supremo del movimento e rivestito con autorità illimitata (Jabotinsky respinse la proposta).

Brit Habiryonim andò in frantumi alla fine del 1933, quando Ahimeir e due altri attivisti Revisionisti (Zvi Rosenblatt e Avraham Stavsky) furono accusati di aver assassinato Chaim Arlosoroff, un leader sionista dei lavoratori, nel giugno di quell’anno. Ahimeir fu assolto dall’accusa, ma fu condannato alla pena di due anni di carcere per aver guidato un’organizzazione illegale. Anche Doar Hayom fu chiuso e cessò le pubblicazioni.

 

Legami con l’Asse

 Brit Habiryonim fu attivo solo per un breve periodo, ma il suo parziale sostegno alla politica hitleriana in Germania nella primavera del 1933 (espressa nel giornale Hazit Ha’am, cosa che fece infuriare Jabotinsky) ebbe una durata ancora più breve; alcuni membri del movimento organizzarono perfino una protesta contro il governo nazista e rubarono la bandiera recante la svastica dal consolato tedesco a Tel-Aviv.
Al contrario, i legami del Movimento Revisionista con il regime di Mussolini durarono almeno fino al 1938, quando l’Italia emanò leggi razziali simili a quelle promulgate dai nazisti.

Insieme ai cadetti della scuola navale del Movimento Revisionista, che operò dal 1935 al 1937 nella città di Civitavecchia sotto l’egida del regime fascista italiano, altri giovani revisionisti studiarono nelle università italiane. Uno di questi studenti era Zvi Kolitz, che, al ritorno in Palestina dopo gli studi, pubblicò un libro: “Mussolini, la sua personalità e la sua dottrina”. La lusinghiera biografia del duce includeva anche una selezione delle sue lettere.


Uri Zvi Kolitz

Il soggiorno in Italia di Zvi Kolitz e l’ affezione per il suo leader non gli impedirono di arruolarsi successivamente nell’esercito Britannico).
Un altro laureato all’università di Firenze in quella decade fu Avraham Stern.
Dopo il suo ritorno in Palestina, salì tra i ranghi del Irgun Tzvai Leumi (l’organizzazione militare nazionale revisionista), ma dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lasciò Irgun e fondò un gruppo separato chiamato Lehi (acronimo per “Combattenti per la Libertà di Israele), noto anche come la Stern Gang.
Dal punto di vista ideologico, Stern immaginava nei suoi scritti e nel suo manifesto “Principii di Nascita”, una rinascita nazionale che aveva una stretta corrispondenza con i modelli fascisti dell’epoca (seppure in una versione molto romantica). All’atto pratico, Stern cercava una collaborazione con le forze dell’Asse nella lotta contro il mandato britannico.
Nel gennaio del 1941, a seguito di un tentativo fallito di entrare in contatto con la rappresentanza italiana in Palestina, Stern inviò uno dei suoi uomini a Beirut per avvicinare il rappresentante tedesco. Fu anche quello uno sforzo inutile (in gran parte a causa dei calcoli costi-benefici del Ministero degli Esteri tedesco), ma sollecitò i tedeschi a intensificare la caccia a Stern e ai membri della sua organizzazione.
I legami tra il Movimento Revisionista e i regimi fascisti erano basati su profonde e autentiche affinità o soltanto su interessi condivisi nella lotta contro il dominio britannico nel Mediterraneo?
Nel caso di Jabotinsky, che era ben lungi dall’essere un socialista, ma aveva capito l’importanza e l’applicazione dei valori democratici liberali, si può presumere che fosse un nesso di interessi temporaneo. Ma a giudicare dai discorsi, gli articoli, le canzoni e le proposte dei membri del circolo, che sostenevano un approccio massimalista in Palestina e, successivamente dell’Irgun, i suoi membri consideravano il fascismo come un percorso degno e persino desiderabile da seguire.
Il fascismo ebraico si estinse nel 1942, tra Florentin e El-Alamein. Nel febbraio di quell’anno, in un piccolo appartamento nel quartiere Florentin a sud di Tel-Aviv, Stern fu arrestato e ucciso sul posto dalla polizia britannica; in novembre le forze dell’Asse furono sconfitte in Nord Africa. Anche se questo non fu l’inizio della fine, come sosteneva Winston Churchill, fu la fine dell’inizio: l’ascesa del fascismo sulla scena mondiale subì una frenata, il suo prestigio sbiadì e la sua aura fu notevolmente oscurata.
Per decenni dopo il 1945 il fascismo venne considerato un obbrobrio, inadatto a una società civile, non un “profumo accattivante”, ma un cattivo odore di cui liberarsi.

 

Residui del fascismo

Ottant’anni dopo questi fatti, cosa rimane del fascismo ebraico nella politica israeliana attuale?
Alcuni degli attributi del fascismo sopra menzionati sono chiaramente riconoscibili nella retorica della destra israeliana di oggi.
Molti israeliani credono nella supremazia dei bisogni della nazione al di sopra ogni diritto dell’individuo e nella subordinazione dell’individuo alla nazione: dall’adorazione del totem del servizio militare e la responsabilità dell’establishment rabbinico nel trattare le questioni coniugali, al disprezzo di coloro che scelgono di emigrare.
Allo stesso modo non è difficile rilevare l’incrollabile convinzione che “gli Ebrei” sono vittime di altri gruppi: dall’uso strumentale dell’assassinio di milioni di persone in Europa nella Seconda Guerra Mondiale al paradigma “pochi contro molti”, qui in Israele (in relazione, ad esempio, alle guerre combattute negli anni ed alle due intifade) solo due scuse molto diffuse create per giustificare l’uso improprio della forza militare da parte dello Stato di Israele.
Il timore che i “valori della nazione” saranno erosi da principi liberali universali o da influenze “straniere” è anch’esso parte integrante dell’approccio di molti esponenti di diritto di Israele, sia nella forma passiva dell’apprensione di gruppi come The New Israel Fund [Il nuovo Fondo Israeliano], “governi stranieri”e “organizzazioni internazionali”, o, attivamente, nei progetti di “rafforzamento dell’identità ebraica” tra la popolazione.

La convinzione nella necessità della creazione di una comunità “più pura” è molto famigliare: dai teppisti dell’organizzazione
anti-assimiliazionista Lehava e l’aperta inimicizia nei confronti dei richiedenti asilo, alla marchiatura del “di sinistra”non come rivale politico, ma come un elemento alieno da sradicare.
E infine la credenza nel diritto del Popolo Eletto di governare gli altri senza limitazioni è stata evidente ogni giorno per oltre mezzo secolo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Detto questo, una serie di aspetti critici del fascismo classico non esistono nella vita politica israeliana contemporanea.
Il primo è la sensazione diffusa di affrontare una crisi esistenziale grave,  decisiva, che non sia sanabile con nessuna soluzione tradizionale.
E’ molto probabile che il costante senso di crisi, in cui la coscienza politica israeliana è stata immersa per decenni, ostacoli la nascita di un sentimento di una crisi unica e acuta.
Lo stato di emergenza in atto (costituzionalmente e nella coscienza collettiva) attenua la sensazione di urgenza: quando i razzi colpiscono regolarmente parti del paese, anch’essi diventano routine, sebbene una routine letale.
Parallelamente, anche le istituzioni politiche e giuridiche di Israele hanno subito una lenta erosione. Da un lato, in assenza di una costituzione, è impossibile sospenderla e dichiarare lo stato d’emergenza (che è , come già detto, la norma). Solo per modificarla gradualmente. D’altra parte gruppi alternativi (congregazioni religiose, associazioni, compagnie private, tribunali rabbinici) stanno sostituendo e soppiantando lo stato in molte sfere. Queste alternative offrono una gamma di opzioni a diversi livelli per soddisfare le esigenze sociali e politiche delle diverse comunità.

Un’altra caratteristica del fascismo che è assente è la richiesta dell’autorità di un unico leader e il prostarsi a lui e alle sue abilità.
Tanto per cominciare, uno dei tratti caratteristici della società israeliana, e per le cui radici dovremmo forse essere grati all’esistenza della sharia e delle tradizioni rabbiniche, è lo scetticismo per l’autorità e la non obbedienza ad una figura singola.
In secondo luogo, ci si sente soli lassù: se il “leader forte” che è avvolto dai sospetti e manipola i suoi sostenitori e avversari con lusinghe, mostra segni di autoraritarismo e populismo, sembra più qualcuno che sta cercando di sfuggire al processo, anche al prezzo di giustificare la corruzione e di corrompere gli altri, piuttosto che qualcuno che sta cercando di forgiare un movimento di massa radicale.
L’ex Ministro della Pubblica Istruzione, che aveva la pretesa di diventare Ministro della Difesa, è stato cacciato (almeno per il momento) dalla Knesset, dopo aver racimolato solo un parziale successo tra il suo potenziale elettorato: non hanno gradito il “profumo” che lui e il suo collega stavano promuovendo.
E tra i generali che stanno cercando di arrivare al potere, con una campagna elettorale morbida e di centro, è difficile intravedere un leader che genererà, con la sola forza della sua personalità, un movimento determinato di persone che avranno la voglia di sacrificarsi.
Un piccolo gruppo che ha dei tratti nazisti ha riscosso un certo successo nelle elezioni dello scorso aprile, ma i Kahanisti hanno un piccolo problema: il loro leader è morto più di un quarto di secolo fa.

 

 Il pericolo delle previsioni

Come è noto, è difficile fare previsioni, in particolare sul futuro.
In Israele potrebbe essere pericoloso: nel 1991, quando venne pubblicata la raccolta di brevi racconti di Uzi Weill “Il giorno in cui spararono al primo ministro”, l’idea che potesse succedere qualcosa del genere era considerata uno scherzo nel migliore dei casi o, alla peggio, una satira un po’ inverosimile.
Quattro anni dopo, la sparatoria divenne realtà.
Tra il Mediterraneo e la Giordania quello che in un certo momento sembra “inconcepibile”, prende vita successivamente.
Allo stesso tempo è importante non considerare i movimenti fascisti come una minaccia monolitica e a-storica: come tutte le cose del mondo, sono in continuo movimento.
Pertanto le persone cambiano e anche le loro opinioni. Wolfgang Von Weisl, per esempio, che invitò Jabotinsky ad assumere poteri dittatoriali illimitati, iniziò la sua attività politica negli anni ’20 nell’organizzazione religioso-sionista Mizrachi e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Menachem Begin prese il controllo della destra in Israele, ridusse la sua azione politica in maniera considerevole.
Ahimeir divenne uno dei principali redattori dell’enciclopedia ebraica, Yevin si concentrò sul pensiero biblico e spiritiuale e Kolitz divenne un produttore cinematografico in America.

Parallelamente, i movimenti fascisti, come tutti i movimenti moderni, ottengono nuovi adepti, ma ne perdono anche di vecchi. Così, nel 1936, lo stesso anno in cui Kolitz e Avraham Stern viaggiarono dalla Palestina all’Italia per conoscere il fascismo della prima ora e se ne innamorarono, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che era stato vicino ai fascisti quando viveva a Milano, ma verso la metà degli anni ’30 divenne un oppositore del regime e andò in esilio dall’Italia, diresse il concerto inaugurale della Palestine Orchestra (in seguito diventata la Filarmonica di Israele).

Il mondo oggi è sull’orlo di una crisi ambientale ed economica senza precedenti, che darà adito a povertà, carenza e angoscia su larga scala. Già ora milioni di persone nel mondo industrializzato che nutrivano speranze in un futuro migliore e le vedono svanire, insieme alla fine dell’era dell’abbondanza, della prosperità e della “crescita” dell’ultimo mezzo secolo, di fronte al sorgere di ondate migratorie globali e all’aggravarsi delle disparità economiche e delle diseguaglianze sociali.
Ci sono già molti elettori e cittadini scontenti che sono stufi delle piattaforme politiche che vengono loro offerte. Delusione e risentimento del sistema saranno incanalati verso un fascismo rinnovato? Non si può escludere, anche se i suoi attributi saranno parzialmente diversi da quelli del vecchio fascismo.

Anche in Israele alcune componenti del fascismo classico sono già presenti. La combinazione di una crisi costituzionale, una minaccia nazionale che trascende la routine, una situazione economica grave e la comparsa di un leader carismatico e senza freni, potrebbero completare il quadro e portare a una nuova era di fascismo in Israele.
Non siamo ancora a quel punto, ma potremmo benissimo essere sulla strada che ci conduce lì.

 

Il Dott. Dan Tamir è l’autore di “Fascismo Ebraico in Palestina, 1922-1942”(Palgrave Macmillan 2018)


Tratto da:

https://www.haaretz.com/.premium.MAGAZINE-when-jews-praised-mussolini-and-supported-nazis-meet-israel-s-first-fascists-1.7538589

Traduzione a cura di Renato Nettuno

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