Punto di vista sulla situazione dell’Italia, come Nazione e Stato di diritto costituzionale

di Giovanni Tomei

Spunti di riflessione per salvarsi dalla crisi, che si annuncia come quella greca, indotti dal rating sull’Italia che Moody’s, ha annunciato, proclamerà al mondo il 28 settembre prossimo.
Notizia tratta dal “Blog di Alberto 
Micalizzi” e dalle sue considerazione di merito che, più in basso, riporto per intero, aggiungendo letture e considerazioni attorno alle prospettive per uscirne.

Senza andare alle cause e al merito, si può pensare che la responsabilità delle “mancanze” in cui versa la qualità della vita quotidiana dei cittadini italiani, consista nel fallimento dello Stato di diritto, a causa della dipendenza alle regole di un “sistema convenzionale” etero diretto, che ha al suo centro “la moneta”, su cui lo Stato non esercita più alcun potere giuridico, avendo nell’indebitamento controllato e senza sovranità monetaria il nodo scorsoio che prima o poi l’impiccherà al nodo scorsoio della sofferenza dell’intero popolo italiano.

Le cause sono da ricercarsi nella qualità della politica imposta dai partiti politici negli ultimi 40 anni, nella corruzione a tutti i livelli che ha devastato il tessuto morale ed etico del Paese più bello del mondo, nella libertà con cui la criminalità organizzata ha sostenuto la mancanza di Stato al sud, prima di invadere il nord, quando hanno compreso la debolezza dei politicanti per mestiere al governo del Paese e alla loro colpevole induzione, operata per rendere deboli e corruttibili gli apparati burocratici dello Stato.

Uno scenario che ha posto i Governi nella condizione di una supremazia giuridica che si identifica con la democrazia rappresentativa, frutto del mandato ricevuto dal popolo sovrano a governare per un lustro, in nome delle prerogative scritte nella Costituzione, ancora in attesa di essere attuata dal 1948.

Un potere dei governanti che hanno piegato le leggi alla loro libertà d’azione, ignorando la Costituzione e sottoscritto “Trattati” costruiti sul diritto internazionale e sulla forma neoliberista di governo a dimensione globale della finanza e dell’economia di mercato, obbligando un intero popolo ad aderirvi senza possibilità di opinione e senza condizioni.

L’esito di una subordinazione ai Trattati europei che hanno forza di legge, senza entrare nel merito della riserva costituzionale su di essi e sulla gestione politico burocratico della U.E., che ha permesso la sottrazione della sovranità monetaria e la dimensione ritenuta insostenibile del debito pubblico, su cui pesa senza soluzione di continuità la quota d’interessi delle aste pubbliche sui Titoli di Stato e della variabilità dello spread con i Bund tedeschi, determinato sulla base del rating sancito da società private indipendenti ed estere, sull’affidabilità dell’Italia e della sua economia.

Un insieme che riduce il valore e l’interesse del mercato ad investire in Titoli di Stato italiani, ritenuti sempre
più inaffidabili.

Così, da un lato, si governa con l’ossessione del fiscal compact e le sue regole che impediscono investimenti anche per catastrofi naturali e, dall’altro, si è sottoposti al parere di organismi privati internazionali che decidono del valore monetario dei Titoli di Stato italiani, incidendo sul fabbisogno di moneta corrente per alimentare le spese obbligatorie dello Stato, utili a sostenere il popolo italiano, le sue imprese, la fragilità del suo territorio.

Strano a dirsi, i proprietari delle imprese private che governano il mondo della finanza e che sono anche partecipanti le società di rating, oltre a essere esse stesse “finanziarie globali”, con l’avvento della finanza digitale, posseggono il patrimonio di “carta straccia” di contratti derivati, con cui hanno invaso il mondo dei Paesi a loro subordinati con la forza della “moneta” virtuale e del controllo della moneta a corso legale, in una sorta di consociativismo finanziario, tra soggetti giuridici privati che governano il mondo delle monete sovrane, delle borse e della banche private nazionali, da quando Nixon decise la libera fluttuazione del dollaro, non più legato alla parità con l’oro.

Sulla situazione di fatto, l’Italia, la sua politica finanziaria, economica, sociale, ambientale e culturale, è costretta in questo solco obbligato da altri e senza possibilità di manovra se non, in momenti di recessione endemica come questa, attraverso tre leve:
1. Pubblica, legata alle regole europee, limitando le spese con la riorganizzazione dello Stato, limitando oltre il consentito gli investimenti, contraendo di contro, le tasse agli italiani. Situazione non sostenibile per margini non esistenti e per limiti di bilancio, se non per il ritocco alle tasse per attivare un’asfittica matrice economica keynesiana, fidando che il risparmio generi investimenti privati che si possano tradurre in produttività e aumento del PIL.
2. Pubblica, ma legata alla situazione contingente, in cui i margini sono inesistenti e prossimi all’implosione, generando una situazione greca dell’Italia sotto attacco. Sia sufficiente la comprensione della verità di questo attacco concentrico, sull’avvento del Governo a matrice populista dell’Italia, vista come il fumo negli occhi da parte del potere neoliberista internazionale di matrice anglosassone e askenazita, meno del 1% dell’umanità, che governa e decide le sorti di oltre il 99% dell’umanità.

Su questo secondo punto, valgano le analisi di Alberto Micalizzi, di cui riporto per intero il suo articolo,
prima di passare al terzo punto, individuato come “ulteriore possibilità su cui riflettere”.


MOODY’S RITARDA IL RATING E MINACCIA. PREDISPONIAMO LA DIFESA
di Alberto Micalizzi
http://albertomicalizzi.com/author/albertomicalizzi1/

Secondo il calendario dei report emesso mesi fa da Moody’s, il prossimo 7 Settembre l’agenzia di rating avrebbe dovuto rendere noto il proprio giudizio sull’Italia e invece, con un comunicato straordinario appena uscito, l’agenzia ha deciso di “prolungare il periodo di revisione iniziato il 25 Maggio per il downgrade dell’Italia dal livello attuale di Baa2 al fine si avere una migliore visibilità sulla direzione politica che prenderà il Paese”.
Viene detto che l’agenzia aspetterà il 27 Settembre, quando il Governo italiano presenterà al Parlamento le modifiche al DEF (Documento di Economia e Finanza), ed il 15 Ottobre, data di presentazione del budget economico per il 2019 all’UE.

LE RICHIESTE DI MOODY’S
Dunque, con un tono manifestamente minaccioso l’agenzia ha deciso di prendersi tutto il tempo necessario per premere il grilletto. Nello stesso comunicato, infatti, non manca la menzione specifica di ciò che l’esecutivo deve o non deve fare per evitare il taglio del rating.

Tre, in particolare, i moniti espressi dall’agenzia:
1. Preoccupazione per qualsiasi manovra che provochi deficit pubblico;
2. Rischi gravi derivanti da eventuali tentativi di rivedere il piano di “riforme strutturali”;
3. Monito esplicito a non toccare la riforma Fornero e il Job Act.

Dunque, il messaggio è cristallino: il Programma di Governo non si può attuare. Se il Governo decidesse di 
attuarlo, il taglio del rating sarebbe certo ed una tempesta finanziaria si abbatterebbe sulla nostra economia.

Ricordiamo che un ulteriore taglio del rating potrebbe portare l’Italia nell’area spazzatura, dalla quale siamo separati solo da un “gradino”, con il risultato che i BTP non sarebbero più accettabili dalla BCE e dalle altre banche dell’Eurozona come garanzia per i finanziamenti. Una situazione, dunque, che ci assimilerebbe in tutto e per tutto alla Grecia di oggi!

Dunque, ci siamo, il campo di battaglia è ben delineato, le forze in campo sono schierate e del tutto manifeste sono le intenzioni delle due parti, quanto meno quelle ufficiali. Siamo arrivati al punto nodale.

Lo studio di anni del comportamento e delle logiche che guidano le agenzie di rating, l’esperienza diretta sul campo che ho maturato nella City di Londra ed il ruolo attivo che ho avuto nello studio dei fatti relativi al noto processo di Trani mi portano a formulare una sola raccomandazione: occorre preparare il Paese ad affrontare lo scontro.

Oggi non si possono affrontare questioni strutturali relative al sistema europeo in quanto non c’è il tempo e lo faremmo con la pistola puntata alla testa. Quindi, occorre guadagnare tempo attuando subito quello che si può fare per dare immediato ossigeno all’economia e portarci fuori dal raggio di tiro della speculazione finanziaria e della agenzie di rating in primis.

Non appena il taglio del rating sarà reso noto le principali banche d’affari venderanno massicciamente i BTP anche attraverso operazioni allo scoperto, mentre l’Eurosistema e la BCE chiuderanno i rubinetti. Questo scatenerà il tiro al bersaglio, nel quale i media main-stream si inseriranno addossando la responsabilità della tempesta finanziaria al Governo così da promuovere una coalizione di “responsabilità nazionale” raccattata dalle macerie del PD e di FI con l’atteso aiuto del Quirinale.

Il tutto potrebbe scatenarsi in pochi giorni e per questo occorre essere preparati.

LE MOSSE PER DIFENDERCI

Le mosse preventive da attuare sono poche ma vanno intraprese con decisione, a qualunque costo, dando così anche un messaggio forte ai mercati. In breve, questa la sintesi delle cose da fare subito (ho fornito i dettagli di questo piano in un video: “Il Whatever it takes italiano“, Byoblu).
Emettere una nuova categoria di BTP riservata ai soli soggetti residenti, con una cedola attorno al 2,5-3%, ed il cui rimborso possa anche avvenire tramite crediti fiscali che successivamente diventino moneta di scambio domestica complementare all’Euro.
Attivare la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) come banca pubblica, che sottoscriva gli eventuali BTP non collocati, garantisca le erogazioni di credito alle imprese e supporti gli investimenti pubblici espansivi che sono già parte integrante del Programma di Governo.

Revoca della vendita allo scoperto e del prestito titoli sui BTP al fine di diminuire le pressioni speculative sui rendimenti.
Recesso unilaterale dai contratti derivati da parte del Tesoro, al fine di limitare perdite derivanti dal mark-to-
market legato ai tassi, manovra inedita nel panorama internazionale.
Affidamento alla CDP del ruolo di fissazione dei tassi ufficiali Euribor al fine di evitare la manipolazione sui tassi interbancari.
Ci sono poi altre azioni complementari da intraprendere, ma queste appena elencate forniscono una base organica di lavoro. Il messaggio inviato è chiaro: se ci attaccate faremo terra bruciata e ci sganceremo dall’Euro sistema.

Mi rivolgo ai membri del Governo ed ai leader della relativa coalizione. Lo scontro è inevitabile e se tentaste di scansarlo paghereste un prezzo altissimo in termini di consenso elettorale. Milioni di italiani vi hanno votato consapevoli che non sarebbe stata una passeggiata, avendo ormai acquisito contezza del ricatto dei mercati. Quindi, non esitate e non tradite la fiducia che vi è stata accordata.

Il Paese è nelle condizioni di affrontare lo scontro e può farlo a diversi livelli e con diverse armi.

Personalmente, mi sono espresso più volte a favore di una strategia ponderata, fatta di un mix di mosse e contro-mosse il cui scopo è sfiancare il nemico piuttosto che affrontarlo in una battaglia campale. Ma occorre muoversi d’anticipo, con azioni a sorpresa che i mercati non si aspettano e, soprattutto, con decisione, “a qualunque costo”.

Se riusciremo a fare breccia nel muro del ricatto dei mercati avremo tracciato la via per altri Paesi ed altri popoli ed avremo restituito all’Italia il rango che merita tra le principali potenze mondiali.
E’ il momento di tirare fuori il coraggio.

Alberto Micalizzi

 


Ora, distaccandoci per un attimo dalla situazione contingente che stiamo affrontando e per poter passare al terzo punto, vorrei farlo attraverso una lettura speculativa, sollecitata da Giuseppe Ecca, da lui riportata sul suo blog http://www.studisociali.org/articolo.php?id=18
Il misterioso mondo della Mont Pélerin Society, sulla nascita del neoliberismo, spiegata da Luciano Gallino, in un articolo del 27 luglio 2015, pubblicato su “La Repubblica”.


ECONOMIA – NEOLIBERALI: ANZI, NEOLIBERISTI. MA IL RISULTATO E’ PESSIMO
di Giuseppe Ecca 12-08-2018

Strana davvero, almeno apparentemente, l’economia di questi ultimi decenni, in Italia e nel mondo: più i suoi presupposti e i suoi dogmi falliscono alla prova dei fatti e dei risultati, in termini di bene comune, più i suoi comportamenti vengono confermati e imposti come linea strategica e politica dagli Stati e dagli organismi internazionali, a Whashington come a Londra, a Bruxelles ed a Francoforte, e nella stessa Italia: da parte della politica prevalente e dei poteri dominanti, nonostante i meccanismi del controllo democratico.

Si tratta di quel fenomeno che va sotto il nome generico di “neoliberismo”. Viviamo appunto una epoca di neoliberismo trionfante, strafottente e paradossalmente quasi impossibile a mettersi in discussione, sembrerebbe, nonostante, appunto, la evidente negatività dei suoi risultati in termini di bene comune: se appena si parla di ipotesi di interventi correttivi degli Stati per rendere meno mostruosi gli effetti di una siffatta economia, per diminuire disoccupazione e fallimenti aziendali, per restituire al risparmio valore affidabile al posto della volatilità da gioco d’azzardo cui assistiamo, per togliere precarietà alla distribuzione del lavoro e accrescere equità a quella del reddito, si viene, di fatto e in silenzio, messi ai margini delle cattedre universitarie, delle commissioni scientifiche e politiche che si occupano di
economia, della grande stampa che fa opinione; si viene collocati tra i “fuori del coro”, insomma, considerati estranei alle “vere” competenze economiche, e a volte isolati come “anticaglie da interventismo superato”, residui di mpostazioni “democristiane”, di illusioni socialistiche, di buonismo liberalsociale, e simili.

Eppure, da qualche anno, il replicarsi dei fallimenti e delle smentite drammaticamente concrete circa la fondatezza di tanta sicumera politica e cattedratica, moltiplicatisi soprattutto nella crisi 2008-2018, un inizio di riflessione critica sembra averlo avviato, sia pure ancora in tono piuttosto timido, e ospitato più che altro in fogli di seconda pagina e in limitati fortilizi dove il buonsenso non sia stato bandito.

Studiosi come Stiglitz, con il suo premio Nobel, altri in diversi paesi, ed in Italia un gruppo per il vero sempre meno silenzioso, di cui fanno parte Zamagni, Becchetti, Fadda, il mai remissivo e sempre combattivo Nino Galloni, e ulteriori, stanno cercando, pur con sensibilità personali diversificate, di sviluppare qualcosa di più che una sommessa e minoritaria posizione critica nei confronti di tanta barbarica pompa di menzognero neoliberismo economico passato per liberalismo. Ebbene, va sostenuta fortemente, questa crescente voce critica, perché importa e urge accelerare i tempi di un sano riallineamento fra economia e bene comune.

Il cammino sarà peraltro ancora piuttosto lungo, probabilmente, perché tanto la grande finanza speculativa internazionale quanto i suoi piccoli e interessati servitori nazionali in livrea, anche italiani, hanno in realtà immensa forza condizionatrice, dotata di amplissimi mezzi e di convenienza indubitabile a difendere imperterriti la fallimentare situazione: gli affari, soprattutto se cinici e sporchi, si fanno senza le pastoie di preoccupazioni sociali che non si limitino alla dimensione della filantropia. Chi guadagna, da questa economia insensata a dominanza finanziaria, sono infatti soltanto loro, è l’attività speculativa di ogni genere, ben raramente l’economia reale.

Ma da dove è nata, e dove si alimenta tuttora, l’ubriacatura insensata di neoliberismo che da decenni viene imposta come giusta e logica?

Una delle voci più autorevoli, anche moralmente oltre che tecnicamente, fra quelle che non hanno mai mancato di rilevare il vicolo cieco di iniquità sociale in cui il mondo sviluppato si è cacciato, e la necessità di una correzione di rotta e di un ampio recupero di cultura economica indirizzata al bene comune, è stata quella di Luciano Gallino, il sociologo scomparso appena una manciata di mesi fa, interprete e testimone, fra l’altro, della grande esperienza olivettiana. Anzi, secondo Gianni Liazza, il più autorevole fra gli interpreti di tale esperienza.

Pubblichiamo una delle sue ultime riflessioni, dedicata proprio a spiegare il fenomeno di questo abnorme predominio esercitato negli ultimi decenni dall’apparentemente liberale ideologia del neoliberismo.

Il misterioso mondo della Mont Pélerin Society, in particolare, cioè una delle fonti strategiche di tale rovinoso pensiero economico, ci viene spiegato da Gallino con le parole che seguono, in un articolo originariamente pubblicato su “La Repubblica” del 27 luglio 2015.

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Quando apro le finestre al mattino, di questi giorni, lo sguardo mi cade inevitabilmente sul Mont Pélerin, al di là del lago. È una montagnola svizzera a pochi chilometri da Montreux, nota sin dagli anni Venti per i buoni alberghi e il clima mite. È anche il luogo da cui ha avuto inizio, con la fondazione della Mont Pélerin Society (Mps) nel 1947, la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa. Con le drammatiche conseguenze di cui facciamo ancor oggi esperienza.

Gramsci avrebbe trovato di grande interesse la strategia adottata dalla MPS per conquistare l’egemonia, intesa nel suo pensiero come un potere esercitato con il consenso di coloro che vi sono sottoposti. Anziché costituire l’ennesima fondazione o un think tank, un luogo di cervelli, specializzato nel promuovere questo o quel ramo dell’economia, MPS scelse di costruire su larga scala un “intellettuale collettivo”.

Quando Friedrich von Hayek nel 1947 chiamò a raccolta un piccolo gruppo di economisti e altri intellettuali (tra cui Maurice Allais, Walter Eucken, Ludwig von Mises, Milton Friedman, Karl Popper) per fondare la MPS, i convenuti erano soltanto 38, per la maggior parte europei. Alla fine degli anni ‘90 erano diventati più di mille, sparsi in tutto il mondo, sebbene la maggioranza continuasse a provenire dall’Europa.

Radicato per lo più nell’accademia, questo intellettuale collettivo non redasse ambiziosi manifesti programmatici (gli “intenti” formulati nel ’47 al momento della fondazione sono una paginetta piuttosto banale, che si può leggere anche oggi identica sul sito della MPS), o grandi progetti di riforme istituzionali.

Produsse invece migliaia di saggi e di libri, non pochi di notevole livello, che ruotano tutti intorno ai temi che per i soci della MPS erano e sono l’essenza del neoliberalismo: la liberalizzazione dei movimenti di capitale; la superiorità fuor di discussione del libero mercato; la categorica riduzione del ruolo dello Stato a costruttore e guardiano delle condizioni che permettono la massima diffusione dell’uno e dell’altro.

Grazie a questo immenso e capillare lavoro, verso il 1980 le dottrine economiche e politiche neoliberali avevano occupato tutti gli spazi essenziali nelle università e nei governi. Non è stata ovviamente soltanto la MPS a spendersi a tal fine, ma il suo ruolo è stato soverchiante. Non esagerava uno storico del pensiero neoliberale (Dieter Plehwe) quando definì la MPS, anni fa, «uno dei più potenti corpi di conoscenza della nostra epoca».

Peraltro i soci non si sono limitati a pubblicare articoli e libri. Molti di loro sono giunti a occupare posizioni
centrali nell’apparato governativo dei maggiori paesi.
Ai tempi della presidenza Reagan ( 1981-88), su una ottantina di consiglieri economici del presidente più di un quarto erano della MPS. Le liberalizzazioni finanziarie decise dal governo Thatcher nella prima metà degli anni ‘80, che hanno cambiato il volto dell’economia britannica, furono elaborate in gran parte dall’Institute of Economic Affairs, una filiazione della Mps fondata e diretta da due soci, Antony Fisher e Ralph Harris.

I vertici dell’industria francese e tedesca sono sempre stati numerosi nelle fila della MPS, intrattenendo stretti rapporti con i soci provenienti dal mondo politico.
Di rilievo è stata la partecipazione italiana alla MPS. Tra i suoi primi soci vi è stato Luigi Einaudi. Due italiani sono stati presidenti: Bruno Leoni (1967-68) e Antonio Martino (1988-1990) che figura tuttora fra i soci, accanto a (salvo errore), Domenico da Empoli, Alberto Mingardi, Angelo Maria Petroni, Sergio Ricossa.

Due caratteristiche segnano fortemente l’egemonia della MPS sulla cultura e la prassi economico- politica degli Stati europei a partire dagli anni ’80.

La prima è la dismisura della vittoria su ogni altra corrente di pensiero — specie in economia.
Il keynesismo, fin dalle origini l’arcinemico dalla MPS, è stato ridotto all’insignificanza, e con esso quello di
Schumpeter, di Graziani, di Minsky.
Sopravvivono qui e là in qualche dipartimento universitario, ma nella politica economica della UE contano zero. A forza di liberalizzazioni ispirate dalla cultura MPS, il sistema finanziario domina la politica non meno dell’economia — come ha dimostrato per l’ennesima volta il caso greco. I sistemi pubblici di protezione sociale sono in corso di avanzata demolizione: non servono, anzi sono nocivi, poiché ciascun individuo, secondo la cultura neoliberale, è responsabile del suo destino. La scuola e l’università sono state riformate, a partire dalla Germania per finire con l’Italia, in modo da funzionare come aziende. Wilhelm von Humboldt si starà rivoltando nella tomba.

La seconda caratteristica della cultura economica neoliberale formato MPS è la sua inverosimile resistenza alle pesanti confutazioni che la realtà le infligge da almeno 15 anni. I primi anni 2000 hanno visto il crollo delle imprese dot.com, glorificate dagli economisti neolib, che in nove casi su dieci erano trovatine su cui le borse, in nome dell’ipotesi che i mercati sono sempre efficienti, scommettevano miliardi di dollari. I secondi anni 2000 hanno invece assistito al quasi crollo dell’economia mondiale, minata dalla finanza basata deliberatamente su milioni di mutui ipotecari che le famiglie non avevano i mezzi per ripagare.

Dopo il 2010, gli economisti neoliberali e i politici da loro indottrinati hanno imposto alle popolazioni della UE le politiche di austerità, rivelatesi un fallimento totale a giudizio dei loro stessi promotori. In sintesi, gli economisti formato MPS hanno predisposto i dispositivi che hanno prodotto la grande crisi; non l’hanno vista arrivare; non hanno saputo spiegarla, e hanno proposto rimedi che hanno peggiorato la situazione.
Ad 
onta di tutto ciò, continuano a occupare il ponte di comando delle politiche economiche della UE.

Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare».

Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per
dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti.
Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità della privatizzazioni?
Poiché 
la natura ha orrore del vuoto, il vuoto culturale, politico, morale delle sinistre è stato via via riempito dalle
successive leve di lettori, elettori, docenti, funzionari di partito e delle istituzioni europee, istruite dall’intellettuale collettivo sortito dalla MPS.

Il consenso bisogna costruirlo, e la MPS ha dimostrato di saperlo fare.
Le sinistre non ci hanno nemmeno provato.

Luciano Gallino

 


Riprendendo dalla chiusura di Luciano Gallino: “Il consenso bisogna costruirlo, e la MPS ha dimostrato di
saperlo fare. Le sinistre non ci hanno nemmeno provato”.

Una invocazione per un modello alternativo a quello imposto dal neoliberismo. Un modo per indicare il fallimento della politica di sinistra, nei suoi tanti rivoli in cui si è disperso il comunismo e il socialismo italiano negli anni del dopoguerra e, nello stesso tempo, confermando il sostegno della convergenza della politica di centro destra al governo dello Stato, ai paradigmi di mercato del neoliberismo.

Un modo per attribuire alla politica di governo degli anni che potremmo indicare dalla scomparsa di Moro, e poi di Berlinguer, con la scomparsa della Democrazia Cristiana, il discrimine di un fallimento che si è concluso con l’alternanza centro destra – centrosinistra, con l’attentato alla Costituzione e il tentativo di riforma mascherato dalla richiesta di modifica del bicameralismo del governo Renzi e con la risposta dei cittadini italiani, che in circa 20 milioni, il 4 dicembre del 2016, si espressero compatti per il NO alla riforma costituzionale.

In effetti, l’ultimo atto della implosione della sinistra italiana avviata ad essere residuale, per aristocratica supponenza intellettuale di un gruppo di grande qualità, ma di esclusiva formazione giuridica che, ancora oggi, lavora sul disfacimento di 750 comitati per il No, sorti in Italia e all’estero, di cittadini italiani coesi e corpo unico che attendeva da costoro le linee di un’azione politica, impostata sulla loro capacità di guida funzionale che continua a mancare.

Un’occasione storica persa per aristocrazia intellettuale che da sempre è stato il male peggiore della sinistra, ammantata del viatico morale del bene del popolo, fondato sul lavoro, sulla famiglia e sull’aiuto del capitale per tracciare una crescita armonica di un popolo, nei suoi confini territoriali, a formare lo Stato di diritto di una Nazione dalla impostazione etico giuridica, scritta nella Costituzione del ‘48 dalle Madri e dai Padri Costituenti, sulle spoglie dei morti, delle sofferenze e della distruzione della seconda guerra mondiale.

Un fallimento della politica, per affermare che il popolo è nudo di fronte alle sue necessità, non sostenute e risolte dai partiti politici, né dallo Stato da loro governato, nella costrizione giurisdizionale del neoliberismo dei “trattati internazionali”, al governo del mondo globalizzato.

Eppure, la vita degli italiani scorre giorno dopo giorno nella realtà quotidiana, tra bisogni insoddisfatti e mancanze di ogni tipo e non è detto che i lavoratori, gli artigiani, le partite IVA, i professionisti, i dipendenti pubblici, i piccoli imprenditori, che ritenessero di essere fuori dalla classe uniformata cui il neoliberismo ha condotti tutti, chi più chi meno, possa pensare di essere in salvo, se si dovesse avverare la previsione di Micalizzi.

Se dovesse essere indotto il ricorso alla Troika per sovvenire al fallimento dello Stato italiano, non più in grado di sostenere spese per salari pubblici, sicurezza, salute, pensioni e interventi straordinari sulla fragilità del nostro territorio e delle sue infrastrutture, le pene della Grecia si ripeterebbero qui da noi, costringendo tutti alla sofferenza unificata dai bisogni sostenuti dal debito da ripagare ai sovventori internazionali, accorsi in aiuto per lucrare fino in fondo la residua ricchezza nazionale, lasciando nella disperazione il popolo italiano.

Allora, prima che l’esperienza parli di un disastro immanente, perché non riflettere che la via pubblica per scongiurare il disastro, potrebbe avvalersi della via privata, della classe uniformata dei cittadini italiani, maggioranza silenziosa, che sul piano interno, continua a dare speranza al Paese nella sua dimensione degli scambi economici quotidiani e continui, che formano la microeconomia di un Paese, da analizzare e studiare per una nuova prospettiva d’intervento che, in questa fase, contribuisca a determinare con le proprie forze, assieme alla politica di governo, per muoversi d’anticipo, come esorta Micalizzi, per scongiurare la crisi etero diretta dal potere finanziario neoliberista e vendere cara la pelle?

Un governo “populista”, intanto, governa l’Italia e costituisce comunque una discontinuità storica per il neoliberismo. Ora, i cittadini, le associazioni, i soggetti economici che formano il mercato interno degli scambi quotidiani, hanno da svolgere un ruolo non svolto, né assunto da altri, e a loro compete un primo tempo di azioni capaci di supportare le azioni di governo al meglio, purché il governo liberi loro la strada da ostacoli costruiti in momenti in cui il “populismo” cominciò a intravvedere, sull’esito del voto referendario del 4 dicembre del 2016, come una comunità unita da relazioni basate sulla fiducia reciproca, intesero porre la prima pietra di un’opposizione comune e condivisa alla deriva neoliberista.

L’avvertimento di Moody’s disegna uno scenario da guerra in atto, giocato con la “moneta” e con l’innovazione digitale, da combattere con la “moneta” e con l’innovazione digitale e, strano a dirsi, fornendo una sponda di coesione democratica al nuovo governo “populista”, provando a fidarsi ancora una volta della “politica”, ma attraverso forme di controllo democratico popolare diretto, in grado di scongiurare forme totalitarie e punitive, che la storia ha incontrato tanto di recente da averci costretto in questa condizione di difesa estrema.

Micalizzi indica soluzioni pubbliche auspicabili; Gallino invoca una capacità da “Terza Via” che le sinistre non
hanno saputo immaginare e costruire.

Noi, sull’insieme dei due auspici, proviamo a concentraci sulle “mancanze”, per proporre un “progetto di
sistema” che provi a riportare in equilibrio lo Stato di diritto, in un primo tempo di un insieme di azioni che siano appropriate e coerenti con la dimensione ec nomica che governa la vita quotidiana del popolo italiano, per dimostrare sui risultati ottenibili, come un sistema convenzionale, innovativo per gli strumenti che adotta, ma tradizionale nella quotidianità degli scambi monetari contro beni e servizi che avvengono nella società italiana, sulla “misura della moneta posseduta” da ogni cittadino italiano, dimostri l’utilità attesa del sistema in fase operativa.

Occorre insistere che il “sistema” è costruito per un insieme di azioni che rappresentano un primo tempo di interventi utili a dimostrare gli assunti e la loro validità, per poi procedere a un secondo tempo, del tutto politico, in cui le forme di equilibrio raggiunte vanno oltre il potere del popolo di riorganizzarsi in proprio per fare fronte alla deriva neoliberista del globalismo.

In questo caso, però, gli obiettivi del primo tempo, produrranno un risultato che è posto in evidenza nel terzo scritto che chiude lo scritto. Questa volta, a contenuto economico, ma a partire dagli effetti della misurazione micro degli eventi economici che avvengono nella realtà, in ogni comunità e in ogni luogo d’Italia.

Il progetto che intendiamo proporre viene illustrato nel successivo articolo che è disponibile a questo link.

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