L’ambiente ed il principio di precauzione: vivere con responsabilità sull’unico pianeta che abbiamo

di Davide Gionco

Da un po’ di anni siamo sottoposti ad una martellante campagna “green” che intende porci di fronte all’emergenza del cambiamento climatico in corso, facendoci sentire tutti colpevoli per l’eccesso di emissioni di CO2 in ambiente, mentre nello stesso tempo la maggior parte dei governi del mondo fa poco o nulla per ridurre le emissioni di CO2.
E’ una questione di cui ci siamo già occupati, parlando del fenomeno Greta Thunberg.

Non intendiamo occuparci in questo articolo della questione specifica delle emissioni di CO2, quanto piuttosto del fatto che questo approccio eccessivamente ideologico non aiuta ad affrontare con responsabilità tutte le questioni ambientali.
E’ un dato di fatto che la percentuale di CO2 presente in atmosfera è aumentata molto rapidamente negli ultimi anni.

Dopo di che molti scienziati associano l’aumento della temperatura media del pianeta all’aumento della CO2 in atmosfera.

Ma c’è da dire che altri scienziati sostengono che l’aumento delle temperature potrebbe non essere dipendente esclusivamente (o del tutto) dalle emissioni di CO2, ma essere invece legato all’attività solare. In passato, infatti, il pianeta ha vissuto periodi più caldi e meno caldi di oggi.
La realtà è che non è possibile applicare il metodo scientifico al pianeta terra, per cui è molto difficile avere delle certezze sulle cause e fare previsioni certe sulle conseguenze.
Questo vale sia per chi oggi annuncia che “certamente” nel 2100 la temperatura sarà aumentata di 3 °C, con conseguente fusione dei ghiacciai ed innalzamento del livello dei mari, sia per chi, invece, oggi dichiara che non vi sono rischi derivante dall’aumento del tasso di CO2 in atmosfera.
In mancanza di certezze scientifiche, alla fine, la posizione sulle conseguenze dell’aumento di CO2 in atmosfera è di tipo soggettivo, influenzata in modo decisivo da ragione ideologiche e non scientifiche.

L’attuale martellamento mediatico catastrofista sul cambiamento climatico, di tipo ideologico, porta a dimenticare il saggio principio di precauzione che tutti dovremmo avere sulla questione CO2.
La realtà è che ci è dato un solo pianeta su cui vivere.
E’ ragionevole causare degli squilibri al pianeta, senza sapere esattamente a quali conseguenze andremo incontro?

Da centinaia di milioni di anni tutti altri esseri viventi del pianeta hanno potuto sopravvivere prelevando le risorse offerte, interagendo con l’ecosistema.

L’unico flusso netto in ingresso nel sistema è l’energia solare, che arriva dal sole alla terra ed è utilizzata dalle piante per vivere (e da pochi decenni utilizzata dall’uomo per generare energia).
Tutto il resto degli elementi sono elementi presenti sul pianeta che vengono riciclati.

Ad esempio l’acqua:

L’azoto:

Il fosforo:

Il carbonio:

Nel corso della storia del pianeta si sono verificati degli squilibri, causati dall’attività solare, dei vulcani o per l’impatto di asteroidi, come quello che 65 milioni di anni fa causò un rapido raffreddamento del pianeta e la scomparsa dei dinosauri.
La vita sulla terra sopravviverà anche in caso di futuri squilibri, ma, come in passato, questo potrebbe costare l’estinzione di molte specie o comunque la forte riduzione di molte specie non in grado di adeguarsi ai cambiamenti.

Al di là della questione delle emissioni di CO2, attualmente l’umanità sta immettendo in ambiente molte sostanze, senza che nessun grave allarme sui possibili rischi arrivi ogni sui telegiornali.

Pensiamo ad esempio al rilascio di materie plastiche, non biodegradabili, in ambiente.

Il problema maggiore non sono gli oggetti in plastica di grandi dimensioni, che un giorno potremmo in qualche modo pensare di recuperare dal mare.
Il problema maggiore è dato dal fatto che la plastica si frantuma in minuscole particelle, che non possono essere recuperate dal mare.

Le particelle ancora più piccole restano in sospensione nell’aria (con le micropolveri), si disperdono nel terreno.
Entrano nella catena alimentare, interagendo con la fauna del pianeta e inevitabilmente anche con la nostra alimentazione.
Quali sono le conseguenze per la salute umana se respiriamo e mangiamo microparticelle di plastica?
Al momento  nessuno scienziato sa dare risposte certe.
Vogliamo correre il rischio di non fare nulla?
Oppure, per ragioni precauzionali, sarebbe meglio fare in modo che anche la plastica abbia il suo “ciclo”, tramite un sistematico riciclaggio artificiale (non esistendo in natura)?

La plastica è solo un esempio.
Un altro può essere l’uso del mercurio, che attualmente viene immesso in ambiente oltre che dai vulcani (cosa che non possiamo evitare) anche dalle centrali elettriche a carbone, nelle quali il mercurio arriva come impurità nei minerali di base, e dalle miniere d’oro, nelle quali il mercurio è utilizzato per separare l’oro dalle altre sostanze.

Il mercurio immesso in acqua entra nella catena alimentare e gli effetti tossici del mercurio, almeno in questo caso, sono certi.

Lo stesso discorso può essere fatto per moltissime sostanze: l’amianto, il glifosato, i PFAS, le diossine, i farmaci e moltissimi microinquinanti che, dopo il loro utilizzo, vengono immessi in ambiente, senza essere trattenuti dagli impianti di depurazione.

Quello che ci manca è soprattutto un uso responsabile delle risorse di cui disponiamo.

Ad esempio ogni prodotto che utilizziamo richiede del consumo di energia in tutte le fasi della sua vita, non solo quando noi lo utilizziamo.

Si definisce energia grigia tutta l’energia necessaria alla vita di un prodotto, che si tratti di una casa, di una lampadina, di cibo, di un medicinale.
La produzione di questa energia richiederà di interagire con il pianeta, portando con sé delle conseguenze negli equilibri verso l’ambiente.
Una intelligente progettazione del ciclo di vita del prodotto ed un uso responsabile da parte degli utenti potrebbe consentire di ridurre l’impatto ambientale.

Attualmente siamo abituati a valutare unicamente due aspetti relativi alle cose che utilizziamo: la loro utilità d’uso ed il loro costo economico.

Ma la produzione e l’uso di prodotti, durante tutto il loro ciclo di vita, comporta molte altre conseguenze che non vengono quasi mai prese in considerazione.

La produzione di beni consuma risorse del pianeta che non sono rinnovabili ovvero che non vengono riciclate dal pianeta con la stessa velocità con cui noi le consumiamo.
A meno che la loro quantità non sia tale da garantirci una disponibilità per decine di migliaia di anni, il che la renderebbe virtualmente infinita, il consumo di risorse non rinnovabili significa che fra X anni i nostri discendenti non ne disporranno più. Il che significa che li obbligheremo a ritornare nelle nostre discariche per riestrarre quelle materie prime dai nostri attuali rifiuti. Non propriamente un atteggiamento responsabile.

La produzione di beni porta in certi casi alla distruzione degli ecosistemi, della biodiversità, di ciò che rende bello e vivibile il nostro pianeta. Già imperdonabile impedire ai nostri discendenti di usufruire di bellezze del pianeta di cui noi abbiamo goduto, ma ancora più imperdonabile è il fatto di privarli di risorse naturali che potrebbero in futuro rivelarsi molto importanti per la nostra sopravvivenza.
Immaginiamo, ad esempio, se si trovasse una cura definitiva del cancro a partire dagli enzimi di un particolare insetto che vive solo in un particolare ecosistema. La distruzione di quell’ecosistema porterebbe con sé l’impossibilità di disporre di quella cura.
La biodiversità è una nostra ricchezza che non possiamo permetterci di perdere.

Abbiamo già parlato sopra dei rischi della dispersione in ambiente di sostanze senza che se ne conoscano neppure gli effetti.
Oggi conosciamo le conseguenze dell’uso dell’amianto, ma negli anni ’70 l’amianto si utilizzava e si disperdeva in ambiente senza porsi, incoscientemente, tanti problemi. Lo stesso vale per moltissime sostanze oggi in commercio di cui probabilmente non conosciamo neppure l’esistenza. E lo stesso potrebbe valere per le eccessive emissioni di CO2 in atmosfera: se anche non siamo sicuri che portino al cambiamento climatico, non possiamo irresponsabilmente affermare che “non è sicuro che porteranno dei danni”.

E concludiamo con l’impatto sociale.
Le attività umane, comprese le attività estrattive di materie prime, del loro trasporto, della loro lavorazione, del loro utilizzo, della loro dispersione in ambiente, ecc. possono comportare anche dei gravi danni sociali.
Le persone non partono dall’Africa per l’Europa solo perché non hanno di meglio da fare, ma lo fanno perché la situazione sociale nei loro paesi non è sostenibile.
Oggi abbiamo Greta Thunberg, con tutte le televisioni al seguito, che protesta per le emissioni di CO2, ma che non dice nulla sui danni sociali provocati dallo sfruttamento delle risorse naturali in Africa o dall’impoverimento diffuso causato in Italia dalle scellerate politiche europee di austerità.

Le ideologie del XIX secolo hanno fatto il loro tempo. Prendiamo quel poco di buono che ci hanno lasciato, ma è venuta l’ora di una nuova ideologia, che porti avanti un approccio razionale e responsabile nei confronti delle attività umane, tenendo in considerazione tutte le conseguenze sociali ed ambientali.
Passiamo dalla visione del mondo fondata solo sull’utilità d’uso ed il costo economico ad una visione del mondo che tenga conto anche degli altri 4 fattori (consumo di risorse non rinnovabili, distruzione dell’ecosistema, dispersione di sostanze in ambiente, impatto sociale) e che tenga conto delle interazioni durante tutto il ciclo di vita dei prodotti che utilizziamo.

 

 

 

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