massimo franceschini blog

Linee guida per una consapevolezza politico-operativa adatta ai giorni nostri

Qui il video dell’articolo

Articolo pubblicato anche su Sfero

 

La consapevolezza maturata in questi ultimi anni in cui mi sono di nuovo interessato alla politica, mi porta ad osservare come i soggetti politici ed associativi che vorrebbero opporsi al mainstream corrano continuamente il rischio di veder vanificati i loro sforzi, da svariati problemi.

Nelle categorie del mio blog e nelle playlist dell’omonimo canale video, ho fatto oggetto tali problemi di una trattazione esclusiva, quasi fosse un nuovo campo di studio, appunto denominato “cosa impedisce una politica alternativa”.

Alcuni di questi problemi posso essere ridotti a un’impostazione ideologica ed esclusivamente antagonistica al “sistema”, con pochissima costruzione politica e propositiva: un “movimento” caratterizzato dal proliferare di sigle e siglette per lo più personalistiche, senza veri statisti, costruzione programmatico-operativa e respiro istituzionale.

Questa situazione ostacola il formarsi di un serio soggetto politico capace di dialogare con gran parte della società civile, la cosiddetta maggioranza silenziosa che oggi non vota o vota in modo cinico e disilluso chi può apparire, magari perché sapientemente orchestrato da regie più o meno occulte, come il presunto “meno peggio” di turno.

Riporto un passaggio dall’articolo in cui esprimevo i migliori auspici per il nuovo CLN proposto dal giurista Ugo Mattei:
A questo proposito, non possiamo non vedere molti problemi di fondo, anche storici: la generale diffidenza della destra al cambiamento, come la vecchia “necessità” della sinistra o dei rivoluzionari tout court di doversi sentire “altro” dalla “semplice” democrazia liberale.

Ma le questioni che rendono inefficace il “fronte alternativo” non finiscono certo qui: oltre ai personalismi che generano una pletora di scissioni e sigle, abbiamo tutta una serie di problematiche alle quali è comunque oggettivamente difficile sottrarsi, questioni che hanno certamente a che fare con la pervasività del pensiero unico dominante di matrice materialista, scientista e tecnicista, in una parola “progressista”, sul quale fanno affidamento le corporazioni che governano tecnica e tecnocrazia.

Un esempio eclatante di ciò mi è parso di poterlo riscontrare, mio malgrado, in alcune affermazioni del pur grande Severino, che commentai umilmente qui.

Forte di queste caratteristiche, il “sistema” è così capace di creare una melassa culturale anche condita da un’apparente “buonismo”, assai melenso ed ipocrita quando funzionale alla guerra, proprio come oggi, grazie al quale si stanno riscrivendo, anche con violenza, storia, cultura e diritto, distruggendone le basi.

La stessa “configurazione umana” appare oggi in pericolo, ormai votata a quella distopia da molti annunciata che possiamo riassumere nella parola transumanesimo, ben inquadrato storicamente dal professor Pennetta qui.

A questo proposito vorrei consigliare la lettura di questo articolo, ma soprattutto di questo, indirizzato alle conseguenze politiche che dovremmo trarne per un attivismo necessario ai tempi che corrono.

Ma c’è dell’altro a peggiorare il quadro: questi meccanismi di potere sono magnificamente portati dalla tecnica, che possiamo considerare la “religione” della modernità – e mi scuso con le religioni per l’accezione negativa del termine, qui necessaria –, con l’avanzato controllo permesso dai social media e dal digitale, destinato a ricomprendere al suo interno ogni caratteristica che dovrebbe qualificarci come esseri umani e cittadini.

A questo proposito, propongo la lettura di questo e questo, scritti a distanza di un mese esatto l’uno dall’altro.

Per rimanere sul tema politico del “fronte alternativo”: i social media, portatori del presente sfacelo, circuiscono la nostra consapevolezza e la percezione della realtà stessa dandoci anche, fra le altre cose, un’impressione di protagonismo ed attivismo del tutto falsata, fattore questo che contribuisce grandemente a depotenziare ogni azione politica contraria allo status quo.

L’attivismo finisce inesorabilmente avvolto nei meccanismi “social”, una versione sopraffina delle “chiacchiere da bar”, ma amplificate e selettivamente “incoraggiate”.

Più in generale, chi gestisce e indirizza le piattaforme riesce con pochissimo sforzo a sfruttare l’enorme appeal del mezzo informatico, oltre a basilari conoscenze dei meccanismi psicologici di massa, per generare vari tipi di divide et impera con un antagonismo indirizzato al “nemico” di turno, oltre a fattori come confusione e distrazione; il tutto va ad aggiungersi all’enorme circolazione di “contenuti”: una situazione perfetta e necessaria a creare una fluidità di continuo “accumulo”, di dati ed emotivo, che non aiuta di certo a percepire e comprendere l’urgenza e la necessità di concreti percorsi politici tesi ad entrare in maniera consapevole, efficace ed importante nelle Istituzioni.

Anche per quanto riguarda la formazione di nuovi soggetti politici, la facilità “estetica” e di contatti permessa dalle piattaforme social, fatto apparentemente positivo, proprio per i meccanismi psico-sociali insiti nel mezzo si traduce facilmente in caos, perdita di tempo, mancanza di profondità, qualità e coerenza.

Tutto ciò è così drammatico, anche perché generalmente non preso in considerazione: è così facile aprire un “partito” su Facebook dall’immagine accattivante e dagli slogan roboanti, trascurando del tutto il contatto con la gente vera e la realtà.

Tutto ciò non aiuta di certo a comprendere come della politica e della situazione del Paese si potrebbe avere un’idea a dir poco distorta, rischiando inoltre di fomentare ulteriori distorsioni.

Molte altre sono le questioni relative alle difficoltà che incontriamo oggi nel momento in cui proviamo a costruire un attivismo politico degno di questo nome, non velleitario e non ispirato unicamente da un moto “di pancia” e teso al ripristino dello Stato di diritto; di nuovo, per approfondire vi invito a soffermarvi con calma sui molti suggerimenti corredati da link presenti in questo articolo.

C’è però un altro fattore, non ancora veramente approfondito nei miei scritti, che ritengo assai utile introdurre qui perché necessario a corredare la parte conclusiva di questo articolo – un elenco di linee guida che ritengo necessarie per una politica “alternativa” adatta al presente.

Questo fattore ha senz’altro a che fare con la melassa cultural-mediatico-progressista cui accennavo prima, apparentemente buonista, che però ottiene un effetto disturbante rispetto alla sua presunta bontà; è un fattore che affianca la normale propensione del sistema tesa a confondere la realtà, debilitare la morale, deprimere la dignità personale e civica, persino lo stesso sistema immunitario di ognuno – ogni riferimento alla presunta pandemia è del tutto voluto –: sto parlando della funzione mistificante, terrorizzante e distraente del giornalismo moderno, come già spiegavo in questo vecchio articolo, una funzione sostanzialmente e selettivamente cronachistica.

Oltre a questo, non possiamo non vedere come il ruolo dei media mainstream sia del tutto opportuno al “governo emergenziale”: la moderna trovata delle oligarchie, continuamente perfezionata per mezzo della “tecnica” con lo scopo di svuotare le istituzioni liberali della democrazia rimanente, pur mantenendole formalmente in piedi.

A tal proposito, consiglio vivamente questa riflessione del grande Giorgio Agamben.

Il giornalismo mainstream, detenuto/controllato dagli stessi centri di potere che posseggono o controllano finanza, corporazioni, moneta e politica, è capace in maniera sopraffina di terrorizzarci quotidianamente con quanto di peggio disponibile dalla cronaca, però sapientemente accentuato e bilanciato con una frivolezza priva di contenuti, ma funzionale alla sottomissione delle comunità alla tecnocrazia guidata dalle corporazioni globali, culturalmente e politicamente diretta alla fatale transizione transumana.

Quest’opera di stordimento culturale e disorientamento civico, fa sì che anche quando cerchiamo di organizzarci a vari livelli, sempre più persone si ritrovino a farlo anteponendo alla politica non solo una vera e propria “antipolitica” più o meno consapevole ma, proprio perché culturalmente ed emotivamente indeboliti, non riescano a far altro che anteporre ad ogni prassi e questione parole d’ordine “buoniste”, di pace ed equilibrio interiore, di unità a tutti i costi, di “risveglio coscienziale”, personale e collettivo: precondizioni descritte come necessarie a farci anche solo capire il mondo che vorremmo.

Questi fenomeni impediscono approfondimenti e suggerimenti di questioni e punti di vista diversi, veicolando di fatto un superficiale conformismo su cui si gettano, anche per quanto riguarda l’attivismo politico ed il giornalismo “alterativo”, tutta una serie di figure provenienti dal mondo della “crescita personale”, della “formazione”, del “benessere” fisico e/o interiore, delle psico-“scienze”, dell’“organizzazione di eventi”, della “sicurezza”, del web e dell’informatica, che evidentemente individuano la politica e l’attualità come nuovo terreno di caccia per le loro attività, se non, addirittura, come unico ambito rimasto dopo la distruzione del loro percorso professionale dovuta ai vari “distanziamenti”.

Anche non volendo, questo conformismo diventa complice della manovra anti-umana e anti-relazionale virata a consegnare la nostra vita ad una “realtà aumentata”, ma povera di reale e naturale umanità.

La distopia distraente verso cui ci stiamo inesorabilmente indirizzando, emotivamente assai appetibile, non sembra del tutto compresa da chi non ha ormai altre energie per cercare di vivere pienamente e fare qualcosa per l’aspetto comunitario che vada oltre il guardare video e kermesse “alternative”.

A proposito della tendenza a spettacolarizzare il dissenso, consiglio la lettura di questo.

Date queste premesse di ordine sociale, culturale, sistemico e psicologico al fattore che vorrei qui introdurre, veniamo alla sua descrizione.

Tale questione ha certamente a che fare con il comportamento umano, più precisamente con un aspetto a mio modo di vedere non generalmente preso in considerazione come dovrebbe in ambito associativo, anche quando si parla di gruppi un minimo organizzati a livello formale.

Questo aspetto riguarda la scorrettezza nei comportamenti e nelle relazioni associative e politiche.

Un fattore da non confondere con la non coerenza, altro grave problema, collaterale, ma distinto.

La questione della scorrettezza a volte sembra sconosciuta nei gruppi del dissenso, anche in quelli più politicizzati: quando dico sconosciuta non intendo non vista, ancora non siamo così atrofizzati a livello di percezione, anche se ci manca poco, quanto piuttosto non presa nella giusta considerazione e gravità.

Senza arrivare al crimine vero e proprio, la scorrettezza è comunque un fattore destabilizzante della comunità: se non affrontiamo coerentemente e correttamente la fonte del problema, le persone che la causano, queste tenderanno automaticamente a perpetrarla sentendosi quasi “autorizzate” dalla comunità stessa, dato che non le ha fermate precedentemente.

Questo, prima o poi, causerà conflitti, perdite di tempo, inefficienze e immobilismo, confusione di modi e ruoli, persino il crollo o la scissione della comunità, del gruppo o dell’associazione.

Troppo spesso, per chi spinge a delle azioni concrete di giustizia da parte del gruppo e della comunità verso gli scorretti, è invalso sentirsi rispondere che queste polemiche “non fanno bene alla comunità”.

In questo modo, si porta il “valore unitario” ad assoluto paradigma, individuando nel sistema di potere l’unico obiettivo su cui puntare gli sforzi, quasi ad intendere che le nostre comunità siano esenti dai normali meccanismi di gruppo, oasi felici e libere delle miserie umane che, di conseguenza, possono permettersi di non attuare politiche di giustizia interne.

Ecco il “buonismo” far così capolino sulla vita associativa, impedendo al gruppo di mantenere una sua etica, interna ed esterna, di fatto ponendo le basi per la continuazione dell’azione disturbante ed irresponsabile degli scorretti.

Bene, dopo questa lunga panoramica, veniamo allo scopo principale del presente articolo: ritengo sia assolutamente necessario porre le basi per un attivismo politico adeguato ai problemi qui accennati ed alla realtà del presente in cui le tensioni sociali, istituzionali e la politica stessa non sembrano più fattori compresi con la necessaria consapevolezza dalla maggioranza.

Vediamo in estrema sintesi il campo su cui stiamo operando.

Ciò che sta accadendo da due anni con la cosiddetta “emergenza sanitaria”, in effetti incubato per decenni e preceduto da una serie infinita di “emergenze”, mostra in maniera definitiva l’erosione di quelli che erano percepiti come irrinunciabili e necessari spazi, processi e valori democratici: questo fenomeno può essere descritto in maniera comprensibile, come una progressiva, controllata demolizione dello Stato di diritto.

La corrispondenza di ciò a livello culturale e sociale, si mostra chiaramente analizzando le direttrici del sistema tecnocratico globale: ora che abbiamo la tecnologia adatta al controllo capillare e sistematico delle persone, vediamo che protocolli, algoritmi e intelligenza artificiale tendono sempre più a sostituire l’aspetto umano, visto evidentemente come variabile da controllare al pari della presunta “inefficienza” delle Istituzioni liberali.

Oltre a questo, dobbiamo definitivamente capire quanto la percezione della realtà socio-politica sia mediata dalle corporazioni globali della tecnica, della finanza e dei media: il vortice di contatti permesso dalle piattaforme rischia, come abbiamo visto, di avviluppare il nostro attivismo in un vicolo cieco di indiscriminate relazioni orizzontali, con un accumulo di dati che non avremo mai il tempo di vagliare e valutare attentamente.

La frenesia così ottenuta impedisce la necessaria ponderazione, il movimento sembra lanciato in un “fare, fare, fare”, “vedere”, “cliccare”, “appoggiare”, “protestare”, “sottoscrivere” e “spammare” tutti e di tutto, come se ogni opzione e “contenuto” valga qualsiasi altro, in ogni ambito e momento, purché apparentemente “in linea” con un “sentire” che si afferma nell’agenda apparentemente “alternativa” in maniera del tutto imperscrutabile: un sostanziale “uno vale uno” che, evidentemente, non può portare a qualcosa di utile e necessario.

Giunti a questo punto, credo si imponga una sterzata politica sia nei contenuti, sia nelle prassi, capace di sostenere le necessità di un attivismo che, consapevole dei problemi qui evidenziati, intenda comunque darsi da fare per organizzare una resistenza ed un’azione costruttiva capaci di incidere sul presente socio-politico.

A tal fine, credo sia utile elaborare una sorta di vademecum adatto alla situazione, che possa servire a riflettere ed orientarsi per capire le necessità politiche ed operative nella situazione attuale.

Per procedere in modo ordinato, iniziamo a distinguere tre ambiti da prendere in considerazione: il primo potremmo chiamarlo aspetto ideale-progettuale, il secondo aspetto comunicativo-relazionale, il terzo aspetto organizzativo-operativo.

Prima di iniziare ad illustrare i tre ambiti, credo occorra ancora una premessa, che potrebbe apparire superflua, ma che oggi, date le innumerevoli problematicità della cultura e della politica qui brevemente descritte, appare necessaria a ridare vigore all’azione politica stessa, addirittura a giustificarne la sua ragion d’essere: in ambito politico, sociale ed amministrativo, qualsiasi ideale, visione, disegno o sistema non è automatico od “auto-applicativo”.

Persino le leggi sono inefficaci quando generalmente ignorate dalla gente.

Non abbiamo a che fare con meccaniche di funzionamento materiali che una volta “accese” vanno avanti fin quando rifornite di energia: gli ideali e le costruzioni sociali del pensiero politico e giuridico, il loro funzionamento e le “Istituzioni” che le incarnano devono essere certamente ben progettate, ma continuamente sorvegliate e messe in grado di operare al fine di mantenere un ordine conoscibile e prevedibile dal cittadino, in cui vivere e prosperare in comunità.

Queste e solo queste, sono le condizioni capaci di favorire un clima di pace e responsabile sviluppo delle comunità e delle Nazioni.

Se ad oggi i valori e le Istituzioni della politica non sembrano aver retto la prova, è del tutto probabile che siano stati amministrati in modo insufficiente, inoltre logorati da una miope ed irresponsabile “incuria” culturale, politica e civile che li ha indeboliti nei confronti dei numerosi e multiformi attacchi di cui sono sempre più oggetto.

ASPETTO IDEALE-PROGETTUALE

La necessità di chiarezza, volta alla formazione di una politica che voglia essere inclusiva ed incisiva in modo efficiente, impone una scelta valoriale che non deve lasciare dubbio alcuno sulle direttrici di pensiero utili a generare una chiara linea d’azione: credo che l’orizzonte politico più adatto ad unire il più alto numero possibile di cittadini e forze della società civile, non possa essere altro se non quello della democrazia liberale, in quanto unica forma politica capace di concepire il necessario ed auspicabile equilibrio.

Di seguito vediamo esattamente cosa intendo, preso per comodità dall’Enciclopedia Treccani:
liberaldemocrazìa Regime politico basato sulla combinazione del principio liberale dei diritti individuali con il principio democratico della sovranità popolare. Spesso viene usata, come sinonimo, l’espressione ‘democrazia liberale’. In entrambi i casi si intende sottolineare che il riconoscimento della sovranità del popolo va di pari passo con l’intangibilità di una serie di libertà individuali (pensiero, religione, stampa, impresa economica).

Questo tipo di regime trova naturalmente espressione nello Stato di diritto, di cui credo necessario ribadire il carattere essenziale con questo estratto dalla definizione seguente, sempre da Treccani:
Stato di diritto […] Lo S. di d. è uno Stato limitato e garantista, per la difesa dei diritti dei cittadini: pertanto si fonda sia sulla separazione dei poteri legislativo, giudiziario e amministrativo (gli ultimi due autonomi, ma subordinati alla legge) sia sulla coscienza che solo il diritto può dare alla società stabilità e ordine, con le sue norme chiare e certe, generali e astratte (e quindi impersonali), un diritto sempre subordinato a quella legge fondamentale che è espressa dalla costituzione. È un diritto concepito per una lunga durata, perché deve garantire ai singoli la prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni.

Ecco quindi apparire il terzo grande fulcro di quanto sto dicendo, l’anima stessa delle istituzioni che auspichiamo: la Costituzione Repubblicana.

A proposito del nostro Paese, non possiamo non ricordare come, coerentemente al quadro di valori che stiamo delineando, già all’Art. 2 la nostra Costituzione afferma di riconoscere e garantire i “diritti inviolabili dell’uomo”: promulgata alla fine del ’47 ed in vigore dal ’48, risentiva certamente dei lavori in corso nell’apposita commissione, presieduta da Eleanor Roosvelt, che proprio alla fine del ’48 darà vita ai 30 articoli della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, da me commentati qui.

Credo che il quadro sia così completo, sostenuto da un’ulteriore considerazione: a ben vedere, democrazia liberale, stato di diritto, costituzione e diritti umani sono i quattro valori più in crisi al giorno d’oggi, sottoposti ad un feroce quanto dissimulato attacco culturale e giuridico, prova non trascurabile del loro valore e della necessità di farne, finalmente, una  vera e percorribile linea di demarcazione politica.

Ogni considerazione sul fatto che la loro crisi possa essere compresa nella loro idealità od essenza, non negli attacchi cui sono sottoposti e nella mancanza o insufficienza di un costante lavoro di attuazione, “manutenzione” e miglioramento, non fa altro che sostenere posizioni massimaliste e velleitarie, spesso ancorate a quelle ideologie che nel ‘900 hanno quasi inghiottito la storia e la stessa umanità e che non sembrano affatto capaci di difenderci dall’oscuro fascino dell’incombente distopia transumanista.

Passando ora ad una progettualità politica coerente con il quadro ideale appena affermato, credo si debba trarre da questa visione e dalla situazione politico-mediatica del Paese delle necessarie conseguenze, considerando certamente la situazione di forte “deterioramento” culturale, civile e politico, con la trasposizione della politica in prodotto mediatico spettacolarizzato e la disparità di forze in campo fra il maistream ed i “riformatori”: qualsiasi analisi o messaggio o posizione o battaglia non contenga indicazioni sul cosa fare da un punto di vista culturale, mediatico, politico ed istituzionale, rischia di risultare non solo incompleta, limitandosi alla sola critica allo status quo, ma potrebbe per questo facilmente prestarsi a strumentalizzazioni di carattere antagonistico e/o settario, posizioni destinate, come l’esperienza ampiamente dimostra, a rimanere fortemente minoritarie.

Riguardo al “che fare”, annoto generalmente una carenza particolare nei programmi politici: non si legge mai come in effetti ci si dovrebbe comportare nelle Istituzioni per far valere la rappresentanza, cercando di ridurre al minimo il problema di rimanere imbrigliati nella burocrazia, nelle manovre lobbistiche e nelle enormi pressioni di carattere oligarchico e corporativo.

Insomma: quale percorso per riformare progressivamente la cosiddetta “costituzione reale” cui si vorrebbe da decenni uniformare quella “formale”?

Da dove iniziare?

Normalmente ciò non è indicato nei velleitari ed irreali programmi politici del fronte “alternativo”.

Oltre a tutto ciò, e più in generale, la storia ci insegna che qualsiasi soggetto politico non si doti di serietà, sostanza, metodo, contenuti, programmi e prassi trasparenti e conoscibili, rischia in sostanza tre problematiche: la prima è quella di farsi veicolo carrieristico per pochissime persone, spesso solo una o due; la seconda è quella di diventare in maniera non chiara e non dichiarata un mero sostegno per una formazione più grande, di cui magari inizialmente se ne criticavano le posizioni incoerenti e “morbide”; la terza è quella di diventare facilmente permeabile a interessi diversi da quelli del Paese, anche utili a far emergere “personalità” più o meno discutibili, ma per qualche ragione “visibili” e capaci di dirottare progressivamente il dissenso nel mainstream, annullandone la forza propulsiva iniziale.

Chiarezza e coerenza contenutistica e ideale, abbinate ad un serio lavoro progettuale ed a prassi di trasparenza e correttezza: questo è il “pacchetto” necessario nella situazione politica odierna caratterizzata da mistificazioni, perdite di ideali, memoria, consapevolezze civili ed istituzionali.

Ultimo aspetto, forse il più importante data la situazione di deterioramento appena delineata, riguarda l’obiettivo dell’attività politico-organizzativa.

Ciò che accade normalmente è quanto segue: il nuovo soggetto politico si rivolge ad un’area di dissenso e militanza raggiungibile con una certa facilità, per certi versi subito disponibile, anche perché, eventualmente in caso di precedente scissione, frazione di un “bacino di utenza” già esistente; normalmente, la nuova formazione politica ha un veloce incremento iniziale di seguaci, per poi fermarsi senza più crescere.

Questo è comprensibile se teniamo conto delle carenze politico-progettuali prima evidenziate, che in sostanza impediscono al soggetto politico di poter anche solo considerare di dover allargare la sua visuale di militanza per poter intercettare la società civile.

Tale parabola si sconfigge con solidità progettuale, sagacia strategica ed operativa, realistica e necessaria lungimiranza negli obiettivi, da delineare come punto di arrivo di un percorso comprensibile e trasparente.

Solo così si può sconfiggere l’antipolitica e riportare il cittadino cinico e disilluso ad interessarsi della cosa pubblica.

ASPETTO COMUNICATIVO-RELAZIONALE

Se si vuole essere incisivi, coerenti con i principi e con la necessità di togliere fiato all’antipolitica, l’aspetto comunicativo deve essere assolutamente coerente con quello ideale-progettuale, soprattutto per quanto riguarda chiarezza e trasparenza, sia interna, sia nelle relazioni che il soggetto politico intesse con altre associazioni e con la cittadinanza, a qualsiasi livello.

La trasparenza non deve essere solo nell’istituzione del soggetto politico e nel suo funzionamento, ma anche nel possibile dialogo con gli iscritti e con l’elettorato: per le linee guida e gli obiettivi politici relativi ai vari settori del Paese e dell’Amministrazione, si dovrebbe permettere alla società civile di contribuire alla loro integrazione ove si riscontrino contributi coerenti e migliorativi.

Non tutto ciò che viene prodotto dal “movimento d’opinione” è necessario o all’altezza, ma occorre accogliere nuova linfa vitale quando coerentemente espressa, soprattutto se portatrice di contenuti condivisibili e innovativi.

A questo proposito, credo che il soggetto politico debba fare tutto il possibile per sollecitare individui e forze positive del Paese, anche con inviti diretti e personalizzati alla collaborazione con tutte le persone e le associazioni che si ritengano potenzialmente in linea con i valori e gli obiettivi politici da raggiungere.

Quanto appena detto non si riferisce solo a chi in qualche modo sia già conosciuto e attivo ma, con una ricerca specifica nei vari settori, soprattutto a quanti siano individuati come apprezzabilmente adatti ed opportuni, in modo da far emergere dalla società civile personalità e forze di valore che finora sono rimaste per vari motivi nell’ombra.

La decennale demolizione e demonizzazione della politica ha devastato il tessuto democratico, ma il nostro Paese è certamente ricco di talenti oggi necessari al miglioramento, che forse non hanno visto come e dove esprimersi.

Diamogli un’occasione di riscoprire il valore della dimensione e dell’impegno civile.

ASPETTO ORGANIZZATIVO-OPERATIVO

Ovviamente, per questo aspetto valgono gli stessi principi di chiarezza e trasparenza, che devono necessariamente tradursi in prassi organizzata.

Questo vuol dire che il soggetto politico deve individuare ruoli e compiti, da suddividere in maniera accorta, partendo dai primi organizzatori e fondatori, fino all’ultimo giovane militante.

Da questo lavoro iniziale deve necessariamente spuntare un organigramma, da svilupparsi contemporaneamente all’espansione e al consolidarsi del soggetto politico.

Tale organigramma sarà da esempio per ogni comitato e sezione, che dovranno proporzionalmente replicare lo schema centrale in modo da dare continuità e prevedibilità all’azione e all’espressione del soggetto politico.

Una delle cose da sottolineare e su cui spingere continuamente, sarebbe l’idea di far sì che il soggetto politico tenda a mostrare, per quanto possibile e con le debite proporzioni, come potrebbe essere un vero Stato di diritto dalla parte dei cittadini, in modo da mostrare all’opera i valori che si professano, mettendoli alla prova dei fatti.

L’aspetto organizzativo ed operativo ha, in fin dei conti, il compito di tradurre in realtà funzionante gli ideali, i rapporti ed i progetti della politica, per far sì che il rinnovamento della stessa non sia uno slogan buono per l’ennesimo cavallo di Troia utile a perseguire interessi particolari di qualche tipo.

E siamo così giunti alla conclusione di questo breve ma intenso percorso, nella speranza che non sia troppo tardi per compiere uno sforzo, certamente arduo ed irto di pericoli, necessario a far sì che la nostra generazione non sia stata solo inerme spettatrice del declino della civiltà dei diritti umani, ma possa fregiarsi del merito di essersi accorta, anche se in extremis, delle necessità di questo tempo.

Se non lo faremo noi, i giovani ammaestrati dalle corporazioni non avranno altri orizzonti del pensiero capaci di portarli al di là dei disegni della tecnica.

 

Massimo Franceschini, 30 marzo 2022
Fonte immagine: Curriculum Nacional

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