POLITICA ALTERNATIVA IMPEDITA DA VARI PROBLEMI CULTURALI

diritti umani

Non solo violazioni a democrazia e diritto sistemiche impediscono un pensiero politico divergente, ma anche varie problematiche culturali interne al movimento alternativo

(Questo articolo è da considerarsi come una mia personale visione, non rappresenta la posizione della CSP. Ovviamente sono apertissimo al dibattito)

 

Questo articolo intende evidenziare svariate problematiche interne al movimento alternativo, ed al suo “spettro culturale” che, purtroppo, vanno a sommarsi alla sua ormai evidente incapacità ad unirsi, dovuta a personalismi, tatticismi e ideologismi vari. Iniziamo.

Uno dei problemi dell’azione politica “alternativa” odierna è, come scrivevo qui, quello delle tematiche “oltre-politiche” che, anche quando non sfociano in un vero e proprio esoterismo, non penso siano adatte alla politica, soprattutto nel tragico momento della nostra morente “democrazia”.

Navigando nel web della contro-informazione e dell’impegno politico, ho spesso la sensazione che si stia andando completamente fuori strada: o si fa politica, o si fa filosofia, psicologia, ricerca, anche su questioni “esoteriche”.

Confondere gli ambiti porta, a mio avviso, svariati problemi.

Un esempio di ciò lo abbiamo con Mauro Scardovelli: un grande attivista, anche giurista e psicologo, portatore di alcuni argomenti sui quali mi allineo totalmente, come ad esempio quelli relativi a Costituzione e diritti umani come fari dell’azione politica.

Purtroppo, a mio parere, Scardovelli compie un errore che definirei esiziale, almeno se vediamo come urgente necessità quella di riunire un fronte sovranista e “costituzionalista”, massimamente inclusivo: un soggetto tale da poter incidere a livello politico, e dare così una chance alla liberazione del Paese dall’occupazione di logge, corporazioni e “stati profondi” vari.

L’errore, che a mio parere risulta controproducente, è quello di includere negli interventi politici fattori, concetti e contenuti che esulano dalla politica, strettamente intesa, per investire la dimensione personale, psicologica, addirittura spirituale dell’uomo.

Non intendo certo affermare che l’aspetto psicologico non incida sulla politica, anzi, tutt’altro, come scrivevo qui in occasione dei 70 anni della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo; il mio discorso è differente.

Per cercare di capire a cosa mi riferisco dobbiamo vedere questo breve video.

Proprio sulla questione posta come fondamentale da Scardovelli, quella del “cambiamento di se stessi”, individuo una prima difficoltà politica.

Fermiamoci un attimo su questa affermazione: il cambiamento di se stessi è indispensabile per cambiare la società.

Politicamente, cosa vuol dire?

Se si intende che una consapevolezza politica, che di fatto cambia la persona come qualsiasi altra comprensione di qualsiasi tipo ok, chi può negarlo?

Se imparo a cucinare un uovo, sono un po’ diverso da ciò che ero prima di averlo imparato, figuriamoci cosa possa significare una comprensione politica e filosofica, un ben altro livello!

Quindi ok, occorre un cambiamento personale per intraprendere un’attività politica che addirittura intenda cambiare la società… ci può stare, ma fin dove vogliamo arrivare?

Come determinare questo cambiamento?

Non certo da analisi del sangue!

Inoltre: il fatto che uno si interessi a certe tematiche e le comprenda, non dimostra già un importante cambiamento?

C’è qualche “autorità” che possa certificare il cambiamento “necessario” e quanto ciò sia reale, sincero e senza doppi fini, tanto per dire?

Non vedete una china pericolosa nel discorso?

Appena più avanti Scardovelli afferma un’altra cosa che potrebbe portare ad una deriva inquietante, anche se, a tutta prima, apparentemente accettabilissima: oggi viviamo in una società profondamente malata.

Con questa affermazione l’autore sposta di netto la questione sociale da un ambito inerente al diritto ed alla politica, al limite “sociologico”, a quello implicitamente “psichiatrico”, definendo gli uomini che compongono la società come bisognosi di “cure”.

Se vogliamo, qui si disvelano due problemi di ordine etico, proprio perché siamo in ambito politico.

Il primo ha a che fare con l’inopportuna importanza data a quelle discipline, che definire “scienze” appare sempre più arduo, per chi disposto a vedere, caratterizzate dal prefisso psico: basta guardare cosa accade ogni giorno nei tribunali, dove ormai il Giudice “abdica” volentieri al suo ruolo di “perito dei periti” per introdurre elementi “psico”, responsabili delle numerosissime sentenze arbitrarie, inopportune, paradossali e violente, in cui si determinano reati che non sono tali, o si “alleggeriscono” veri e propri reati perché soggetti a valutazioni psichiatriche, appunto, di assai dubbia scientificità o valenza giuridica.

Qui un articolo dalla serie sui diritti umani, in cui tengo conto del problema in relazione al diritto sul “giusto processo”.

Il secondo problema che abbiamo nell’introdurre certe “speculazioni”, in ordine alla politica, risiede in un rischio per certi versi simile a quanto accade nei tribunali: affermare che noi in qualche modo siamo “malati”, proprio perché viviamo in una società malata, rischia di mettere in secondo piano le ingiustizie di questa società, dovute a delle ben precise azioni e scelte da parte di chi detiene le leve del potere: a ben vedere, un tipo di deresponsabilizzazione che si rischia di “regalare” ai veri “criminali-democratici”, cioè a tutte le persone, logge, corporazioni ed altre consorterie che riescono ad appropriarsi della democrazia, con la complicità della politica.

Una deresponsabilizzazione per certi versi simile, appunto, al senso di impunità del reo determinata psichiatricamente dal tribunale.

Poco dopo Scardovelli accenna ad un problema inerente al cambiamento di se stessi, un processo assai lungo che può prendere decenni: un’affermazione che potrebbe essere assai discutibile, non perché il cambiamento, meglio, l’evoluzione di una persona non possa durare una vita, quanto del tutto impropria in ambito politico.

Come risolvere la questione dei veri o presunti decenni necessari al cambiamento personale, con la “necessità”, come da Costituzione e diritti umani, di avere una cittadinanza consapevole, attiva e responsabile?

L’autore non sembra tener conto di questo, oppure, se preso alla lettera, potrebbe anche far pensare che l’ambito del governo debba solo essere appannaggio di uomini “sviluppati personalmente”.

Quando l’autore rivela la “soluzione”, che sarebbe data dalla stessa Costituzione con l’Art. 3, sembra evitare il discorso che, invece, non so quanto opportunamente, solleva direttamente: il pieno sviluppo della persona umana, come premessa per la partecipazione di tutti i lavoratori, cioè di tutto il popolo-comunità.

E continua dicendo, in sostanza, che la Costituzione affermerebbe che senza sviluppo della persona umana – precisamente afferma coscienza etica, morale, […] comunitaria – non sarebbe possibile la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione della vita economica, sociale e politica del Paese.

Come la mettiamo con i decenni necessari al cambiamento?

Come determinare esattamente il cambiamento?

Facciamo votare solo gli ultra cinquantenni?

Per la necessaria coscienza etica, morale e comunitaria, come precisata dallo stesso Scardovelli, non basta un’adeguata, completa e rafforzata scuola pubblica?

Le mie domande sono ovviamente tese a dimostrare la non necessità, addirittura la pericolosità di introdurre certi ambiti in politica.

Comunque, vediamo l’Art. 3, perché i Padri Costituenti non affermano esattamente quanto descritto da Scardovelli: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

La partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del Paese e lo sviluppo della persona, trovano impedimento negli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza dei cittadini, ostacoli che la Repubblica ha il compito di rimuovere, altro che sviluppo della persona come premessa democratica!

In questo articolo la Costituzione dice esattamente qual è il compito della Repubblica, che diventa automaticamente il programma della politica, non parla di malattie o di “non sviluppi della persona” di sorta!

Gli “ostacoli di ordine economico e sociale” sono dovuti alla politica, non al fatto che le persone non siano “pienamente sviluppate da un punto di vista personale”.

I diritti dell’uomo vengono meno a causa di ben precise scelte nei rapporti di potere, fatte da uomini che riescono a fare dell’ordinamento giuridico il terreno ideale per delle “malefatte” che si trasformano in quelli che si potrebbero chiamare, in quanto addirittura sostenuti da un elettorato non adeguatamente istruito civilmente e malinformato dal sistema mediatico e dalla propaganda politica, veri e propri “crimini democratici”.

L’ingresso nella UE ne è lampante esempio, idem per le innumerevoli privatizzazioni di beni e servizi pubblici, e prima di queste la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia dell’’81.

Certo, il fatto che l’elettorato arrivi ad appoggiare i suoi stessi “carcerieri” indica un pesante grado di “asservimento mentale”, guardando soprattutto all’importanza dei media non bilanciata da un vero servizio pubblico e da una scuola realmente formativa.

Cercare di “risolvere” questo introducendo nella prassi politica esperienze e percorsi di “miglioramento personale” somiglia tanto, a ben vedere, alla prassi  psichiatrica che per mezzo degli psicofarmaci distoglie l’attenzione dall’analisi e dalla scoperta delle vere cause dei problemi, e dal vero aiuto che potrebbe essere dato tramite il “pensiero”, nelle sue svariate sfaccettature, dalla cultura e dalla vicinanza fraterna.

La prima consapevolezza del cittadino, deve essere quella relativa al fatto che sta vivendo in una realtà in cui le basi del vivere civile sono violate da veri e propri reati: violazioni a Costituzione, diritti umani ed allo stesso ruolo dello Stato di diritto, rese “plausibili” da quello che chiamiamo “pensiero unico dominante”, che investe il campo sociale, economico, culturale e relativo alla bioetica.

Questa è la crescita personale necessaria alla politica: una questione culturale, che deve essere supportata da tutta una serie di dimostrazioni relative alle numerose violazioni in ordine al diritto, all’economia ed al vivere civile, possibilmente accompagnate da un progetto operativo politico e giuridico teso a ripristinare il senso dello Stato di diritto, a difendere vita e diritti del suo popolo.

Lasciamo l’ambito del “miglioramento personale”, assai ampio e non riconducibile ad una formula che vada bene per tutte le sensibilità, per ben altri ed alti obiettivi: se perseguiti in un ambiente sociale di nuovo ordinato e creativo, non potranno non essere alla portata intellettuale di sempre più persone.

Politica vuol dire governo della polis e disciplina del rapporto fra eletti ed elettori, sia a livello nazionale, sia nella singola formazione politica.

Filosofie, logiche, religioni e tutto quanto relativo al pensiero è certamente “superiore” alla politica, ambito che ai livelli più alti ne è comunque componente, infatti si parla di filosofia politica, ma il suo indirizzo non può essere imposto: deve rimanere un fatto personale che lo Stato di diritto deve certamente favorire nella società civile, ma senza entrarvi, garantendone solo libertà di accesso alla sua enorme pluralità.

Proprio come da diritti umani, articolo 18.

Se facciamo politica ci atteniamo alla politica stessa ed allo Stato di diritto.

Ebbene, questa istituzione va restaurata, insieme alla Costituzione, perché ora sono completamente devastati.

Quindi, uno sforzo politico “eticamente corretto”, potrebbe essere quello di spiegare cosa dovrebbe essere lo Stato di diritto e cosa dovrebbe fare in base alla Costituzione, e come dovrebbero essere le leggi in uno Stato del genere. Questo sarebbe un programma politico “ideale”, con la conseguente e coerente comunicazione politica, scevra da “esoterismi” ed intellettualismi di varia natura: auspicabilmente libera da lessici ed “ismi” che esulano da ciò, e che giocoforza scavalcano la possibile creazione di una nuova politica democratica, veramente inclusiva.

O il cittadino capisce abbastanza facilmente e direttamente la montagna di finzioni su cui è seduto, ed il fatto che queste finzioni non sono necessarie, anzi, vanno a suo sfavore ed a quello di tutti, oppure continuiamo ad avvilupparci in discorsi tattici ed intellettuali assai lontani dalla gente.

I diritti umani e la ridefinizione di uno Stato di diritto che li attui sono messaggi più che sufficienti a riequilibrare ogni ambito: occorre un programma politico-operativo adatto, e ben comunicato, che spieghi come si possa gradualmente costruire una realtà diversa nei vari settori, economici, sociali, relativi alla vita ed al diritto.

Una nuova forza politica realmente alternativa, e qui pongo la lente su un altro problema culturale, dovrebbe nascere per restaurare le basi dello Stato, nel solco della Costituzione e dei diritti umani, possibilmente evitando di riferirsi a concetti ormai pieni di contraddizioni e di una storia mal raccontata, come capitalismo, liberismo, socialismo e via di seguito: concetti divisivi di cui il cittadino “comune” non ha più una reale definizione, ma che anzi conducono la comunicazione politica in binari da cui le persone distolgono volentieri una già limitata e sovrastimolata attenzione.

Insomma: si spiega la Costituzione e come si intende attuarla passo passo.

Anche la questione dell’uscita dalla UE non si dovrebbe porre: quello che accadrà sarà in relazione a quanto si riuscirà, nel modo più intelligente e comprensibile possibile, a costruire una politica ed una prassi di governo che possano iniziare a restaurare lo Stato di diritto – ad es. implementando una moneta parallela per il mercato interno – attuando i principi della sua Costituzione, che devono tornare ad essere inviolabili.

Il mio umile contributo è, in particolare, in questa serie di articoli che sto scrivendo su quello che chiamo “partito ideale”, in questo primo articolo in cui svolgo considerazioni in ordine alla politica ed all’impegno politico, in questo che per certi versi anticipa quanto qui letto, in cui spiego quelle che per me sono le tre principali necessità se si vuole costruire una vera politica alternativa.

Infine il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani.

Dobbiamo far tornare la politica all’ambito del diritto, altrimenti rischiamo di perdere scopi, obiettivi, analisi ed opportunità, allontanando inoltre quanti, per i motivi più vari, mal si sposano con certe tematiche e con divisioni ormai fuori della storia, mentre potrebbero sostenere un serio impegno politico riformatore.

 

https://www.massimofranceschiniblog.it/,  29 luglio 2020

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