Perché non dobbiamo tagliare la “spesa improduttiva”

di Davide Gionco

Sono almeno 30 anni che sentiamo pontificare su tv e giornali personaggi politici, giornalisti, imprenditori e persino dei sedicenti esperti economisti sulla fondamentale necessità, per l’Italia, di “tagliare la spesa pubblica improduttiva”.

Molti italiani, testimoni degli innumerevoli sprechi di denaro pubblico, sono anch’essi convinti di questa assoluta necessità, in quanto nessun buon padre di famiglia spenderebbe il proprio denaro per opere inutili o per pagare il lavoro di persone nullafacenti. E poi, si sa, se una frase viene ripetuta migliaia di volte in tv, alla fine diventa, per definizione, una frase vera. Persino se fa a pugni con la logica.

Effettivamente non possiamo essere d’accordo con coloro che sostengono la necessità di tagliare gli sprechi di denaro pubblico, in quanto se fosse ben speso potremmo certamente disporre di servizi pubblici più diffusi e di migliore qualità.

 

La grande menzogna del taglio della spesa improduttiva

Nello stesso tempo dobbiamo denunciare con forza la GRANDE MENZOGNA secondo la quale tagliando la spesa pubblica “improduttiva” si farebbe qualcosa di utile per il risanamento del bilancio dello Stato e per l’economia italiana.

La prima riflessione da fare, evidente, è che la spesa pubblica è una componente del calcolo del Prodotto Interno Lordo:
Y = C + I + G + (X-M)
dove:
Y = PIL (prodotto interno lordo)
C = consumi privati delle famiglie
I = investimenti delle imprese
G = spesa governativa (dello Stato)

(X-M) = scambi netti con l’estero

Il fattore “G” non entra nel merito della “produttività” della spesa.
Se la spesa è effettuata, viene registrata come crescita del PIL, anche se lo Stato ha costruito una strada sopraelevata in mezzo al nulla o se paga lo stipendio a dei dipendenti che passano le giornate giocando a carte.
Queste considerazioni valgono anche per i consumi delle famiglie C e per gli investimenti delle imprese I: se queste spese vengono sostenute a fronte dell’acquisto di cose inutili per famiglie e imprese, la statistica non entra nel merito della loro utilità e ne registra il valore come crescita del PIL.

In modo analogo tutti i servizi utili prodotti gratuitamente, senza remunerazione, dalle associazioni di volontariato non rientrano nel computo del PIL, anche se il loro valore economico potrebbe essere certamente misurato in denaro.

Sulla base di queste evidenze, se lo Stato taglia uno spreco utilizzando lo stesso investimento G per acquistare altre cose utili, il PIL rimane invariato, mentre aumenta la disponibilità fattuale di beni e servizi, che il PIL non misura.

Ma se lo Stato taglia dei fondi attualmente utilizzati in modo “improduttivo” senza reinvestirli in altre voci (produttive o meno), il risultato sarà inevitabilmente una riduzione del Prodotto Interno Lordo nazionale.

Constatiamo in questo momento come il PIL non sia effettivamente un indicatore adeguato per misurare l’andamento economico del paese, come peraltro non lo sono neppure altri indicatori che ci vengono quotidianamente proposti sulla stampa. Avremo modo di approfondire in altri articoli questo argomento.

E’ vero che tagliando la “spesa improduttiva”, quindi, si riduce effettivamente la spesa pubblica, ma con quale utilità concreta per noi cittadini?

Di certo non ne traiamo un aumento dei beni e servizi pubblici a nostra disposizione i quali, per aumentare, avrebbero bisogno piuttosto di una riqualificazione della spesa in quella direzione, non di un taglio, ovvero di spendere la stessa cifra per dei lavori utili.

Certo, potremmo in teoria avere una riduzione delle tasse grazie alla riduzione della spesa pubblica, ma se chi ci governa pensa di usare i “risparmi” ottenuti dalla spesa pubblica per “ridurre il debito pubblico”, prima di riceverne un reale beneficio dovremo attendere qualche annetto. Ad esempio tagliando 10 miliardi di spesa pubblica in teoria dovremmo riuscire a risparmiare denaro per ripagare il debito in soli 220 anni. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, ne abbiamo già parlato in questo articolo.
Questo significa che per i prossimi 220 anni, circa 6-7 generazioni, nessuno trarrà vantaggi da quei tagli di spesa.
In compenso 300 mila persone resteranno da subito disoccupate a causa di quei tagli, venendo a mancare non solo il loro stipendio, ma anche a mancare denaro a coloro da cui questi facevano la spesa per mantenere le proprie famiglie.
In questo modo un taglio di spesa di 10 miliardi origina addirittura una riduzione del PIL ben superiore a 10 miliardi, causando quindi perdite di posti di lavoro non solo a carico dei “responsabili” della spesa pubblica improduttiva che venissero licenziati.

Viceversa, se il denaro risparmiato dai tagli alla spesa improduttiva viene immediatamente speso  in modo “produttivo”, allora disporremmo da subito di beni e servizi utili per il nostro benessere di cittadini, senza avere una riduzione dei posti di lavoro.

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