Nella gabbia degli interessi passivi

di Giovanni Lazzaretti
giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

 

Premetto che non ho votato  Salvini. Il che non significa che disapprovo tutto ciò che dice Salvini.

Il leader della Lega, rispondendo a una domanda a Strasburgo, ha detto che intende rispettare il tetto del 3% del rapporto deficit/PIL solo se ciò non rappresenterà un problema per i conti italiani: «Se saremo in grado, lo rispetteremo; ma se devo trovare 31 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’IVA e delle accise, allora no, contratteremo con Bruxelles».

Il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha risposto che il tetto del 3% di deficit/PIL «è una regola comune e di buon senso che permette semplicemente di assicurare che il debito pubblico si riduca. Il debito pubblico è un fardello che pesa sulle nostre economie e che quando diventa troppo pesante pesa sulle finanze pubbliche e impedisce di finanziare i servizi pubblici utili».

E’ ovvio che non è così. Il debito non pesa affatto sulle economie. Quello che pesa sulle economie sono gli interessi passivi, ossia il tasso di interesse che ci applicano i cosiddetti mercati.

Nel 1980 avevamo un debito delle Pubbliche Amministrazioni pari a 114 miliardi. Nel 2016 il debito è 2.218 miliardi. Nel 1980 il rapporto Debito/PIL era 56,0%; nel 2016 era al 132,6%.

Dal 1980 al 2016 le entrate dello Stato hanno sempre superato le uscite. Dal 1980 al 2016 il cumulo degli interessi pagati è 2.516 miliardi.

Quindi il mitico debito originario di 114 miliardi l’abbiamo ripagato 22 volte in interessi passivi. Nel contempo il debito è passato da 114 a 2.218, con un aumento del 1945% (mille novecento quarantacinque per cento). Il nostro debito quindi è stato generato solo dagli interessi passivi.

Possiamo quindi affermare che il debito non è affatto un fardello, il fardello è il tasso d’interesse imposto dai mercati. In una situazione sana il debito dello Stato corrisponde più o meno al risparmio dei suoi cittadini, quindi non c’è alcuna ragione di ridurlo. Ridurlo significa che i risparmi dei cittadini finiscono nelle mani dei pescicani della finanza.

Un po’ come accadrà quando finirà il Servizio Elettrico Nazionale e saremo tutti buttati in pasto ai pescicani dell’energia elettrica, che commerciano energia senza produrla.

Quello che c’è da fare è riportare il debito sotto il nostro controllo: debito dello Stato italiano con gli italiani; tasso d’interesse deciso dallo Stato e non dai mercati; Banca Centrale sotto controllo statale come prestatore di ultima istanza.

Sono sogni, ne convengo. Ma poiché era ciò che già avevamo nel 1980 quando le cose andavano benissimo (quasi tutti lavoravano, quasi nessuno falliva), è giusto e importante che i partiti mettano questi obiettivi nei loro programmi: se non li realizzano, saranno almeno utili per la formazione culturale del popolo.

Noi, che lavoriamo per vivere, vorremmo riavere ciò che avevamo prima che lo sciagurato accordo Ciampi – Andreatta separasse il Tesoro da Bankitalia; e prima che le privatizzazioni consegnassero anche Bankitalia ai privati.

Qualunque parametro imposto dall’Europa non vale nulla di fronte ai vincoli della nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo, il lavoro dell’uomo va tutelato, il risparmio va tutelato.

***

Torniamo a Moscovici. L’Italia, oltre al debito delle pubbliche amministrazioni, ha 3 grandi questioni.

Livello di povertà. Il 30% delle persone residenti in Italia è in situazione di povertà. In dettaglio: 20% povertà da reddito, 12% vive in famiglie a bassa intensità lavorativa, 12% vive in famiglie gravemente deprivate. Ovviamente molti individui “godono” di più condizioni contemporaneamente.

Disoccupazione. Ricordiamoci la domanda che pone l’ISTAT nelle indagini sull’occupazione: «La scorsa settimana lei ha svolto ALMENO UN’ORA di lavoro retribuito?» Non fidiamoci quindi troppo del “numero di occupati”: la disoccupazione cala col trucco di creare una massa crescente di lavoratori poveri.

Esportazione. Funzionano bene le ditte che esportano, male quelle che lavorano sul mercato interno. Significa che, purtroppo, siamo diventati competitivi sul fronte del costo del lavoro (sulla qualità siamo sempre stati competitivi). Il surplus commerciale strutturale non è una virtù, la virtù è far girare il mercato interno.

Prendiamo adesso l’ultimo bilancio dello Stato: 579 miliardi di entrate, 515 miliardi di uscite, 64 miliardi di utile. 72 miliardi di interessi passivi. Perdita 8 miliardi. Provate a risolvere le 3 grandi questioni per via economica e rispettando le regole “di buon senso” di Moscovici: è impossibile.

Crescita di imposte: impensabile con la nostra pressione fiscale.

Tagli nelle uscite: ci si dimentica che la spesa pubblica fa parte del PIL; il taglio della spesa danneggia immediatamente il PIL e quindi anche i rapporti Debito/PIL e deficit/PIL.

Allocazione delle risorse da spese improduttive a spese a più alto moltiplicatore: teoricamente possibile, ma è un processo lento e di dubbia riuscita.

Il combinato di debito + livello di povertà + molto export e poco mercato interno + vincoli europei + disoccupazione rendono impossibile qualunque manovra economica, che non sia solo cosmetica.

Del resto l’abbiamo visto in questi 5 anni: nel quinquennio dei governi non eletti 2012-2016 abbiamo avuto lacrime e sangue, ma il debito delle pubbliche amministrazioni è cresciuto come al solito.

L’unica spesa che va tagliata sono gli interessi passivi: è una spesa fuori dal controllo dello Stato; è una spesa inutile (ossia nessun lavoratore ne sentirebbe la mancanza); è una spesa che, se tagliata, non peggiora il PIL; è una spesa che trasferisce soldi dai poveri ai ricchi.

Quindi, per tornare a Moscovici:

1) in un combinato di debito + povertà + disoccupazione + mercato interno asfittico il 3% deficit/PIL non è una regola di buon senso, ma è follia

2) il debito non è un fardello, ma è la tutela del risparmio dei lavoratori

3) il fardello è il tasso d’interesse, creato dai mercati e dalle regole europee a vantaggio dei redditieri e dei non italiani

4) il tetto del 3% deficit/PIL non riduce il debito, anzi lo enfatizza.

Ecco, questi sono gli uomini di vertice che ci guidano da Bruxelles.

«L’euro rimane una moneta sbagliata, ma non c’è un’uscita solitaria, improvvisa e impossibile. I nostri esperti lavorano a un piano B, lo faremo solo se da Bruxelles arriveranno solo dei no», ha detto ancora Salvini, senza fornire dettagli specifici.

Speriamo che questo piano B sia una qualche forma di emissione monetaria riservata alla nazione Italia. Il pareggio di bilancio, infatti, si può ottenere in 2 modi.

Entrate: T=Tasse (tasse, imposte, accise, multe, canoni, ecc.); BE=Emissioni di titoli di stato

Uscite: I=Spesa pubblica (stipendi, investimenti); BP=Pagamento dei titoli di stato

T+BE=I+BP è il pareggio di bilancio “alla Moscovici”; può scriversi T–I=BP–BE, dove si vede bene che il nostro utile primario viene consegnato integralmente ai redditieri.

Ma provate a inserire la voce M=Emissione monetaria. Il pareggio di bilancio a vantaggio del popolo è T–I+M=BP–BE, dove si vede bene che uno Stato sovrano può dosare M pagando ai redditieri un balzello modesto o nullo.

Uno Stato sovrano che possa emettere la propria moneta in quantità M è in grado di fare fronte al pagamento degli interessi senza tagliare la spesa pubblica e senza aumentare le tasse.

La nOmismatica, la scienza della moneta, potrà salvarci. L’economia dei vincoli europei non può farlo. I vari Moscovici stanno a Bruxelles a difendere lo status quo per i redditieri e contro i lavoratori.

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