NEGAZIONE DEL CONTANTE: UNO DEI CAPISALDI VERSO L’ASSERVIMENTO ALLA TECNOCRAZIA

Il regime tecnocratico di controllo globale avanza senza apparenti impedimenti: prepariamoci a cedere ogni sicurezza

 

Le determinazioni del potere moderno passano tutte, inevitabilmente, per il controllo della tecnologia.

Certo non dal Parlamento che dovrebbe essere sovrano ed espressione del popolo che lo avrebbe “eletto”, una sede che invece da troppo tempo esprime ben altre determinazioni.

Questo non è stato mai più palese di ora, con una “pandemia” che si rivela opportunità perfetta per il sistema tecnocratico che “cura” le nostre vite: il nuovo “governo sanitario” ha di fatto usato l’emergenza come un “fornello” più sofisticato con cui alzare velocemente la temperatura dell’acqua in cui noi, povere rane chomskyane, nuotiamo sempre più rassegnati.

Diversamente dalla metafora del filosofo non moriremo, in senso letterale, saranno gli ultimi spazi della nostra libertà a tirare le cuoia in un gran tripudio di effetti speciali, con l’assenso di rane dalla pelle ormai irrimediabilmente indurita nelle ripetute ebollizioni.

Dall’inizio dell’emergenza sanitaria credo appaia sempre più prepotentemente, anche per chi non era disposto a vedere, come si sia sfruttata la “pandemia”, di cui ora si minaccia il ritorno a breve termine, per implementare delle misure ben precise finalizzate a farci digerire il nuovo Regime di Controllo Globale.

Grande è stato lo sfoggio di messaggi terrorifici, di retorica, consigli e protocolli in ordine alla sanità ed ai comportamenti da seguire: tutti portavano, necessariamente, alla “soluzione” salvifica tecnocratica.

Quindi non solo distanze, mascherine, guanti, schermi: non poteva mancare l’ulteriore stretta sul contante, come paventato già in questo articolo dello scorso aprile del tutto favorevole, addirittura descritto come “irreversibile” – non mi stupisce vista la testata da sempre schierata con i poteri forti delle corporazioni.

Qui invece un articolo dell’ottimo Francesco Carraro, che espone il problema assai più correttamente, in ordine a questioni di libertà personale, privacy, e discrezionalità: normalmente il contante non avrebbe la “magia” di poter sparire dalla tasca da un momento all’altro, se non per mano di un lesto borseggiatore.

Chi più lesto, in effetti, di chi detiene il potere di stampar moneta e rivenderla agli Stati non più sovrani, con il benestare degli Stati stessi che si indebitano con enti dai quali sarebbe meglio stare alla larga?

Svariate sono le finzioni che ruotano intorno alla moneta, idee ormai fisse tese a nascondere come il denaro debba e possa rappresentare una semplice “sovrastruttura” degli scambi umani: stampata senza debito dallo Stato per i suoi cittadini, o raccolta come prestito dei cittadini allo stesso in cambio di un interesse atto a remunerare il cittadino virtuoso, per un debito pubblico “sano” e protetto da sovranità monetaria e Banca Centrale pubblica.

Le finzioni mainstream si arricchiscono quindi di una nuova minaccia tecnocratica: una volta che avremo completamente consegnato i frutti del nostro lavoro o del diritto alla proprietà in mano alle corporazioni finanziarie e bancarie padrone della moneta, alle “paturnie” del “mercato” che mettono a repentaglio economie e risparmi dovremo aggiungere il pericolo che i nostri conti possano subire ammanchi periodici di varia entità, addirittura l’azzeramento, senza che noi si possa fare qualcosa.

Per non parlare di cosa potrebbe accadere a chi indebitato, ma impossibilitato ad onorare il suo contratto, che potrebbe vedersi togliere ogni residuo dal conto in base a ingiunzioni o sentenze che violassero anche il diritto al sostentamento.

L’effettiva libertà di poter disporre delle nostre risorse, e le risorse stesse, potrebbero essere quindi in pericolo, sottomesse a varie, eventuali, immaginabili condizioni “comportamentali” o di altra natura: il logico punto di arrivo per la distopia, di cui parlavo già qui, che inevitabilmente si cela dietro la mancanza di controllo da parte della società civile riguardo alla tecnica ed alla ricerca.

La Cina insegna quindi: con il programma “credito sociale” ed il controllo asfissiante diventa ormai l’avanguardia della tecnocrazia, un esempio di “efficienza”, anche per alcune misure inerenti alla persona, tipo i ragazzini monitorati cerebralmente a scuola.

Sempre la Cina ci informa che possiamo anche dimenticare carte o eventuali microchip, guardare qui, anche se resta da capire l’esatto parametro con cui misurare la corrispondenza fra riconoscimento facciale e carta igienica… forse hanno anche stabilito una gradazione della “faccia da culo”?

Tornando seri, ma sempre più preoccupati, non possiamo non vedere che la Cina, tanto amata anche dai nostri governanti che fanno finta di non vedere le gravissime violazioni dei diritti umani, sta conducendo una partita globale assai pericolosa, nei modi e nei mezzi, dall’Africa alle varie Vie della Seta, una conquista globale di posizioni che potrebbe portare a tensioni dai risvolti assai pericolosi, una sino-globalizzazione dagli esiti imprevedibili.

Tecnocrazia e definitiva sottomissione dei diritti residui a “comportamenti sociali” e ad entità diverse dallo Stato, un processo che vede nell’abolizione del contante un punto di arrivo esiziale per la società civile.

Direte voi: è il progresso!

Certo, ma chi può darmi una giustificazione razionale al fatto che al progresso tecnologico debba corrispondere il regresso del diritto, dello Stato di diritto e dei diritti umani?

Stiamo evidentemente parlando di variabili che hanno a che fare con la natura, la forma e la sostanza del potere moderno, che si sta definitivamente spostando dallo Stato di diritto alle corporazioni globali.

La vera questione che sta dietro la restrizione del contante è quindi quella del potere e del controllo della tecnica: anche se politica e media mainstream sono tesi a distrarre e mistificare in mille modi, una politica alternativa e consapevole che si voglia chiamare tale deve comprendere la portata di questo problema, non più eludibile.

Intendiamoci: non sto escludendo un uso massiccio della tecnica per affrancare l’uomo da “incombenze” di cui potrebbe fare a meno, nei modi in cui questa liberazione non comporti un “regresso evolutivo”, anzi liberando le sue energie superiori in ambiti intellettuali e creativi.

L’esperienza ci dice che non possiamo fidarci dei miraggi corporativi privati: dobbiamo rimettere in moto la sfida dello Stato di diritto per ricostruire una politica tale di questo nome, che faccia dei diritti umani, partendo dalle Costituzioni, il paradigma su cui far ruotare ogni questione, in primis quelle legate alla tecnica ed ai molteplici aspetti della biopolitica.

Solo così potremo immaginare come arrivare ad un futuro in cui faremo tranquillamente a meno del contante, ma anche ai limiti privatistici dei nostri diritti, individuali e collettivi.

 

https://www.massimofranceschiniblog.it/, 23 giugno 2020

fonte immagine: PxHere

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