La legge finanziaria e i bisogni degli italiani: mancano 100 miliardi di euro l’anno

di Davide Gionco
12.10.2019

Mentre l’Italia, ovvero molti milioni di italiani (non un concetto generico, ma persone, con le loro famiglie, il loro lavoro) continua ad essere immersa nei suoi gravi problemi sociali ed economici, il governo ed il parlamento di turno si apprestano a varare la legge finanziaria.

L’Italia continua ad avere milioni di persone in povertà assoluta ed alti milioni di persone a rischio di cadere in povertà.
L’Italia continua ad avere milioni di disoccupati e molti milioni di persone che tirano a campare, con lavoretti part-time, con datori di lavoro che li sfruttano, con l’Agenzia delle Entrate sempre pronta a tartassare le nostre piccole e medie imprese portandole senza remore al fallimento, con le poche aziende che sono riuscite a sopravvivere puntanto sulle esportazioni e che ora devono fare i conti con le guerre dei dazi ed il calo di domanda dei vicini paesi europei, causato dalle politiche europee di austerità. Una tassazione da record mondiale, unita a servizi pubblici sempre più scadenti e inaccessibili.
I servizi pubblici vanno verso lo scatafascio: la sanità ridotta ai minimi termini dai continui tagli, al punto che mancano medici ed infermieri per curarci, manutenzione degli edifici pubblici ridotta al punto che molti edifici sono inagibili, investimenti per infrastrutture (non solo nei trasporti, ma anche nelle telecomunicazioni, nella formazione professionale, nella ricerca, nell’energia…).
I nostri giovani continuano ad emigrare all’estero, al ritmo di 200mila all’anno, spesso persone molto qualificate. Questo senza contare i flussi migratori interne dal Ssud verso il Nord del paese.
A livello internazionale ci sono certamente problemi più grandi di noi, ma francamente l’Italia non dimostra di avere una linea chiara da portare avanti.

Da quasi 30 anni nessuno dei molti governi ce si sono succeduti ha saputo affrontare i problemi economici del paese.
La ragione di gran parte degli insuccessi non è stata la “cattiva volontà” da parte dei governanti o del parlamento, i quali tutti, nei limiti della loro visione politica della società, sarebbero certamente sempre stati ben lieti di porre fine alla disoccupazione ed alla povertà in Italia, di ridurre le tasse e lasciar lavorare le nostre imprese, di migliorare il livello dei servizi pubblici.
La ragione per cui queste cose non si fanno è evidente e chiara a tutti: mancano i soldi per farlo! 

Fino a che il governo del paese non affronterà il nodo cruciale di come trovare il modo per finanziare i tagli di tasse ed i necessari investimenti pubblici, non ci sarà mai alcuna possibilità di finanziare il “libro dei sogni” dei partiti di governo, di quale colore essi siano.

Se la priorità politica è la fine della crisi economica, la prima questione da risolvere non è “l’elenco delle cose da fare”, quello che ogni politico che si ripetti (?) riferisce ai giornali, ma è stabilire quanti soldi servono per far uscire l’Italia dalla crisi economica e come trovarli senza ricorrere alle solite ricomposizioni di spesa, che tolgono soldi a qualcuno per darli a qualcun altro, senza che questo porti ad una ripresa degli investimenti e dell’economia interna, dato che la quantità di denaro circolante non viene aumentata.

Su questo blog abbiamo più volte affrontato l’argomento.
Per fare uscire l’Italia dalla crisi economica occorre una disponibilità di denaro per lo Stato dell’ordine di 100 miliardi di euro l’anno in più rispetto a quelli attualmente in bilancio, questo per almeno 3-4 anni.
Non denaro ottenuto tagliando delle spese per riallocarlo su altre voci, non denaro ottenuto aumentando le tasse, ma denaro “in più”, che prima non circolava e che, dopo la manovra economica, inizia a circolare.

Eppure non è così difficile far saltare fuori 100 miliardi di euro in più a bilancio, usando gli stessi meccanismim che da decenni usano le banche private quando fanno credito a cittadini ed imprese.
Dal punto di vista macroeconomico, se lo Stato aumenta gli investimenti pubblici, la spesa corrente e taglia le tasse, facendo in modo che 100 miliardi in più finiscano nel settore privato (sotto forma di pagamenti ad imprese appaltatrici, stipendi pubblici e maggiore disponibilità di denaro per i cittadini grazie alla riduzione delle tasse), questo significa che quel denaro speso porterà, direttamente o indirettamente, ad un aumento del Prodotto Interno Lordo, alla creazione di nuovi posti di lavoro, ad aumenti di stipendio nel settore pubblico e privato.
100 miliardi in più nel settore privato significa la creazione di almeno 2-3 milioni di posti lavoro in più in un anno, se questa spesa viene correttamente indirizzata verso i lavoratori e non per aumentare i profitti dei soliti monopolisti legati al mondo della finanza.

Il primo grave errorre, comune, a tutte le forze politiche del passato e del presente, è stato quello di porre come priorità delle “cosette” da fare e non il trovare il modo di disporre di 100 miliardi l’anno in più a bilancio.
E’ quello che un caro amico definisce come il “briciolesimo“: spendere immense energie politiche e di comunicazione mediatica per una “riformina” che vale magari 5 miliardi di euro, sottraendoli (peraltro) ad un’altra voce del bilancio, mentre non ci si preoccupa della questione fondamentale di trovare 100 miliardi di euro, da spendersi in quella ed altre riforme, per porre fine alla crisi economica.
Un po’ come se il proprietario di una casa a cui sta crollando il tetto si preoccupasse principalmente del nuovo colore della ringhiera del balcone.
E’ un problema di ordini di grandezza.
Una “riformina” da 5 miliardi a bilancio zero porterà, bene che vada, una crescita del PIL dello zero virgola zero qualche cosa, con la creazione (forse) di qualche migliaio di posti di lavoro, mentre una riforma seria da 100 miliardi aggiuntivi sul bilancio porterebbe, per male che vada, una crescita del PIL del 2,5-3-3,5% ripetuta per diversi anni e la creazione di 2 milioni di posti di lavoro l’anno, fino ad arrivare alla piena occupazione.

Eppure basterebbe avere un po’ di senso costituzionale all’interno dei partiti, ricordandosi che l’art. 1 dice che la sovanità appartiene al popolo e che l’art. 49 dice che la vita democratica del paese non è un fatto esclusivo dei partiti.
E questo significa che chi governa e fa le leggi dovrebbe avere l’umiltà e la lungimiranza di ascoltare anche le proposte dei cittadini, senza limitarsi ad informarsi leggendo il Sole 24 Ore o guardando il TG1.

In questo blog, come esponenti (nel nostro piccolo) del Popolo Italiano, abbiamo parlato in molte occasioni di soluzioni tecniche innovative che consentirebbero di disporre di 100 miliardi l’anno a bilancio, dalla proposta dei minibot (se fosse attuata in modo efficace, ma a quanto pare Borghi è stato lasciato da solo a portarla avanti), alla proposte dei Certificati di Credito Fiscale di Marco Cattaneo, alle statonote di Nino Galloni, ai SIRE di Fabio Conditi (moneta positiva), alle soluzioni della MMT, oltre alle altre ottime proposte dei vari Marco Saba, Nicoletta Forcheri, Alberto Micalizzi, Guido Grossi e tanti altri.

Queste proposte sono state presentate ai parlamentari di tutti i partiti in diverse occasioni.
Per il momento solo gli onorevoli Cabras e Trano hanno avuto la volontà di informarsi e di produrre una proposta di legge in Parlamento.
Fino ad oggi i vari esponenti di governo (quello attuale e quelli precedenti) non si sono neppure degnati di rispondere alla proposta che è stato loro recapitata. Forse perché le decisioni che contano le prendono i dirigenti di partito, non il Parlamento (ma non eravamo una repubblica parlamentare?).
Hanno ricevuto delle proposte di soluzioni tecniche per disporre di 100 miliardi di euro aggiuntivi a bilancio, studiate in modo da non violare i parametri europei, da non aumentare il debito pubblico, da non creare allarmi nel paese, ma non hanno neppure risposto o hanno risposto che “non avevano tempo” o che “avevano altre priorità”.
E, come abbiamo visto, queste “priorità” erano in realtà le briciole su cui, alla fine, si sono consumati i contrasti che hanno portato alla caduta del governo.

Ora lo scenario è sconfortante, in quanto le altre forze politiche in Parlamento sono affette dalla stessa sindrome da briciolesimo.
Anzi, vi la quasi totale sottomissione politica e culturale alle linee di austerità dell’Unione Europea e ad una visione “a bilancio zero” dell’economia.
Qualsiasi nuova maggioranza si formasse in Parlamento, porterebbe avanti le stesse politiche economiche.
Se anche si andasse ad elezioni, continueremmo ad avere al governo che ragiona in termini di “bilancio zero”, che pensa di salvare il paese che ha bisogno di 100 miliardi l’anno facendo “riformine” da 5 miliardi di euro, che non si pove come priorità l’uscita dell’Italia dalla crisi economica.

Se vogliamo avere qualche speranza di uscie da questo incubo, è necessario che le forze politiche, attuali o future, comprendano quali sono le reali priorità del paese, che mettano da parte il briciolesimo e le politiche economiche a bilancio zero, dando invece spazio a soluzioni innovative e coraggiose, che già esistono e sono state sviluppate da persone serie e competenti.
Una volta trovati i 100 miliardi l’anno in più a bilancio, la strada sarà in discesa per tutti, anche per il consenso dei partiti.

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