L’Unione Europea è un progetto politico elitario, figlio di un’analisi storica totalmente sbagliata e che tutela i poteri forti a scapito dei popoli.

I popoli europei, da sempre, chiedono solo di vivere in “santa pace” e in dignitosa prosperità, nulla più di questo.
di Davide Gionco

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura…” scriveva Dante Alighieri nell’anno 1300.
Avete presente com’era l’Europa politica nell’anno 1300?

Era un mosaico di piccoli regni, contee, città libere.
Spesso in guerra fra di loro, in uno stretto legame fra potere militare e potere economico: chi ha più soldati vince le guerre ed estende il territorio su cui può esercitare il dominio economico, aumentando la disponibilità di ricchezza per la propria casata nobiliare, trasmettendola poi ai figli.
In realtà vi era anche un patto non scritto fra i ricchi nobili ed i servi della gleba o gli artigiani che producevano la ricchezza: noi nobili vi proteggiamo dalle guerre, se dobbiamo fare guerre con altri nobili, non vi coinvolgiamo, voi ve ne state in pace a produrre ricchezza per noi (come servi della gleba o pagando le gabelle). In questo modo le guerre fra le famiglie nobiliari andarono avanti per secoli. Con il passare dei secoli i regni si ingrandivano, arrivando a formare i conglomerati territoriali che sarebbero poi diventati gli attuali stati europei. La dinamica sociale, però, restava sempre la stessa: la popolazione era esclusa da qualsiasi potere decisionale, gli eserciti fatti di nobili e di mercenari al loro soldo combattevano per sottomettere altre città ed altre popolazioni al potere assoluto del re, che diventava sempre più ricco.
Con la Rivoluzione Americana (1775-1783) e poi con la Rivoluzione Francese (1789-1799) nacquero le prime “democrazie”, che misero in discussione il potere assoluto dei sovrani. Sui libri di storia ci raccontano che da allora il popolo avrebbe avuto il potere di decidere. In realtà entrambe le rivoluzioni furono mosse dalle rivendicazioni economiche della borghesia che non intendeva più cedere tutta la torta della ricchezza alla classe nobiliare. Le popolazioni furono coinvolte per favorire il rovesciamento del potere costituito, concedendo loro in cambio il contentino del diritto di voto, facendo loro credere che la “Demo-crazia” si riduca al diritto di esprimere la propria opinione ogni 4-5 anni su chi debba governare il paese.
Ma la realtà è che, nonostante la fine del potere delle classi nobiliari, le decisioni che contano hanno sempre continuato a prenderle le persone più ricche dei vari paesi, le quali in molti modi hanno continuato ad operare per limitare il potere decisionale del popolo e per condizionarlo attraverso tecniche sempre più efficaci di propaganda.
E infatti le guerre, con uso degli eserciti, continuarono anche fra le nazioni “democratiche”, per garantire l’arricchimento a coloro che già erano ricchi. Verso la fine del XIX secolo si arrivò ad una situazione limite in cui pochi grandi stati, ciascuno retto dal proprio gruppo di potere economico, avevano preso il controllo dell’intero territorio europeo, con relativa popolazione sottomessa.

Nell’Europa dopo il congresso di Berlino del 1878 vediamo solo 6 imperi (Impero Russo, Impero Ottomano, Impero Austro-Ungarico, Impero Tedesco, Impero Francese, con relative colonie, Impero Britannico, con relative colonie), più poche altre nazioni sovrane, fra cui Belgio, Olanda, Portogallo e Spagna, anch’essi detentori di domini coloniali, a cui l’Italia si sarebbe aggiunta nei decenni a seguire (Eritrea, Libia, Etiopia).

Non guardiamo a questa Europa del XIX come ad un gioco del Risiko, ma guardiamola dal punto di vista sociale.
Nel corso di alcuni secoli si erano affermati in Europa poche grandi nazioni, che avevano inglobato il frammentato mosaico del 1300, concentrando il potere decisionale sul destino delle popolazioni nelle mani di pochissime persone. La popolazione era esclusa da qualsiasi potere decisionale

Al fine di massimizzare la forza degli eserciti i grandi regni o “finte-repubbliche” ebbero l’idea di trasformare in soldati tutti gli uomini disponibili sul proprio territorio, imponendo la leva obbligatoria, cosa che in Europa non avveniva da molti secoli, dai tempi dell’antica Roma.
Al fine di trasformare dei contadini pacifici ed ignoranti in soldati combattenti la propaganda del sistema di potere creò il concetto di “nazione” e di “patria” esteso all’intero territorio controllato dal gruppo di potere attraverso lo Stato. In questo modo i soldati venivano mandati a combattere, e a morire, per “ingrandire la propria nazione”. Dall’altra parte, ovviamente, c’erano altri poveracci come loro, la “divisa di un altro colore” cantata da De André, convinti a suon di propaganda (ma anche sotto la minaccia di fucilazione per renitenza alla leva) a combattere per gli interessi del gruppo di potere del loro stato. In questo modo le guerre avvenute in Europa tra la fine del XIX e la metà del XX secolo sono state presentate sui libri di storia come guerre fra stati nazionali. Erano effettivamente viste così, perché questo raccontava la propaganda di regime che spingeva i soldati a combattere. Ma la realtà storica è che tutte queste guerre sono sempre state decise da ristretti gruppi di potere che combattevano contro altri ristretti gruppi di potere, al fine da aumentare il loro controllo sulle ricchezze del territorio (materie prime e lavoro delle persone). La popolazione era esclusa da qualsiasi potere decisionale.
Non stiamo sostenendo che non esistano delle culture, delle affinità e delle tradizioni che portano le persone ad identificarsi in un popolo che vive in un’attuale nazione. Stiamo sostenendo che queste identità sono solo una delle componenti dell’autodeterminazione dei popoli e che queste non sono mai state la causa dei conflitti bellici.
Nel 1300 la frammentazione politica, l’utilizzo di monete diverse da territorio a territorio, addirittura da città a città, non erano un motivo di divisione fra gli abitanti dell’Europa. Ogni città, ogni piccolo territorio aveva una propria identità e rispettava quella dei vicini. Le diversità di lingua, di cultura e la frammentazione politica non erano affatto un ostacolo né per la diffusione delle conoscenze, né per i commerci e l’economia. Ecco una mappa con le principali tratte commerciali del tempo.

Allora come oggi i cittadini europei chiedevano solo di essere lasciati in santa pace dai loro governanti e dai gruppi di potere.
I documenti politici che più di tutti hanno ispirato la nascita dell’Unione Europea sono il Manifesto Pan-Europa del conte Coudenhove-Kalergi ed il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Pur con le loro differenze questi documenti propongono come soluzione per evitare il ripetersi di guerre in Europa il superamento degli “stati nazionali”, la cancellazione delle frontiere, una moneta unica.
Lo schema logico è semplice: da secoli le nazioni si fanno guerra per primeggiare le une sulle altre. Eliminiamo le nazioni, unificandole tutte insieme, e non ci saranno più guerre.
Questo ragionamento, però, è privo di fondamenti storici, come abbiamo spiegato prima. A farsi le guerre erano i gruppi di potere, non i popoli europei, i quali avrebbero vissuto in pace per secoli se non ci fossero stati i gruppi di potere avidi di ricchezza legati ai regnanti oppure operanti all’interno delle democrazie moderne). Le popolazioni sono sempre state escluse dal potere decisionale oppure sono state manipolate con la propaganda per conformare l’opinione pubblica alle decisioni già prese dai potenti.
Nel secondo dopoguerra, con la crescita culturale della popolazione, si sono effettivamente realizzate delle concrete situazioni di democrazia, in cui la popolazione è stata in grado di imporre la propria volontà su quella dei gruppi di potere. Questo grazie alla minore influenzabilità della gente. Queste esperienze di Democrazia si sono attuate all’interno degli stati nazionali, nati storicamente per altri motivi, attraverso la scrittura di “leggi nazionali” le quali tutelano i diritti del popolo di fronte ai soprusi dei potenti.
Le frontiere fra stati nazionali, oggi, sono quindi innanzitutto delle frontiere giuridiche all’interno delle quali la Democrazia è più o meno tutelata: passando dall’Italia alla Francia cambia il sistema di leggi a cui si è sottoposti, tutto questo mentre le persone e le merci continuano a circolare.
La progressiva eliminazione degli stati nazionali in Europa si sta realizzando creando un sistema giuridico sovranazionale al quale gli stati-nazione democratici si devono sottomettere. E’ certamente un modo per porre fine alle guerre fra stati nazionali, in quanto i gruppi di potere di una nazione non hanno più l’interesse ad aggredire i gruppi di potere delle altre nazioni, ma è anche un modo per esautorare le democrazie nazionali sostituendole con una non-democrazia sovranazionale.
Le conquiste territoriali del passato avevano lo scopo di sottoporre quei territori e quelle popolazioni al sistema di potere della nazione conquistante, con il proprio sistema di leggi che era funzionale alla tutela degli interessi dei poteri forti di quella nazione. Con la creazione di un sistema giuridico sovranazionale i gruppi di potere non hanno più la necessità di ricorrere alle azioni militari (non in Europa, almeno), ma non per questo si è arrestato il loro spirito di ricerca di arricchimento, che per secoli è stato la causa scatenante di tutte le guerre in Europa. Le azioni militari vengono sostituite dall’azione di lobbying presso le istituzioni europee che determinano il diritto sovranazionale.

L’allontanamento del centro decisionale dalla popolazione aumenta la “distanza democratica” fra il popolo e chi decide: più il potere legislativo si allontana dal popolo, tanto più crescerà l’influenza delle lobbies e si ridurrà il controllo popolare.
L’Unione Europea nata ispirandosi ai manifesti di Kalergi e di Spinelli sta eliminando gli stati-nazione non per porre fine alle guerre, che comunque con degli stati veramente democratici mai avrebbero luogo, ma per sostituire il potere legislativo democratico degli stati-nazione con un potere legislativo non democratico a livello continentale, al fine di garantire l’arricchimento dei gruppi di potere, ciò che prima, per secoli, si era fatto attraverso le guerre.
L’azione di queste lobbies sta creando molte tensioni a livello europeo e sta favorendo, come reazione, l’ascesa di partiti nazionalisti nei vari stati. La gente chiede questo, perché vuole che le leggi siano fatte dal proprio parlamento che hanno votato e non dalle lobbies che gravitano intorno alle istituzioni europee. Non si tratta quindi dello stesso “nazionalismo” che veniva utilizzato in passato per giustificare azioni militari di nazioni contro altre nazioni.
I poteri forti non agiscono solo per via politica internazionale, ma operano anche utilizzando sempre più sofisticate tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica, come quelle della finestra di Overton, l’ingegneria del consenso di Bernays, il “there is no alternative” di Margareth Thatcher, l’informazione manipolata dagli “spin doctors” e molte altre.

La questione è molto seria: l’Unione Europea attuale è totalmente inadeguata all’unica esigenza dei cittadini europei: vivere in santa pace ed in modo economicamente dignitoso. L’Europa è diventata la risultante del processo secolare di concentrazione del potere da parte dei poteri forti, mantenendo solo delle parvenze esteriori di democrazia, quello che viene anche chiamato “ordoliberismo”. La popolazione è esclusa da qualsiasi potere decisionale con una oggetiva difficoltà ad interagire con istituzioni come la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, l’Eurogruppo, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. Aveva ragione Karl Marx: è una lotta di classe. Prima avveniva all’interno degli stati-nazione, oggi avviene a livello sovranazionale, sottomettendo gli stati-nazione ed i popoli agli interessi dei poteri forti.

Di quale Europa abbiamo bisogno, quindi?
Non abbiamo bisogno di una Europa che esautora il potere legislativo degli stati-nazione. Anzi, sarebbe bene riportare il potere legislativo e democratico agli stati-nazione, che quantomeno dispongono di istituzioni più democratiche. Se consideriamo il fatto che gli stati-nazione son a loro volta spesso troppo distanti dalla popolazione e soggetti all’azione delle lobbies, forse sarebbe addirittura il caso di portare il potere legislativo ancora più vicino ai cittadini, riducendo il potere degli stati-nazione in favore di maggiori autonomie territoriali locali.
Non abbiamo bisogno di una Europa che tutela i grandi gruppi economici, attraverso la liberalizzazione dei flussi di merci e dei capitali, attraverso la moneta unica, attraverso il sistema bancario internazionale.
Noi cittadini europei vogliamo solo vivere in santa pace e in dignitose condizioni economiche. Per questo abbiamo di una Europa che si limiti a favorire la qualità della nostra Democrazia.
Per fare questo non abbiamo bisogno di organismi decisionali a livello continentale, non di una commissione europea, non di un parlamento europeo che voti delle leggi. Ma sarebbe utile avere un’assemblea comune europea, a carattere consultivo, che elabori delle proposte per aumentare gli spazi di democrazia diretta, per tutelare la libertà e la qualità dell’informazione, in modo che i popoli europei prendano coscienza dei modi in cui i poteri forti esautorano la Democrazia, per poi difendersene. Un’Europa che ci tuteli dai condizionamenti culturali ed emozionali delle tecniche di manipolazione di massa adottate dai gruppi di potere.
Avremmo bisogno di una Europa dei cittadini, che metta al centro del suo ruolo politico l’attuazione della sovranità popolare a tutti i livelli, non attraverso un’attività legislativa, ma attraverso un’azione principalmente culturale.
Per garantire la pace ed il benessere dei popoli europei è semplicemente necessario rimuovere la causa dei conflitti bellici del passato, che non sono mai stati gli stati nazionali, ma sono state i soprusi secolari dei gruppi di potere economico.
Da questi soprusi ci si libera solo aumentando gli spazi di reale Sovranità Popolare, quella citata nell’art. 1 della nostra Costituzione.
Si tratta di un processo innanzitutto culturale, che poi si attua giuridicamente all’interno dei parlamenti nazionali. Garantito quello, ogni popolo potrà essere libero di autodeterminarsi come meglio crede, in pace con i propri vicini di casa e con prosperità economica sul proprio territorio.

Se proprio dovessimo adottare delle regole comuni europee, queste dovrebbero essere pochissime:
1) Adozione di una unità di conto comune per il commercio fra stati europei, simile al bancor di Keynes, finalizzata a mantenere in pareggio gli scambi commerciali
2) Qualcosa che impedisca l’utilizzo degli eserciti per aggredire le altre nazioni
3) Forti limitazioni alla circolazione dei capitali, che oggi consentono ai poteri di economici di operare facilmente dove vogliono e come vogliono.
4) L’obbligo di scambi culturali a livello continentale, per conoscere e rispettare gli altri popoli.

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