Lo Stato profondo e le nazioni profonde

di Jure Georges Vujic, giurista

Abbiamo tradotto questo interessante articolo di geopolitica che offre un punto di vista sul ruolo del “Deep State” (lo stato profondo) nella politica delle nazioni e del mondo, ma anche sulle reazioni di difesa da parte del popolo, quando può votare.

Tratto e tradotto da:
https://www.polemia.com/letat-profond-et-les-nations-profondes/


 

Cos’è dunque questo Stato profondo che, proveniente dagli Anglosassoni, compare sempre di più negli articoli accademici di geopolitica?
Il suo contorno non è ben definito e il nostro contributore Jure Georges Vujic, giurista franco-croato, definisce il modo in cui questo Stato profondo è compreso negli Stati Uniti.

Lungi dall’essere un concetto cospirazionista, sarebbe, secondo Andrew Korybko, giornalista ed analista politico dell’agenzia Sputnik, « un altro modo di definire le burocrazie permanenti militari, dei servizi segreti e della diplomazia di qualsiasi nazione…», con tutti le conseguenze che un contropotere è in grado di causare.

Lo Stato profondo è oggi un’espressione di moda, dopo che Peter Dale Scott ne ha fatto l’esegesi nel suo libro “The American Deep State”. Dale Scott ha lui stesso attribuito l’espressione “Stato profondo” alla Turchia nel 2007, mentre scriveva “The Road to 9/11”. Dopo il 2013 ed il colpo di stato militare in Egitto, con le rivelazioni sulla sorveglianza di massa della NSA, l’espressione, diventata subito popolare, è stata ripresa dai principali media statunitensi, il New York Times o il Wall Street Journal, che ne hanno fatto il paradigma che descrive meglio, sotto un doppio carattere di paranoia ed opacità, l’apparato di sicurezza, poliarchico e lobbista, che governa gli USA.

Sull’altra costa dell’Atlantico lo stesso paradigma, sotto la penna di Edwy Plenel, definisce in Francia lo Stato profondo francese come un “piccolo mondo di graduati e di diplomati, di accademici e di esperti, che si crede proprietario di un interesse nazionale di cui il peggior nemico sarebbero le votazioni parlamentari, l’informazione trasparente ed il pluralismo partigiano”. Il presidente Hollande aveva egli stesso riconosciuto questa politica profonda di destabilizzazione e d’ingerenza in Siria, consistente nell’armare segretamente delle fazioni ribelli a partire dal 2012.

In breve, attraverso un singolare ritorno sulla storia delle idee politiche, lo Stato profondo contemporaneo, lontano dall’essere una tesi cospirazionista, corrisponderebbe in qualche modo a questo “stato nello stato”, un esecutivo ed un centro d’influenza al di là delle leggi, che regna nel segreto degli angeli, che è stato stigmatizzato nelle colonne del Crapouillot e nelle analisi come Les dynasties bourgeoises di Emmanuel Beau de Loménie, Les 200 familles au pouvoir di Henry Coston, La Synarchie di Saint-Yves d’Alveydre, ecc. Si ritrova oggi questa forma clandestina del potere statale nel Maghreb, in Algeria, in Marocco, Israele, le democrazie occidentali che, per quanto trasparenti, non sfuggono alla regola. Lo Stato profondo, detto anche Stay-behind nella sua variante inglese, è una espressione apparsa durante gli anni 1990, che designa, prima di tutto negli USA, l’autorità all’interno dello Stato e della sua amministrazione che è realmente e segretamente decisionale nel lungo termine, al di là dei cambiamenti delle istituzioni rappresentative di facciata, come il governo ed i partiti politici. L’espressione inglese Stay-behind sarebbe apparsa negli anni 1980 in Turchia per designare una forma di governo occulto, visibilmente sostenuto dalla NATO, nel quadro della rete Stay-behind, di cui una emanazione sarebbe l’Ergenekon.

Sociologicamente parlando lo Stato profondo corrisponde allo zoccolo socio-politico, questa rete d’influenza che proviene dall’oligarchia o dalla classe dominante, sia l’autorità che rappresenta gli interessi di certe lobbies (finanza, armamenti, petrolio…), la componente più ristretta, più operativa e più segreta dell’establishment. Si ritrova l’idea di sistema e di uno stato profondo all’epoca della Germania nazista quando si parla di “stato dualista”, nozione attribuita ad Ernst Fraekel nel 1941 per caratterizzare il regime nazista. Quest’ultimo riteneva che il regime nazista fosse composto, in realtà, da due stati distinti: uno “normativo” e l’altro “prerogativo”. Nel primo la burocrazia amministrativa e giudiziaria funziona secondo delle regole; nel secondo il partito, e in particolare la Gestapo, lavora a livello politico senza alcun vincolo giuridico. Il secondo, ovviamente, possiede un potere completo, potendo arbitrariamente sostituire il primo su tutte o una parte delle sue azioni. Questa superstruttura tradurrebbe, secondo Scott Clark, sul piano politico un vero e proprio “sovramondo” che influenza lo Stato pubblico attraverso il sistema dello “Stato profondo”. Per Peter Dale Scott esistono anche una Politica ed una Storia profonde, che rimandano a degli avvenimenti provocati da delle politiche profonde (deep events) o «avvenimenti profondi».

Nel caso americano abbiamo tutti presente il famoso complesso militare-industriale, la macchina da guerra americana. D’altra parte ci viene in mente la dicotomia tra le due culture politiche, i liberali contro i conservatori, in politica estera i falchi contro le colombe, mentre si osserva una continuità nella politica estera e di sicurezza fra le amministrazioni democratiche e repubblicane. Ciò che sembra essere nuovo è la demoltiplicazione e la complessità dei centri d’influenza di questo stato profondo, che si collega con le élites mondialiste finanziarizzate della City di Londra, i banchieri in cerca di rendite e con i diversi gruppi di pressione (massoni, fabianisti, gesuiti, complesso militare-industriale, l’AIPAC ed altre fazioni), ma oggi anche con la superclasse mondiale della rete d’influenza del show-business e della società dello spettacolo.

La questione dello stato profondo risorge nell’attualità con la vittoria di Trump, che ha saputo sedurre un elettorato eteroclita, socialmente impoverito, attraverso il suo discorso anti-sistemico. Resta peraltro una zona d’ombra riguardo il destino ed al ruolo di queste strutture profonde nell’amministrazione Trump con le quali dovrà necessariamente fare i conti. Il significato ed il ruolo delle nazioni profonde nella vittoria elettorale di Trump su un piano culturale e politico supera le sponde dell’Atlantico e potrebbe applicarsi presto alla vecchia Europa in qualità di nazioni radicate in cui sono anche sovrapposte una moltitudine di regioni, di localismi profondi. L’elezione di Trump si iscrive nel quadro di un fenomeno di rottura e di sfaldamento simile – oligarchia, democrature, populismi, Brexit- come dei sintomi rivelatori di questo crescente abisso che separa lo stato profondo e le nazioni profonde. Al di là di una griglia di lettura puramente elettorale, la vittoria di Trump, in qualità di catalizzatore di un movimento di contestazione anti-sistemico, si deve interpretare in termini di geografia elettorale e di guerra culturale. In effetti se ci si rapporta a questa geografia culturale ed al ruolo cruciale delle nazioni profonde, si può constatare che Hillary Clinton a preso la maggior parte dei voti nel Nord-Est, e in modo massiccio (Maine, Massachussetts, Maryland, New Jersey, Vermont, Etat de New York et de Washington), così come in tutta la costa occidentale, con l’enorme stato della California, quelli di Washington e dell’Oregon. Donald Trump ha guadagnato consensi soprattutto negli stati del Sud, compresi i due mastodonti che sono la Florida e il Texas, che non erano scontati. Più, all’incirca, tutti gli stati situati fra gli Appalachi, ad est, e la Montagne Rocciose, a ovest, cioè l’America profonda (Tennessee, Iowa, Nebraska, les deux Dakotas, le Colorado, l’Utah, etc.). Gli stati che hanno votato Trump sono caratterizzati da un’economi reale di produzione di beni : industrie tradizionali, alimentazione, energia (gli stati manifatturieri tradizionali), che hanno votato contro la mondializzazione e gli accordi commerciali di libero scambio. D’altro canto gli stati caratterizzati dall’economia dell’immateriale – la Silicon Valley, Hollywood, la comunicazione e i media, la banca e la finanza – tutto ciò che ha fatto la fortuna della California e di New York, hanno principalmente votato per la Clinton. Trumo ha sedotto la “working class”; le classi media e operaia, facendo campagna contro la mondializzazione e contro l’immigrazione e “l’arroganza delle élites culturali progressiste”. Deve la sua vittoria al passaggio in suo favore del famoso “leftover people”, gli impoveriti, gli emarginati. Ma questi elettori hanno sanzionato i partiti di sinistra che sono passati dalla parte del capitale, del big business, ed i cui interessi sono oramai strettamente legati alle proprie sorgenti di finanziamento: Wall Street, la Silicon Valley et Hollywood.

Se facciamo l’analisi geoculturale e sociologica della vittorai elettorale di Trump per stati, possiamo constatare che riflette in realtà una struttura profonda delle 11 nazioni culturali americane. In effetti, secondo il giornalista Colin Woodard (American Nations : A History of the Eleven Rival Regional Cultures of North America, pubblicato nel 2011), queste nazioni si dividono su una grande varietà di soggetti (le armi da fuoco, l’aborto, l’immigrazione), che spiegano questo importante sfaldamento nei valori fondanti del paese.Secondo Colin Woodard queste 11 nazioni profonde (Yankeedon, New Netherland, The Midlands, Greater Appalchia, Tidewater, First nation, New France, West left Coast, El Norte, Far west, Deep Southsi oppongono ad una visione binaria classica della contrapposizione fra il Nord e il Sud, fra le due coste ed il centro o ancora fra gli stati blu e rossi.

Si analizziamo questa cotrapposizione fra stato profondo e nazioni profonde, possiamo facilmente arrivare alla tesi di Ferdinand Tönnies sulla contrapposizione fra comunità (Gemeinschaft) e società (Gesellschaft). Il voto e le scelte politiche delle nazioni profonde sarebbero l’espressione di una volontà organica all’origine della vita sociale comunitaria, mentre la volontà societaria, prodotto di un insieme di volontà individuali, sarebbe l’espressione dei gruppi artificiali di interesse spesso conformi alle aspettative dello Stato profondo. Questa volontà organica delle nazioni profonde è spesso imprevedibile e difficilmente identificabile. Peter Dale Scott parla in questo senso, invece della nozione di “volontà generale”, di “volontà prevalente dei popoli”, che definisce anche “questo potenziale per la solidarietà che piuttosto di essere controllato dalla repressione verticale può realisticamente essere risvegliato e rinforzato da questa stessa. La volontà prevalente potrebbe essere latente durante una crisi politica, senza essere verificabile fino allo sviluppo ed alla risoluzione di questa crisi.

Jure Georges Vujic
16/02/2017

Jure George Vujic è uno scrittore franco-croato, avvocato e geopolitico, laureato alla alta scuola di guerra delle forze armate croate. Direttore dell’Istituto di geopolitica e di ricerche strategiche di Zagabria, fa pubblicazioni sulle riviste dell’Accademia di geopolitica di Parigi, Krisis e Polémia. E’ l’autore di diverse opere di geopolitica e di politologia.

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