L’Italia non è una Repubblica Democratica ma una specie di Mandarinato (e non è una boutade qualunquista): le mie reazioni alla lettura del libro “Io sono il Potere”

di Alberto Marabini

Portate pazienza ma la lettura del bellissimo libro “Io sono il potere” editito da Feltrinelli, scritto a 4 mani fra il giornalista Giuseppe Salvaggiulo e un non meglio precisato Capo di Gabinetto Ministeriale di lungo corso, mi ha definitivamente persuaso che siamo di fronte ad un palese Golpe Bianco: in barba alla Costituzione l’Italia non è più una Repubblica ma una specie di Mandarinato.

Un libro che per i destini patri potrebbe essere anche più determinante della Casta di Stella e Rizzo che parla del lato più oscuro del potere politico in Italia

Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccio. Non ho ancora trovato una risposta. La verità è che una risposta non esiste. Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa. Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto. So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio. Frequento la penombra. Della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa. Non esterno su Twitter, non pontifico sui giornali, non battibecco nei talk show. Compaio poche volte e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non mi conosce nessuno, a parte chi mi riconosce. Dal presidente della Repubblica, che mi riceve riservatamente, all’usciere del ministero, che ogni mattina mi saluta con un deferente “Buongiorno, signor capo di gabinetto”.
Signore. Che nella Roma dei dotto’ è il massimo della formalità e dell’ossequio. 

Nel libro il sistema delle istituzioni democratiche è solo un paravento, dove i governi vengono decisi in altra sede e i parlamentari sono un utile parafulmine, appena un gradino più sopra del Popolo nella fila per la questua verso il Potere in cui mendichiamo tutti quanti.

Le leggi non le scrivono i nostri rappresentanti (solo lo 0,87% delle proposte di iniziativa parlamentare diventano legge), ma il governo del Paese e l’esercizio del potere è de facto affidato ai super-tecnici dei gabinetti ministeriali e degli uffici legislativi, dal Consiglio di Stato, dai consigli d’amministrazione dei più vari enti pubblici, agenzie e «Autorità», dalle alte burocrazie addette alle magistrature e agli organi costituzionali dello Stato e, soprattutto, dal Presidente della Repubblica che il Mandarinato, da buon monarca, lo presiede.

“Questa la blocchi al Quirinale,” diceva Tremonti a Fortunato quando usciva sconfitto in Consiglio dei ministri. Bastava una telefonata al segretario generale e il gioco era fatto.

Dal capo dello Stato all’ultimo peone: tutti si affannano per far passare l’emendamento che gli è più caro. Sì, anche il capo dello Stato. Tanto che ai disperati che non riescono a far passare il loro emendamento non resta che ricorrere al millantato credito presidenziale: “Vede consigliere,” sussurrano come infrangendo un canone di riservatezza solo per evitarti un tragico frontale, “a questo emendamento tiene anche il capo dello Stato”. I pivelli si mettono sull’attenti.

Mandarinato che – persuaso come diceva Antonio Gramsci che “il buono e misericordioso dio dei cinesi abbia creato apposta la Cina e il popolo cinese perché fosse dominato dai mandarini”

Le manine sono la democrazia.

decide cosa va dentro una legge, se e quando oliare o bloccare la macchina dello Stato attraverso la loro profonda conoscenza delle regole

Ma i mesi passavano e del decreto attuativo non c’era traccia. Da marzo si arrivò a luglio, quando il ministero lo inviò al Consiglio di Stato per il parere obbligatorio. L’invio a ridosso delle ferie estive è un classico del genere “facite ammuina”. Il Consiglio di Stato non può occuparsene prima di settembre. Lo rimanda con qualche osservazione. E al ministero ricomincia la tiritera. Il dipartimento lo esamina, l’ufficio legislativo lo controlla. E passano altri mesi. Nel frattempo cambia il governo. Il ministro. Il capo di gabinetto. Il capo dell’ufficio legislativo. E ciascuno prende tempo, vuole riesaminare il decreto. Correggerne alcuni aspetti.

Perché il capo di gabinetto non solo deve essere di fiducia del ministro, ma deve anche sapere come si fa. Cioè sapere come muoversi nella giungla dei ministeri e delle amministrazioni dello Stato. Centrali, territoriali e periferiche. Sapere a chi telefonare, dove andare per trovare una carta, che fare per risolvere un problema. Se tu ministro non sai che fare e nomini un capo di gabinetto altrettanto inesperto, allora sono dolori veri. “Non ha un’agenda romana.” Il peggior insulto che un capo di gabinetto possa ricevere. Perché significa che non conosce nessuno, che non sa a chi telefonare, che non sa chi conta davvero, che non sa come si fanno le cose. Che non sa risolvere i problemi. E crearli, se necessario. Dimmi che capo di gabinetto scegli e ti dirò che ministro sei.

Dopo il gabinetto, tocca ai direttori generali. Nei ministeri importanti sono anche venti. Vanno rispettati, studiati, temuti. Ne sanno più del ministro e più del migliore capo di gabinetto. Per una semplice ragione. C’erano prima di noi e ci saranno dopo. Nei loro cassetti ci sono i dossier. Possono squadernarli o no. Farli marciare o bloccarli con mille pretesti, visto che hanno sempre altro da fare.

i loro riti mondani dove tutti si celebrano e tutti si conoscono

Strette di mano a convegni. Pranzi e cene. La Caffettiera di piazza di Pietra. I circoli sul Tevere. Visite in Parlamento. Discreti passaggi a largo del Nazareno. Sui due lati: sede del Pd e uffici di Gianni Letta. Copertura bipartisan. Anche se negli ultimi anni si sono aggiunte nuove parti e chi ha visto lontano si è spinto a Milano. Direttamente in via Bigli, per accreditarsi con la Casaleggio Associati. O indirettamente attraverso docenti universitari, avvocati e manager in grado di stabilire un contatto. Io ne conosco qualcuno nella A2A, la municipalizzata lombarda di gas ed energia.

Oggi il paddle è il nuovo golf. [] Tra barbe grondanti sudore, membra spossate e ventri batraciani si può chiedere, promettere, stringere patti di ferro. Decidere commissariamenti di grandi aziende in crisi che valgono parcelle di decine di milioni di euro oltre al potere di assegnare senza gara consulenze a cascata, secondo criteri di reciprocità.

il loro sistema di relazioni personali, di clan o aristocratico-familiari

Come accadde a uno sprovveduto capo di gabinetto che un giorno convocò Carlo Sappino, potentissimo direttore del Dipartimento incentivi alle imprese dello Sviluppo economico. [] Gli chiese tra l’altro un suggerimento riguardo la posizione di un’altra direttrice, l’arcigna Simonetta Moleti, titolare di una competenza non meno importante, quella sulle amministrazioni straordinarie. []  Sappino non tradì alcun imbarazzo, a domanda rispose. Troppo tardi il capo di gabinetto scoprì che i due erano marito e moglie.


Basta farsi un giro al ministero dello Sviluppo economico. Dove Luigi Di Maio aveva nominato segretario generale un amico di Pomigliano d’Arco, Salvatore Barca; e segretaria particolare Assia Montanino, fidanzata di Barca. E pomiglianese anch’ella, come del resto un altro amico d’infanzia del ministro, Dario De Falco, capo della segreteria politica a Palazzo Chigi, perché Di Maio nel governo Conte I era anche vicepremier (De Falco è rimasto nello staff del sottosegretario Fraccaro, dopo il cambio di governo).

e il gioco continuo dei favori reciproci e delle raccomandazioni incrociate

Chiamano tutti. Troppi. Gli amici, i conoscenti, gli sconosciuti. Giudici, segretari, funzionari. Tutti devono sistemare tutti. Non solo le figure di vertice ma anche quelle intermedie, secondarie, marginali. Lo sanno. Tu devi formare il gabinetto, tutta la catena di diretta collaborazione del ministero. Ci sono centinaia di posti che ballano. Che fanno gola. A figli di ex parlamentari, nipoti, amanti, amici di amici, ex segretarie, segretarie da premiare, segretarie da allontanare, amiche delle segretarie.

L’ha scolpito la Cassazione – un buon capo di gabinetto recita la sentenza n. 38762 del 2012 come un Pateravegloria – che la raccomandazione non è reato. Intoccabili

Bella la vita ai tempi dello spoils system, quando il nuovo ministro poteva cambiare unilateralmente tutti i direttori generali. Poi è arrivata la Corte costituzionale a dichiararlo illegittimo. Perché? Per salvaguardare l’imparzialità della funzione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione, dovrei rispondere come recitano i manuali di diritto costituzionale. Sciocchezze. Per salvaguardare equilibri di potere che altrimenti sarebbero stati travolti. In questi casi il diritto si fa, e s’impara, non sui libri ma sui campi di battaglia.

Non avendo nessuno a cui realmente rispondere

La terza è l’intelligenza di capire quando è il momento di fermarsi, perché il ministro ha deciso diversamente, unita alla lealtà di non fare giochetti sporchi con i direttori generali per boicottarlo (niente di più facile, e in genere i ministri non se ne accorgono).

“Ministro, ci penso io” è la frase chiave. Ma va somministrata con cura. In fondo il ministro inesperto è come un pulcino spaurito. Ha bisogno di mamma chioccia che lo accompagna, ma non ama essere strattonato. Eccomi, sono io la chioccia ideale.

e per i quali le Camere e i Governi, figli della crisi verticale della Politica Italiana,

Il più delle volte il ministro ci chiede di fare una legge non perché la ritiene giusta. Non perché glielo chiedono le categorie interessate. Non perché serve al partito. Ma soltanto perché è di moda. Perché c’è bisogno di battere un colpo, di emettere un suono. Perché gli omicidi stradali causati da ubriachi riempiono i pomeriggi televisivi e le sigarette elettroniche sono su tutti i giornali. Inutile obiettare che basterebbero le leggi esistenti a punire gli ubriachi assassini e a tutelare gli svapatori incalliti. Lo Stato deve fare vedere ai cittadini che se ne occupa, che sa fare qualcosa. Un’altra legge, che si aggiunga alle oltre duecentomila esistenti. Il ministro se la intesterà e se ne rallegrerà con il suo staff. Nessuno ne verificherà l’efficacia o anche semplicemente la reale applicazione. E la vita andrà avanti. Soprattutto la nostra, in attesa della prossima finta emergenza.

sono al più un ostacolo o un fastidio sulla strada dell’approvazione dei loro decreti di legge da manipolare e cui forzare la mano in ogni modo, soprattutto attraverso quella forma surrettizia di vincolo di mandato chiamato Voto di Fiducia

Ora i peones non si accontentano di essere ignoranti, sono anche pretenziosi e fastidiosi. Chi vuole un consiglio sul disegno di legge per istituire uno zoo statale nella Bergamasca. Chi ti propone statuti regionali speciali sul modello ottocentesco (come no: un secolo prima che le Regioni fossero istituite). Chi ti chiede un appuntamento per quella questione riguardante la tassa rifiuti di un circolo palermitano, confondendo un ministero e un assessorato di circoscrizione. Ha detto Rino Formica: “Una volta era un circo di nani e ballerine. Avevano una certa dignità. Ora ci sono solo insetti”. Petulanti, insignificanti.

Bettino Craxi si lamentava dei franchi tiratori: in quattro anni, il suo governo fu battuto in Parlamento 150 volte. Oggi la fiducia e il voto palese sono le armi nucleari della Repubblica parlamentare 2.0. Tutti a turno se ne scandalizzano, ma tutti cercano di procurarsele e sono disposti a usarle. E quando vengono sganciate, bisogna fare in modo di non trovarsi sotto.

Eppure capi di gabinetto e dell’ufficio legislativo ne hanno bisogno in ogni momento. Per un vertice in un altro ministero. Per un’improvvisa defezione di un gruppo parlamentare su un emendamento.

Se il testo è depositato in formato elettronico, per email o su una chiavetta usb, la correzione è impossibile: lascerebbe una traccia indelebile e non sarebbe possibile intervenire su tutte le copie del file. Invece se l’originale è stampato, anche a fronte di un maxiemendamento di migliaia di pagine, è sufficiente toglierne una e sostituirla con un’altra stampata clandestinamente con la correzione necessaria. Tutti sanno che è andata così. Che il testo sacro è stato manipolato. Ma nessuno potrà mai dimostrarlo.

L’importante è allarmare l’opinione pubblica. Si chiama azzoppamento. Metti in giro la voce che si studia un aumento dei ticket sanitari, vedrai che il ministero della Salute la smetterà di occuparsi della tua norma sulle distanze dei videopoker dagli ospedali. Se il veto proviene dal ministero dell’Istruzione per la vicinanza alle scuole, fai uscire la notizia che saltano gli aumenti agli insegnanti. Stai pur certo che scenderà a più miti consigli.

anche e spessissimo (e lo dimostra la querelle dei premi di produttività a pioggia dell’ultima finanziaria) a sostengo del proprio corporativismo, intoccabilità o della loro personalissima agenda politica.

Così è stato ritardato, scolorito e infine vanificato l’obbligo di pubblicazione di redditi e patrimoni dei grand commis.

Elsa Fornero si scontrò praticamente con tutti e tre i tipi di interessi costituiti. Quando propose di ridurre i privilegi pensionistici dei militari, fu la ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri a bloccarla, con una telefonata accorata: “Elsa, non possiamo. Pensa al sangue di questi ragazzi”. “Annamaria, che c’entra il sangue con i rendimenti pensionistici?” La norma non passò. E quando provò ad aumentare l’aliquota contributiva per i coltivatori diretti, da Palazzo Chigi la risposta fu lapidaria: “Non è possibile”. Perché?, osò chiedere la ministra. “Perché Fortunato è coltivatore diretto in Calabria, una norma così non passerà mai.”

Le leggi sono uno strumento. Il più delle volte al servizio della politica, il che non va bene. Più precisamente (e correttamente) al servizio del pluralismo istituzionale. Un concetto evanescente e prezioso, da maneggiare con cura. Il pluralismo istituzionale è la formula alchemica degli interessi in gioco. Palesi e occulti. Presenti e futuri. Organizzati e molecolari. Un’equazione che può legittimamente trascendere la politica.

Sempre loro: cambiano i governi e le generazioni ma non cambiano loro. Passano disinvoltamente da Forza Italia al Movimento 5 Stelle

La legittimazione del nostro potere non sono il sangue, i voti, i ricatti, il servilismo. È l’autorevolezza. Che ci rende detestati, ma anche indispensabili. Noi non siamo rottamabili. Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E s’è fatto male.

Non è l’unico passaggio in blocco dei boys. Usciti dal ministero con l’arrivo dei renziani, Fortunato Pinto Caputi e Volpe sono transitati alla Scuola Vanoni, una delle sette scuole della pubblica amministrazione per la formazione interna. E grazie all’immaginifica formula del “trascinamento del piede stipendiale”, hanno confermato il precedente superstipendio ministeriale, che li rende i professori più pagati d’Italia, se non d’Europa.

Non ci credete? Non ritenete possibile che sia in atto in Italia un Golpe Bianco? Eppure lo ha detto pure Massimo D’Alema solo pochi giorni fa “Perché dovrei espormi? Perché dovrei fare interviste? Questi governi ormai sono talmente deboli che si guidano da remoto: hai scelto quelli che decidono, li hai messi nei posti che contano, gli dai i consigli giusti e quelli dicono a Conte e ai ministri cosa devono fare…”.

Pensate che in fondo sia un male necessario o che la definizione sia esagerata o che, a causa della crisi dei partiti politici, siamo di fronte ad una naturale evoluzione della Repubblica verso un sistema di tipo semi-presidenziale moderno?

Fatelo, però vi ricordo che per gli articoli 89 e 90 della Costituzione si stabilisce che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, responsabilità che invece spetta al ministro controfirmante l’atto che quelle responsabilità produce (?!!), immunità di cui ha approfittato anche Napolitano a suo tempo e che in combinato disposto con questa sostanziale mano libera che gli viene lasciata  produce un ordinamento non molto diverso da quello previsto dallo Statuto Albertino (Articolo 67).

Sarà un caso o non sarà che invece dell’affermarsi di una potente novità in campo istituzionale, siamo di fronte ad un trascinarsi degli usi monarchici nella Repubblica Italiana? Era veramente questo quello che desideravano i nostri Padri Costituenti e quali furono le conseguenze nell’esperienza passata?

Vi ricordo inoltre di quanto ci si lamenta della incapacità e dell’inefficenza della nostra burocrazia con quel moltiplicarsi di norme inutili e vessatorie, spesso in contraddizione fra di loro.
Ma se contrariamente a quella vulgata corrente che vorrebbe indicare questo come esempio dell’endemica cialtroneria Italiana, non fosse in realtà l’inevitabile effetto secondario – forse in parte voluto – dell’azione di questa gente nel loro rendersi indispensabili di fronte al Paese?
Siamo sul serio tutti quanti questa massa di idioti senza senso dello Stato come da troppo tempo vogliono farci credere?

Concludo dicendo che, come avete visto, il libro fa nomi e cognomi e il fact-checking è preziosissimo e accurato. Lo consiglio vivamente. Di più: meriterebbe di essere un caso letterario, diamogli una mano.

Un ultimo consiglio: bisogna diffidare di una forza politica che, dicendosi rivoluzionaria, non si attrezzasse ad affrontare il problema. O sono complici o sono dei dilettanti o sono in cerca di poltrone o, quel che è peggio, una combinazione di tutti e 3.

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