L’immersione nel falso, è vera? – La verità non di rado sta dalla parte meno ascoltata

Condividiamo con voi questo interessante testo del filosofo Alessandro Benigni sul suo blog Ontologismi.
Il testo originale è stato pubblicato in 2 puntate:
il 25.12.2016
https://ontologismi.wordpress.com/2016/12/25/limmersione-nel-falso-e-vera/
Il 27.12.2016
https://ontologismi.wordpress.com/2016/12/27/limmersione-nel-falso-e-vera-2/

Buona lettura


Una serie di riflessioni, sulla modernità, sui mass media, su come difendersi dalla dis-in-formazione di massa. E qualche riflessione sul peso che la falsità sistematica occupa, nelle nostre vite. Determinando fedi, scelte, passioni, sofferenze. E, soprattutto, finti traguardi da raggiungere.

Primo passo: un pensierino contro corrente

Historia magistra vitae?  Ma anche no.

E’ chiaro che la Storia, non avendo per oggetto “la” verità, non può direttamente insegnarci nulla. Sì, avete sentito bene: i manuali che si studiano a scuola, che ricostruiscono in modo più o meno critico quello che si pensa sia accaduto da quando l’uomo ha cominciato a lasciare memoria di sé, non ci presentano “la verità”. Il che non implica che sia necessariamente tutto falso, come logica insegna.

Semplicemente, non c’è modo di saperlo.

Ma come!? E allora quelle montagne di libri, ricerche, quelle centinaia di dipartimenti universitari ed altrettanti storici che ci lavorano dentro, che ci stanno a fare?

Fanno il loro lavoro, ovviamente. Che non è quello di raccogliere dati, documenti, testimonianze per raccontarci “com’è sicuramente andata”, ma “com’è presumibilmente andata”.

Le fonti, vanno trovate, individuate, valutate, lette ed interpretate. Collocate in un mosaico più grande, fatto a sua volta di altre micro-ontologie regionali, in cui lo spazio della verità è confinato da quello della fede. Prestiamo attenzione a questo punto: alla storia devo credere. Qualsiasi essa sia. Anche contemporanea.

Banalmente: Napoleone non l’ho mai visto. Voi? E nemmeno Obanana. Ci devo credere: agli storici, alle fonti che dicono di aver visto. E via dicendo. E se anche l’avessi visto io stesso, Napoleone, sarei pur sempre stato io. Appunto. Lo so, è un discorso antipatico. Ma spesso ciò che è logicamente consistente non è solo antipatico, ma pure fastidioso. Ed è fastidioso, immagino, ricordare che di mezzo c’è sempre il mio modo di rappresentarmi il mondo e di vedere le cose. I miei difetti percettivi, cognitivi, etc. Le mie omissioni. Insomma: l’occhio dell’osservatore, la realtà conosciuta attraverso i sensi particolari. E così via.

Riprendiamo il filo, dunque: la Storia non insegna la verità. E cosa insegna, allora? Attraverso il suo costante rimuginare le testimonianze del passato, offre di volta in volta scenari. Ricostruzioni alternative. La Storia è una materia per bastian contrari, non per secchioni. La sua inimitabile valenza formativa ed educativa sta proprio qui: nel capire che cosa c’è di valido (se c’è) in una testimonianza. Nel sottoporla alla prova del dubbio. Nel vedere come e dove collocarla, per darle significato.

In poche parole, la Storia è una materia da Filosofi, più che da Storici. Il che poi significa che i grandi storici son sempre filosofi, e così via: la  Storia è una materia che ha a che fare col pensiero critico.

Per questo l’hanno ridotta a volgare cronologia. La messa in scena dell’Impero, dei mass-media e della distorsione planetaria (non tanto della verità, quanto della testimonianza), sarebbe stata respinta al mittente, fin dall’inizio, se solo avessimo studiato Storia.

E non cronologie e storielle, come l’Impero ha voluto.

Sostanzialmente, per il medesimo argomento, nessun media (né stampa, né radio, né televisione, né tantomeno Internet) può avere come oggetto di comunicazione “la verità“. Con l’aggravante, in questo caso, della presa diretta tra registrazione del fatto (quando va bene) e utente finale: solo raramente, infatti, le “notizie” vengono raccolte, interpretate, collocate, valutate e criticate da esperti professionisti dello stesso rango degli storici d’alta accademia.

Il più delle volte si tratta di giovanissimi giornalisti – sottopagati – che s’improvvisano reporter e producono quel materiale audio visivo che viene poi tagliato, ricucito e pettinato a dovere, all’interno dei vari palinsesti. Telegiornali compresi.

Non voglio annoiarvi con il solito elenco dei falsi storici più noti o delle manipolazioni delle notizieche vengono fatte passare sui network televisivi o sulla rete, dov’è davvero difficile – paradossalmente – documentarsi in modo certo e capire in poco tempo quando siamo di fronte ad una “bufala” e quando invece la notizia anti-bufala è essa stessa una bufala.

*

Vale la pena guardare un attimo questo video: dura poco e riassume perfettamente quello che sto per dirvi:
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Da quanto si vede, siamo nell’era in cui la computer grafica consente davvero tutto, o quasi.

Qual è allora, il punto?

Dare tutto per falso? dare tutto per vero? Passare le giornate a capire se la singola notizia ha fondamento sufficiente per essere catalogata come “plausibile”?

Lo scenario che si apre, a questo punto, è particolarmente complesso.

Tra l’altro, come osserva la filosofa Franca D’Agostini, “La semplice menzogna è ormai piuttosto rara. Infatti, la crescita della comunicazione di massa e della pubblicità, hanno articolato la menzogna in varie forme falsificatorie meno percepibili quali: vaghezza, omissione, distorsione, negazione“.

Che fare, quindi?

Semplificando: Non c’è scampo. Bisogna ragionare in prima persona. Usare il cervello. Ma ragionare, come?

Per fortuna, la nostra mente è costruita per lavorare in economia: un surplus d’informazioni la danneggia, finisce col blocco a mo’ di collo di bottiglia. Questo significa che da una parte occorre semplificare, individuare strategie per costruirsi una visione del mondo unitaria, sensata, e possibilmente compatta, mentre dall’altra possiamo appoggiarci – in modo auto-critico e consapevole – ai meccanismi che la mente già di per sé possiede: sto parlando – l’averete intuito – proprio del nemico numero uno: il pregiudizio, ma anche lo stereotipo, l’intuizione,  l’immaginazione (ovvero la capacità di creare immagini mentali), e così via.

E’ il nostro modo di procedere, nessuno ne è immune. L’unica differenza sta nel sapere come funziona la mente o nell’ignorarlo  e supporre che sia sufficiente una letteratura contro gli stereotipi per diventarne immuni.

Il che non significa, ovviamente, assumere sistematicamente giudizi preconfezionati, avvalersi di conoscenze non verificate, accontentarsi di spiegazioni semplicistiche, lasciarsi persuadere da impressioni superficiali. Al contrario, servirsi del modo in cui la nostra mente funziona per costruirci una visione del mondo che sia agile e malleabile, ma al tempo stesso realistica (ammetta cioè la costrizione operativa dovuta alla sovrabbondanza di informazioni e contatti), e ci porti infine ad una coerente organizzazione delle nostre idee sulla realtà.

Lo strumento principale della coerenza è lo studio della logica.

Abbiamo strumenti già pronti, buoni per essere praticati all’istante: basta un po’ d’esercizio.

Un esempio? L’elenco delle fallacie logiche.
[abbiamo sostituito il link proposti da Alessandro Benigni con un altro link, in quanto quello indicato non è più funzionante]

Parallelamente alla conoscenza delle principali strategie che vengono utilizzate per far sembrare accettabile un discorso che non lo è, occorre poi praticare metodicamente il dubbio cartesiano sulle fonti. Tutte.

Chi dice cosa?

E con quali possibili scopi manifesti / nascosti?

Direi che è poi buona cosa partire dall’idea che l’informazione è sempre orientata, ha sempre un fine specifico, al di là dell’esibizione della notizia stessa.

Occorre inoltre cominciare a leggere con attenzione la stampa indipendente. Molto spesso “la verità” (che come abbiamo visto qui dev’essere intesa come “l’ipotesi più plausibile“) sta nel mezzo, ma non di rado sta dalla parte meno ascoltata.

La stampa indipendente, appunto.

Alessandro Benigni

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