Liberisti o scrocconi?

di Daniela Marenco

Mainstream: neoliberisti o “free riders” (scrocconi…)?

 

Le risposte di Keynes e Smith, gemelli rossobruni.

Lo scontro ideologico tra liberisti (di destra, di sinistra, duri o soft, miglioristi, riformisti, liberalsocialisti, radical chic, ecc…..) e “statalisti” (di destra o di sinistra, duri o soft, sovranisti, comunisti, ecc…..) è la causa di divisione del 99,99% della popolazione che avrebbe al contrario l’interesse comune ad un modello di sviluppo civile, sociale ed ecocompatibile. E’ una falsa lotta ed una contrapposizione mistificata ad arte. Per aversi libero mercato, stimolo all’impresa e all’evoluzione tecnologica, ricchezza, meritocrazia, così come per aversi diritti, salute, qualità della vita, istruzione, lo Stato deve esistere, e i suoi poteri, le sue funzioni, il perimetro dell’economia pubblica sono certi e matematicamente determinabili. La parola magica è Concorrenza Perfetta: nessuno storca il naso, arrivate in fondo…
Occorre partire dalle teorie economiche classiche di funzionamento del mercato, validissime prima di essere deturpate dalla main stream economica al soldo dell’elite finanziaria. Quelle verità economiche devono tornare come un boomerang contro coloro che hanno operato questo “colpo di mano” su di esse, operando un vero e proprio falso ideologico allo scopo (per molti evidente) di eliminare l’economia pubblica e gli stati e cancellare di conseguenza tutti i diritti, il risparmio, la ricchezza, l’ecosistema, l’indipendenza…. quindi in estrema sintesi con un “golpe al rallentatore” hanno creato condizioni assimilabili alla progressiva schiavitù per il 99,99% della popolazione: in nome del mercato e della concorrenza hanno distrutto il mercato e la concorrenza, creando
monopoli e progressiva concentrazione della ricchezza, utilizzando parole d’ordine mistificate ed evocatorie di concorrenza quali “competitività, globalizzazione, libero scambio” che sono state la mannaia delle condizioni di concorrenza.
Le leggi classiche del mercato insegnano e dimostrano matematicamente (non dimostro qui, ci sono molti testi economici in proposito) che le persone producendo e scambiandosi beni e
servizi in completa libertà raggiungono un maggiore benessere ed utilità, sia complessivamente che singolarmente, ed in questo ipotetico grande mercato tutti i singoli scambi determinano a livello complessivo un equilibrio perfetto con la migliore allocazione delle risorse, prezzi giusti e giuste quantità scambiate: tutti felici e soddisfatti grazie alla “mano invisibile” del mercato. Banalizzando, se io ho 10 fragole e un altro 20 melanzane, ci incontriamo e scambiamo i nostri beni, probabilmente uscendone con 5 fragole e 10 melanzane a testa. Moltiplicando i soggetti i prodotti e quindi le transazioni (e agevolandole con una moneta ….così da non doverci per esempio portare sulle spalle la casa per venderla al mercato!) tutti scambieranno seguendo il proprio egoismo/utilità e tutti saranno più soddisfatti e con un paniere più completo e variegato. Nella concorrenza perfetta tutti scambiano beni e servizi e alla fine, quando si raggiunge l’equilibrio, ogni bene avrà il giusto prezzo di concorrenza. Ovviamente quanto più il mercato è grande quanto più ci sarà soddisfazione, il prezzo sarà il più basso possibile, l’utilità del consumatore sarà massima. Il modello matematico è perfetto e la cosa funziona, benissimo… ALLE CONDIZIONI DATE. La main stream economica fa finta di non sapere che le leggi classiche di mercato
funzionano appunto, come ogni modello scientifico, “alle condizioni date”: è proprio su quelle condizioni, sulla loro assenza (cd. fallimenti del mercato) e sulla premeditata e scientifica eliminazione della funzione pubblica che ne perseguiva la realizzazione, che hanno costruito monopoli e concentrazione di ricchezza. Come Don Milani, dobbiamo conoscere una parola in più del nostro nemico: analizzando quelle condizioni si capisce perfettamente la loro opera, la perfetta identità delle condizioni della concorrenza perfetta con i “diritti” (informazione, istruzione, salute, ambiente, beni pubblici, ecc.) e la sinallagmatica perdita di diritti conseguente ad ogni fallimento del mercato non contrastato.
Quali sono i fallimenti del mercato e perché la loro rimozione coincide perfettamente con la funzione pubblica e con la tutela i diritti? Quelle condizioni, cancellate con un colpo di spugna, sono proprio… lo STATO. Racchiudono la sua funzione essenziale, sempre maggiore quanto più una società si evolve. L’assenza di queste condizioni provoca il fallimento del mercato (alla quale infatti stiamo assistendo). Disoccupazione, disastri ambientali, analfabetismo funzionale, malattie, ecc. sono le conseguenze della progressiva riduzione della funzione pubblica e del conseguente allontanamento dalla concorrenza perfetta. Divertiamoci a capire quali sono le condizioni di concorrenza e (loro assenza) i FALLIMENTI DEL MERCATO, almeno i principali, e capire perché sono fondamentali, perché rappresentano, DEVONO rappresentare, il perimetro dell’economia pubblica e guidare la RIALLOCAZIONE DELLE RISORSE che lo Stato deve operare, necessaria ad un mercato al servizio dell’uomo e della qualità della vita.

1) COMPORTAMENTO RAZIONALE DEGLI AGENTI ECONOMICI.
Ecco, volutamente per primo ho messo l’unico fallimento del mercato al quale non c’è praticamente rimedio. Ci sarà sempre un pazzo che scambierà 4 fragole per averne indietro 2, che comprerà la casa col peggior rapporto qualità prezzo perché dalla finestra può guardare la ragazza dai capelli rossi che è diventata il suo primo e unico pensiero, che vorrà andare sul lastrico per fare dispetto all’ex moglie, ecc. ecc. (comunque ho sempre avuto il sospetto che non fossero i soldi a far girare il mondo, ma “u pilu..”).
D’altra parte questa è l’umanità. E forse… per fortuna. Deve esistere il rischio, la fantasia, l’amore. E anche gli statistici devono alzare bandiera bianca di fronte alla legge di Damon Runyon per la quale niente tra gli esseri umani ha più di una possibilità su tre di accadere. Ciò che si può e si deve fare è rendere la pazzia “libera” e non indotta da ignoranza o … pubblicità. Purtroppo però, l’irrazionalità oggi è spesso non legata all’umanità o al caso, bensì le scelte irrazionali (lo chiamerei masochismo economico ma ricordiamoci che anche la politica è un mercato che dovrebbe essere in concorrenza perfetta ….) sono veicolate ad arte verso nemici invisibili, fedi o fideismi. Il danno che ne deriva è ovviamente amplificato anche per mere motivazioni statistiche: se l’”errore” è frutto del caso, si presenterà con segni e direzioni alterne e opposte e avrà impatto (errore statistico) limitato, se è veicolato in una direzione e spinto da adeguate false informazioni avrà un impatto statistico massiccio e determinante. qui si arriva direttamente alla seconda condizione di concorrenza perfetta:

2) ASIMMETRIE INFORMATIVE
Il giusto prezzo di concorrenza si raggiunge se e solo se tutti hanno conoscenza completa del prodotto compravenduto, degli ingredienti, del luogo di produzione, delle caratteristiche, della nocività o salubrietà del loro consumo, ecc. ecc. L’assenza di queste informazioni crea un danno al consumatore – che arriverà entro breve a non sapere più nulla, per esempio se il pollo che mangia è al cloro o contiene ormoni o se il vino che beve è d’uva o è liquido colorato e aromatizzato, ecc. ecc. – e se nessuno interviene il vino in bustina e il pollo al cloro e ormoni da produzione industriale intensiva spazzeranno via dal mercato il vino d’uva e le produzioni (complice la crisi e la contrazione della disponibilità di spesa) ma i soldi “risparmiati” comprando il prodotto scadente non basteranno a pagare le spese sanitarie per avere ingerito coloranti cloro e ormoni (esternalità negative, vedi prossimo fallimento del mercato) o i danni ambientali, climatici, ecc. che hanno conseguenze sul quotidiano di ciascuno di noi. Infatti il giusto prezzo di concorrenza del prodotto scadente sarebbe superiore a quello del prodotto “sano” e lo Stato deve intervenire per tassare (o vietare) i prodotti nocivi, e/o trasferire risorse ai prodotti di qualità e/o imporre standard minimi qualitativi o etichette trasparenti. I nuovi trattati di libero scambio (vedi TTIP, CETA, ecc.) prevedono peraltro che un intervento dello Stato teso a ripristinare la corretta concorrenza (informazione, divieto, tassazione, standard minimi, trasferimenti, ecc. come visti) porterebbe lo Stato stesso a subire una causa (in giurisdizione internazionale privata, sic!) contro le multinazionali che chiederebbero indietro i mancati profitti se lo Stato avesse applicato condizioni più restrittive di altri Paesi, in un vortice al ribasso. Secondo la bizzarra definizione di wikipedia si verifica asimmetria informativa nel mercato “quando uno o più operatori dispongono di informazioni più precise di altri”. Sull’argomento hanno scritto tomi notevoli, ma vorrei sottolineare che l’asimmetria informativa è stata oggetto di ampia elaborazione negli unici casi nei quali era in “vantaggio” il consumatore (che grosso problema di concorrenza sleale per la main stream!!): per esempio (selezione avversa) il malato che si fa assicurare senza dire di essere malato (povere compagnie di assicurazione!), quasi mai quando a godere dell’asimmetria informativa erano le multinazionali.

3) ESTERNALITA’
E’un mondo infinito, un fallimento del mercato che cresce esponenzialmente quanto più l’economia è evoluta e quanto più si moltiplicano scambi e interazioni tra mercati, settori produttivi e soggetti (lo sanno bene i fautori della globalizzazione che fanno profitti infiniti esattamente sulle esternalità non governate dalla funzione pubblica). L’esternalità misura infatti gli effetti della produzione e scambio di un bene o di un servizio sul resto dei beni e servizi e il giusto prezzo di concorrenza perfetta, al quale SI DEVE ambire è quello che tiene conto non solo dei “costi interni” di produzione (classicamente una combinazione di capitale K e lavoro L) ma necessariamente dei costi e vantaggi “esterni”. Chi ha una formazione giuridica e non economica può agevolmente identificare le esternalità negative con il “danno ingiusto” e quelle positive con “l’arricchimento senza causa”. Una delle esternalità più comuni è l’inquinamento. Immaginiamo due bicchieri identici su un banco del supermercato. Uno costa metà dell’altro, compriamo quello. Peccato che sia prodotto a migliaia di kilometri con un processo produttivo altamente inquinante. Il secondo
bicchiere, prodotto dalle vetrerie delle provincia che avevano con grandi costi ristrutturato il processo produttivo per non avvelenare la valle, dopo essere diventato sempre più caro man mano che diminuiva la richiesta (tutti comprano ormai il bicchiere importato) sparisce dagli scaffali. E’ una allocazione ottimale delle risorse? le quantità e i prezzi sono giusti? Abbiamo davvero risparmiato? NO. Qualcuno (lo STATO!) avrebbe dovuto calcolare il danno (esternalità negativa) ambientale di camion che intasano il traffico e inquinano, navi di container che distruggono l’ecosistema marino (e poi mangiamo pesce al mercurio e ci curiamo le malattie..), i danni indiretti dall’aumentato fabbisogno energetico, e TRASFORMARLO IN UN DAZIO CONCORRENZIALE, o magari trasferire risorse alla produzione locale ecocompatibile, per riportare il prezzo in concorrenza. Il secondo bicchiere costerebbe sempre meno (al consumo) e vincerebbe. Oggi al contrario gli Stati non incassano il dazio ma pagano comunque – indebitandosi o tassando a dismisura i residenti a causa di un folle pareggio di bilancio – i danni ambientali, i costi delle alluvioni, le conseguenze sanitarie sulla popolazione.
Esempi di esternalità positive sono per esempio l’istruzione, la formazione o la ricerca.
Un libero mercato privato non ne garantirebbe mai le giuste quantità (tanta!!) e il giusto prezzo (quasi gratis!) di concorrenza perfetta, che si avrebbe se tutte le altre produzioni di beni e servizi trasferissero alla produzione di quei beni il giusto corrispettivo, avendone in effetti goduto (senza ingegneri capaci, senza personale qualificato, estremizzando in un mondo di analfabeti quelle produzioni non esisterebbero…). Sono beni con esternalità positiva, allo stesso modo, la sicurezza, la previdenza, la giustizia: (semplificando con esempi) come potremmo esser certi di non essere truffati da un fornitore se non ci fosse una giurisdizione civile? come potrebbero acquistare beni e servizi i bambini, i vecchi, gli invalidi e chi è fuori dal mercato? li ammazziamo tutti?
Quelli che chiamiamo “BENI PUBBLICI” sarebbero un’altra categoria di fallimento del mercato ma possono essere semplicemente considerati beni ad elevatissima esternalità positiva, ed in realtà non c’è netta soluzione di continuità tra beni pubblici e beni con esternalità positiva. I beni pubblici puri, come la giustizia, sono un fallimento del mercato perché sono indivisibili e non “rivali” (il mio consumo non esclude il tuo), mentre l’umanità è tendenzialmente free rider (scroccona). Pensiamo alla giustizia, alla sicurezza, alla difesa, ma anche all’illuminazione di una strada o ad uno scudo spaziale contro radiazioni nocive…. nel libero mercato, contando di rifarci la spesa e un po’ di utile, nessuno “produrrebbe” i beni pubblici perché non ci sarebbero acquirenti diretti.
Tutti beneficiamo dello scudo spaziale (o dell’illuminazione pubblica o della giustizia..), ma sappiamo che non ci possono escludere dal beneficio per cui… chi ce lo fa fare di pagarlo? I beni pubblici vengono pertanto prodotti dallo Stato o dagli enti locali. Come vengono pagati? Oggi che non abbiamo più sovranità monetaria e abbiamo il pareggio di bilancio e la globalizzazione libera, vengono (stra)pagati dai residenti (tasse e debito che crea ulteriori tasse) che pagano anche la quota di una molteplicità di free rider (evasori, multinazionali, ecc.).
Insomma, in sintesi nel prezzo di ogni bene e servizio prodotto devono essere inglobati i costi e i vantaggi esterni di quei beni, un po’ come se nel conto economico e nei costi di produzione di ciascuna impresa ci fossero le uscite per giustizia, sicurezza, salute, previdenza, formazione, istruzione, infrastrutture pubbliche, bonifiche, ecc. e anche tutti i “danni ingiusti” sopportati da altri a causa della produzione e consumo di quel bene e, nei ricavi, fossero conteggiate le entrate extra (contributi) da parte di coloro che hanno vantaggi (arricchimento senza causa) anche se non acquistano (quindi non pagano) direttamente il prodotto, solo allora i prezzi e le quantità prodotte e scambiate saranno di concorrenza perfetta. Quanto detto sui beni pubblici e sui “free riders” vale in realtà “proquota” per le esternalità non pagate di tutti i beni e servizi: se nel bilancio delle aziende (anche solo degli ultimi dieci anni) mettessimo in conto economico quei costi e quei vantaggi, si annullerebbero i profitti “frodatori” (in particolare delle multinazionali) ed emergerebbe un debito pari ai beni e servizi pagati dai cittadini e da loro “scroccati” come un imbucato al ricevimento di nozze e (qui allargherei non solo ai cittadini ma alla natura, agli esseri viventi, animali e vegetali!) al danno ingiusto generato. Al contrario del debito fittizio (derivante dal monopolio artificiale della moneta vedi infra) che ci stanno convincendo di avere maturato, emergerebbe un credito enorme per i cittadini, per lo Stato, e per le aziende che danno vantaggi esterni. Il saldo di bilancio della concorrenza perfetta. Non ripagherebbe i danni dell’errata allocazione delle risorse (il bicchiere inquinante ha già fatto chiudere decine di imprese
sane…) ma sarebbe un buon passo in avanti nel ripristino di dotazioni concorrenziali.

4) MONOPOLI, OLIGOPOLI E MONOPSONI
Nel modello di concorrenza perfetta, il prezzo è l’incontro tra una pluralità di offerenti e una pluralità di acquirenti e nessun soggetto economico è “price maker” ovvero può decidere il prezzo del mercato. Quando l’offerta è monopolizzata (o la domanda monopsonizzata.. ma è più raro) un solo agente o pochi (oligopolio) decidono prezzi e quantità. In queste situazioni c’è una perdita di benessere o di utilità ed è un fallimento del mercato in quanto non si arriva alle giuste quantità di beni prodotti e scambiati. Il monopolio o oligopolio può essere naturale (es. solo nel mio terreno o in pochi esiste un metallo raro utile alla diagnostica medica o alla realizzazione di smartphone), economico (forti costi fissi o economie di scala che impediscono l’ingresso nel mercato di un numero sufficiente di produttori) o artificiali (cartelli, o norme regolatorie che escludono artificiosamente la concorrenza). Monopoli e oligopoli sono difficilmente conciliabili con il mercato privato di concorrenza in quanto il monopolista, dotato di forte potere economico, difficilmente potrà essere regolato e controllato “esternamente” e l’accumulo progressivo di profitti generati dall’assenza di concorrenza rende queste situazioni enormemente rischiose per la democrazia oltre che per l’esistenza stessa del mercato. Monopoli naturali e economici dovrebbero utilmente essere pubblici, con prezzi (che diventano tariffe) e quantità stabiliti per il fine collettivo. I monopoli artificiali privati rappresentano una vera e propria aberrazione economica, soprattutto quando è lo Stato stesso ad attribuire ad uno o a pochi agenti economici la produzione di un bene o di un servizio. Queste aberrazioni sono all’ordine del giorno e sono la principale causa del collasso economico dei paesi, soprattutto se pensiamo al monopolio privato della moneta e del credito. E’ un vero e proprio suicidio economico affidare all’interesse privato e alle leggi del mercato, viepiù operando contestualmente una liberalizzazione finanziaria spinta, il governo della moneta, poiché:
la moneta NON E’ un bene di consumo, non si mangia, non serve a costruire, non puoi salir sopra a una banconota e farti trasportare come su un tappeto volante, non ha funzionalità o valore intrinseco, è solo una unità di conto e un mezzo di pagamento presente o futuro (e il valore nel tempo deve essere collegato all’andamento dell’economia reale): non può generare profitto, ogni utile generato dal mercato della moneta è sottratto all’economia reale, allo scambio sottostante, alterando e distorcendo completamente il corretto funzionamento del mercato dei beni e dei servizi. Infatti ogni transazione reale, quindi ogni settore produttivo, pagano un “pizzo” all’intermediazione bancaria che è stimato addirittura nel 13% del Pil. Essendo un semplice mezzo di
pagamento, la scarsità o l’eccesso di moneta in circolazione (gli economisti classici insegnano) comporterebbero in realtà (una volta raggiunto il nuovo equilibrio) solo una variazione nominale dei prezzi senza agire sui prezzi RELATIVI dei beni e servizi scambiati, quindi senza provocare effetti distorsivi.
Peccato però che chi incassa quel 13% del Pil è un “privato” e quella dotazione enorme di moneta la può ben utilizzare per incidere sui prezzi di qualsiasi bene o servizio. La liberalizzazione e l’assenza di regole avvantaggiano ancor di più le operazioni speculative arrivando al paradosso di compravendite allo scoperto che in un secondo possono distruggere un intero settore produttivo.
la politica monetaria e la spesa pubblica (attraverso emissione di moneta) sono strumenti fondamentali che lo Stato deve utilizzare per ripristinare la concorrenza (e contrastare tutti i fallimenti sopra visti). Privandosene è quasi impossibile agire in modo redistributivo.
Esistono altri fallimenti del mercato, ma vale più o meno la medesima ricetta concorrenziale. Giova riflettere sul fatto che in concorrenza perfetta non esistono
extraprofitti e il profitto si genera dall’innovazione: l’idea, l’evoluzione tecnologica, un nuovo processo produttivo, nuovi materiali, ecc. ed ha natura temporanea, dura finché il mercato non si adegua progressivamente all’innovazione. Praticamente ha i vantaggi del comunismo ma senza sacrificare l’individualità e la spinta utilitaristica alla base dell’evoluzione e del progresso.

GLI STRUMENTI DELLO STATO PER LA CONCORRENZA.
La riallocazione delle risorse, l’opera fondamentale redistributiva, è esattamente la funzione pubblica. Lo Stato la deve fare attraverso tre strumenti che hanno identica funzione:
a. regolazione normativa: lo stato impone regole, parametri, vincoli e controlli per riportare prezzi e quantità verso l’equilibrio di concorrenza perfetta (esempi: limiti alle produzioni, limiti alle emissioni, autorizzazioni, licenze a numero chiuso, indicizzazione o scala mobile sui salari, ecc.
b. tassazione: la tassazione non è assolutamente il mero recupero delle risorse per laspesa pubblica ma è (o meglio deve essere), esattamente come la spesa pubblica, uno strumento redistributivo a fini concorrenziali: per esempio (effetto “sostituzione” della tassazione a fine di indirizzo dei consumi) tasso il prodotto inquinante (esternalità negativa) e trasferisco alla cultura (esternalità positiva).
Oppure, se i fallimenti del mercato (come oggi) non sono stati sufficientemente contrastati in via generale e si sono create di conseguenza forti concentrazioni di ricchezza e sacche di povertà, applico una patrimoniale e una forte tassazione progressiva e trasferisco risorse per un reddito di cittadinanza. E’ evidente che se la tassazione serve a “spostare” risorse e cambiare le “posizioni relative” non ha alcun senso parlare di pressione fiscale “media”. La media non dice nulla sulla bontà della tassazione e sull’efficacia redistributiva concorrenziale (anche se, quando si è fatto un buon lavoro redistributivo e in assenza di shock esogeni, la tassazione serve meno e quindi nel tempo tende a ridursi anche la media).
Avendo riguardo alle più importanti distorsioni del mercato attuali, si dovrebbe immediatamente, per esempio, sostituire il gettito Irap (da eliminare) e parte dell’Ires con una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (non approfondisco per non appesantire ulteriormente, ma si ridurrebbe il costo del lavoro senza toccare le retribuzioni, scapperebbero i capitali speculativi dannosi e arriverebbero IDE e investimenti reali);
c. spesa pubblica. Dovrebbe essere ormai evidente l’utilizzo della spesa pubblica a fini concorrenziali, quindi: spesa per investimenti pubblici, in ricerca, salute, cultura, informazione, ambiente, ecc. e, in una situazione di concorrenza compromessa come quella attuale, per riportare le posizioni relative ad una minore disuguaglianza. Considerata la scarsità progressiva di moneta nell’economia reale e l’accumulo nell’economia finanziaria, una politica monetaria espansiva sull’economia reale equivale, attraverso il conseguente aumento dei prezzi e dei redditi reali (e del risparmio diffuso), a tassare l’economia finanziaria (perdita di potere d’acquisto della ricchezza accumulata da pochi).

KEYNES E SMITH GEMELLI ROSSOBRUNI…
Io la penso così.
Keynes e Smith avevano tanta ragione e i loro modelli non sono in antitesi.
Alle prese con gli effetti della crisi del ’29 (un po’ come oggi) conseguenti ai fallimenti del mercato e soprattutto all’attentato alla concorrenza portato dall’economia finanziaria (come
oggi) le ricette della main stream erano (guarda caso) austerity, riduzione delle retribuzioni, riduzione del credito (proprio come oggi). Keynes, con la sua teoria della spesa autonoma e
del moltiplicatore, propone politiche espansive della spesa pubblica e della moneta per aumentare il Pil e uscire dalla recessione. I tromboni accademici gli rispondono che non
serve, che un’immissione di moneta si esaurisce solo, nel lungo periodo, in un nuovo equilibrio dove la situazione è identica e i prezzi sono aumentati (inflazione nominale).
Keynes non sta lì a spiegare che attraverso la spesa pubblica si fa anche redistribuzione concorrenziale, e che, tra l’altro, gli effetti del breve periodo si possono riottenere facendo
tanti brevi periodi. Non si mette contro l’establishment economico e non mette in discussione le loro ragioni … nel lungo periodo. Risponde serafico: “nel lungo periodo
saremo tutti morti” e così l’hanno lasciato fare.
Per inciso, la teoria del moltiplicatore monetario spiegava come 1 euro (vabbè, un dollaro..) di spesa pubblica generasse “più di” un dollaro di Pil (e viceversa, l’austerity provoca recessione) e che il moltiplicatore è tanto più elevato quanto più la spesa pubblica è rivolta nei confronti di chi ha una più elevata propensione marginale al consumo (perché se dai 1 euro ad un nullatenente lo spende tutto, se dai un euro in più, marginale, a un ricco non lo spende..). Oggi il moltiplicatore si aggira mediamente su 1,5 (valore medio, figuriamoci che botto di pil con un reddito di cittadinanza e con spesa pubblica concorrenziale). Cosa aspettiamo????

Grafico: Evoluzione della quota del reddito medio del 10% più povero della popolazione rispetto al reddito medio dell’1% più ricco.
La quota passa da circa il 18% nel 1913 al 9,5% nel 2008.

Fonte: Bortolotti, 2013, p. 22.

 

APPENDICE: LA TEORIA DEL MOLTIPLICATORE
Il PIL (o prodotto interno lordo) misura il valore di mercato di tutte le merci finite e di tutti i servizi prodotti nei confini di una nazione in un dato periodo di tempo.
Il PIL (Y) è uguale al totale dei redditi (salari e rendite o profitti) percepiti a livello nazionale e sarà quindi uguale alla somma di consumi finali (C) + investimenti privati ( I ) + spesa pubblica (G) più esportazioni nette ( X – M ):
Y = C + I + G + ( X – M)
ci concentriamo sulla domanda interna trascurando per semplicità l’import export.

Il moltiplicatore della spesa autonoma
Y = C + I + G
Y = domanda aggregata = PIL
C = consumi privati (famiglie e imprese) = c(Y-tY)

cioè famiglie e imprese spendono in consumi una quota “c” (propensione al consumo) del reddito disponibile (cioè al netto della tassazione) che è (y – ty) con t = pressione fiscale

Quindi svolgendo l’equazione con C= c(Y-tY):
Y = c(Y – tY) + I + G
Y- cY + ctY = G + I
Y[1-c(1-t)] = G+I
Cioè Y = m (G+I) dove m, il cosiddetto “moltiplicatore Keynesiano”, è pari a:
1
m = ——————–
1 – c (1 – t)

c e t sono compresi tra 0 e 1 (perché la quota di reddito che si consuma è compresa tra tutto o niente e la tassazione può andare da zero al 100%).
Per semplicità:
c(1-t) = c’
m = 1/(1-c’)
con 0 < c’ < 1 quindi m è compreso tra zero e infinito:
1/(1-0) < m < 1/(1-1)  1/1 < m < 1/0  1 < m < ∞

Quindi: se aumentiamo di 1 € la spesa pubblica il PIL aumenta di più di 1 €.

E, purtroppo, anche viceversa.
E’ per questo che l’austerità ci ammazza e, con il pareggio di bilancio e senza sovranità monetaria, ridurre il rapporto debito/PIL diminuendo la spesa pubblica o la spesa per investimenti è una pura follia..
Se B/Y è il rapporto debito/Pil diminuendo B di 1, Y diminuisce di più di 1 e il rapporto, normalmente (ci sono eccezioni ma non in questo contesto economico), cresce anziché diminuire
(B – 1)/(Y-mY) > B/Y

Grafico: Effetto negativo delle politiche di austerità nell’Unione Europea dal 2009 al 2012.
I punti azzurri rappresentano la situazione finale dei diversi paesi.
Sull’asse orizzontale abbiamo il “consolidamento fiscale” ovvero quanta austerità è stata fatta.
Sull’asse verticale abbiamo la variazione percentuale del PIL.
Chi più ha fatto austerità, ha registrato una minore crescita o spesso addirittura una decrescita del PIL. 

 

 

Grafico: Andamento del reddito medio in Italia dal 1974 al 2009, corretto sulla base del tasso di inflazione.
In rosso (linea orizzontale in basso) l’andamento del reddito medio complessivo, che è rimasto sostanzialmente costante.
In verde chiaro e in celeste l’andamento del reddito medio rispettivamento dello 0,01% più ricco e dello 0,1% più ricco. Per queste categorie di persone il reddito medio è circa triplicato per lo 0,01% più ricco, mentre è aumentato di 2,5 volte per lo 0,1% più ricco.

 

Grafico: Andamento del reddito medio negli USA dal 1974 al 2012, corretto sulla base del tasso di inflazione.
In rosso (linea orizzontale in basso) l’andamento del reddito medio complessivo, che è mediamente raddoppiato (comunque meglio di quanto sia accaduto in Italia)
In giallo e in verde l’andamento del reddito medio rispettivamento dello 0,01% più ricco e dello 0,1% più ricco. Per queste categorie di persone il reddito medio è aumentato di circa 9 volte per lo 0,01% più ricco, mentre è aumentato di circa 4 volte per lo 0,1% più ricco.

 

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